Fotografia di una vittoria annunciata della destra

Di Federico Fornaro Giovedì 13 Ottobre 2022 09:54 Stampa
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Come da tradizione italica, della “fuga dalle urne” in atto da tempo si è parlato giusto nell’intervallo tra la chiusura dei seggi e l’arrivo dei pri­mi risultati. Eppure mai come quest’anno il crollo della partecipazione è stato così fragorosamente rumoroso. Con il 63,9% di votanti, infatti, è stato battuto il record negativo assoluto, con un arretramento di 9 punti percentuali rispetto alle precedenti elezioni politiche del 2018.

Più di un italiano su tre ha disertato i seggi, e anche il richiamo all’oggettivo impedimento dei fuori sede e degli anziani impossibili­tati a muoversi, il cosiddetto “astensionismo involontario” stimato in oltre 4 milioni di potenziali elettorali, non riesce a giustificare questo calo, anche perché questa problematica era già presente nel 2018 e quindi il raffronto è omogeneo (si veda la Tabella1).

La lettura delle percentuali addolcisce la criticità della crisi di par­tecipazione e rappresentanza. Dal 2013 a oggi, infatti, gli elettori (intesi come cittadini aventi diritti al voto), sono scesi in ragione del calo demografico da 46.905.154 a 46.021.956 con una diminuzione dell’1,9%. Sono invece mancati all’appello ai seggi, rispetto a nove anni fa, 5.915.335 elettori (meno 16,8%).

Un fenomeno, quello dell’astensionismo, che comunque la si pensi rappresenta una spia di mal funzionamento del sistema democratico che necessiterebbe di ben altra attenzione e riflessione, in particolare a sinistra, dove la partecipazione è sempre stata un elemento fondante dell’idea stessa di Stato democratico. Un calo era atteso, ma più con­tenuto, anche se a conti fatti non ha influito in maniera eclatante sul risultato finale, avendo scelto gli “elettori intermittenti”, in una quota importante, di non votare. Il tasso di partecipazione sul lungo periodo (2013-2022) è diminuito a livello nazionale di 11,3 punti percentuali.

Sopra la media, in termini di decremento della partecipazione elet­torale, si collocano il Molise (-21,6%), la Valle d’Aosta (-16,4%), la Sardegna (-15,2%), il Trentino-Alto Adige (-15,0%), la Campania (14,6%), la Puglia (-13,4%), il Lazio (-13,2%), la Calabria (-12,4%) e l’Abruzzo (-12%). Attorno al dato medio nazionale ritroviamo il Ve­neto (-11,5%), le Marche (11,4%) e il Friuli-Venezia Giulia (-11,0%). Leggermente meglio vanno, invece, Piemonte e Liguria (entrambe con un calo del 10,9%), Puglia e Umbria (10,7% per tutte e due), Emilia- Romagna (10,1%), Lombardia (-9,5%), Toscana (-9,4%) e infine la Sicilia (-7%), che ha però beneficiato nel 2022 della mobilitazione per le contemporanee elezioni regionali. Secondo l’Istituto Cattaneo, infine, nei Comuni fino a 15.000 abitanti i votanti sono stati pari al 65,0%, per poi declinare verso il 63,5% in quelli tra i 15.000 e 50.000 abitanti e al 62,5% nelle città tra 50.000 e 350.000 abitanti. Il dato risale al 63,5% nelle città sopra i 350.000 abitanti (si veda Tabella 1).

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Passiamo adesso dai dati sull’affluenza a quelli relativi all’esito della competizione per conquistare il consenso di quanti si sono recati ai seggi. I risultati finali, invece, nei trend di fondo hanno rispettato le previsioni della vigilia, con la sola eccezione del M5S, autore di uno significativo recupero finale, in particolare al Sud. La coalizione di destra-centro, dunque, vince con il 43,8%, il centrosinistra si attesta al 26,1%, il Movimento 5 Stelle o forse sarebbe meglio dire il Movi­mento di Conte per il ruolo fondamentale della sua leadership, ottiene il 15,4%, mentre il cosiddetto Terzo polo di Calenda e Renzi raggiunge il traguardo 7,6% dei consensi. Fuori dalla ripartizione dei seggi tutti gli altri. Ma andiamo con ordine iniziando dai vincitori.

In termini di voti assoluti, la vittoria della coalizione guidata da Gior­gia Meloni è assai meno impetuosa di quello che appare a una prima lettura superficiale perché la crescita dei consensi è di soli 147.303 voti (+0,1% sul 2018). Più evidente è l’espansione elettorale se si allarga il confronto al 2013: +2.376.048 voti (+23,9%). Quelli che cambiano con un carattere di assoluta straordinarietà sono i rapporti di forza interni alla coalizione che, come detto, passa da essere un centrodestra a un destra-centro (si veda Tabella 2).

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Forza Italia perde in due elezioni oltre 5 milioni di voti e in termini percentuali passa dal 21,56% del 2013 all’8,11% del 2022: parti­to leader della coalizione a terza gamba della coalizione. Soltanto il 36% degli elettori 2018 (fonte SWG) vota nuovamente per il partito di Berlusconi, mentre il 37% si sposta su Fratelli d’Italia, il 4% sul PD, il 4% su Calenda-Renzi e il 19% si astiene (si veda Tabella 3).

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Salvini è il grande sconfitto di queste ultime consultazioni politiche con una parabola discendente assai simile a quella di Renzi, trionfatori alle europee con percentuali di consenso da record e grandi perdenti nelle politiche successive. La Lega ha però un andamento differente da quello del partito di Berlusconi, Nel 2013 supera di poco il 4%, vola al 17,4% nel 2018 diventando il primo partito del centrodestra e ri­piomba nel 2022 sotto in risultato a due cifre all’8,67%, perdendo per strada 3.234.511 elettori con un calo del (56,8%). Solo il 29% degli elettori leghisti del 2018, secondo Swg, riconfermano il loro voto, il 40% è attratto dalla Meloni, il 21% si è astenuto, il 6% ha votato altri partiti e il 4% Azione-Italia Viva. Un disastro che mette in dubbio la guida di Salvini, fino al Papete leader incontrastato del movimento fondato da Umberto Bossi. La Lega riconferma però una costante della sua storia elettorale: cresce quando è all’opposizione e scende quando è al governo. Vedremo se sarà così in futuro anche per Fratelli d’Italia (si veda Tabella 4).

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Il partito di Giorgia Meloni, infatti, aumenta i suoi consensi come un torrente in piena che travolge nel centrodestra tutto quello che incontra sulla sua strada. Fratelli d’Italia nel 2013 aveva ot­tenuto l’1,96% e meno di dieci deputati. Sale al 4,35% nel 2018 per esplodere nel 2022 e diventare il primo partito italiano con il 25,99% e 7.300.628 voti, superiori all’intero schieramento di cen­trosinistra. Da dove arriva la messa dei voti raccolta dalla Meloni? Secondo le analisi di Swg, fatto 100 gli elettori che hanno dato la loro fiducia a Fratelli d’Italia nel 2022, 16 confermano il loro voto del 2018, 50 provengono dal centrodestra (30 votavano Lega e 20 Forza Italia), 17 sono emigrati dal M5S e 17 si erano astenuti (si veda Tabella 5).

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Il centrosinistra dal canto suo perde solamente 169.099 elettori ri­spetto al 2018 (+3,27% in termini percentuali) pur con una geo­grafia cambiata. Nel 2022 le forze politiche che avevano dato vita a Liberi e Uguali (1.114.799 voti pari 3,39%) sono rientrati, in varie forme, dentro i confini della coalizione e ne sono usciti i renziani di Italia Viva e i sostenitori di Calenda. Più netto l’arretramento rispet­to alla non vittoria della coalizione di Italia Bene comune di Bersa­ni, Vendola e Tabacci del 2013: -2.711.739 in voti assoluti e -3,42 punti percentuali. La mancata alleanza con Calenda o in alternativa con il M5S ha certamente penalizzato il risultato del centrosinistra, apparso non competitivo e assai poco attraente nonostante il buon risultato dell’alleanza rosso-verde tra Sinistra Italiana e Europa Verde (1.018.669 voti e il 3,63%) e di +Europa (793.961 voti) che per una manciata di consensi non supera lo sbarramento del 3% (2,83%). Il partito di Emma Bonino conferma sostanzialmente il dato del 2018 nonostante nella sua area politica si fosse insediato il terzo polo ren­zian-calendiano (si veda Tabella 6).

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E il Partito Democratico? Il partito guidato da Enrico Letta perde in quattro anni 806.810 voti, nonostante la lista Italia Democratica Progressista vedesse insieme al PD nel 2022 anche Articolo 1, De­mos e il Partito Socialista Italiano. In termini percentuali vi è una mini crescita dello 0,31%. Secondo Swg, la lista del PD ha il più alto tasso di riconferma rispetto agli elettori del 2018, recupera parte del consenso di Liberi e Uguali e liste minori di centrosinistra (comples­sivamente il 10% del totale dell’elettorato dem del 2018). Il 15% proviene da elettori dal M5S, il 4% votava centrodestra e il 10% nel 2018 si era astenuto. Perde, invece, dal bacino di consenso del 2018 12 elettori su 100 in direzione Calenda-Italia Viva e 5 verso il partito di Conte. Per usare un’immagine contadina, il PD appare come una botte che perde sia di sopra (a sinistra per un riposizionamento dei 5 Stelle contiani) che di sotto verso Calenda-Renzi.

La strategia del dualismo (scegli o stai con lei o con noi) tra Meloni e il PD non ha pagato e non vi è stato alcun recupero del voto nelle periferie, mentre nelle cosiddette Ztl la competizione con il terzo polo ha danneggiato significativamente il risultato dem, chiamati ora a ri­pensare totalmente ruolo e identità del partito. Un PD su cui incombe la sindrome del Partito Socialista Francese. Il PSF, infatti, partito lun­gamente egemone della sinistra d’oltralpe in pochi anni, è stato ridotto all’1,75% della sua candidata alle ultime elezioni presidenziali francesi, colpito mortalmente più che da una crisi della sua classe dirigente dai colpi infertigli da “destra” da Macron e da “sinistra” da Mélenchon. Senza un’autentica “rifondazione” culturale e politica e un processo costituente il PD rischia davvero grosso (si veda Tabella 7).

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Per parte sua, invece, Giuseppe Conte è riuscito in un autentico mi­racolo se è vero che i sondaggi di luglio 2022 lo davano a cavallo della linea del 10% e dalle urne è uscito con un più che onorevole 15,43%.

Il raffronto con il successo straripante del 2018 è impietoso: -6.398.318 elettori e -17,25% in termini percentuali. La maggioranza degli elettori pentastellati nel 2018, secondo Swg, si sono rifugiati nell’astensione (36 su 100), 30 hanno riconfermano la loro fiducia, il 14% è arrivato da Fratelli d’Italia, il 10% da un partito del centrosinistra (7% PD, 3% al­tri) e un altro 10% aveva votato altri partiti. Eppure la percezione è stata quella di una tenuta rispetto a una tendenza irreversibile all’irrilevanza, ampiamente alimentata da molti opinionisti che vanno per la maggiore.

Per ottenere questi risultati Conte non ha esitato, aprendo nei fatti la crisi di governo, a mettere davanti a tutto la sopravvivenza del Movimento e nel conto una rottura della coalizione del suo secondo governo con PD e LeU. Un M5S tornato in buona sostanza alle ori­gini, con una ripresa di venature populiste, che ha messo a profitto il reddito di cittadinanza e abilmente oscurato, in un clima di protesta e rancore, l’essere stato l’unico soggetto sempre al governo negli ulti­mi quattro anni (si veda Tabella 8).

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Il centro nel 2018 era stato il grande assente sulle schede elettorali, dopo l’ottima performance di Monti nel 2013 (3,6 milioni di voti e il 10,56%). Raggiunta l’intesa negli ultimi giorni prima della sca­denza per la presentazione della lista, l’alleanza elettorale tra Calen­da e Renzi ha retto, ottenendo complessivamente un buon risultato (2.186.658 pari al 7,59%), inferiore all’obiettivo sbandierato in cam­pagna elettorale in particolare dal leader di Azione del 10%, ma supe­riore al 6% dei sondaggi più pessimisti. Interessante la composizione dell’elettorato del nuovo soggetto, secondo Swg. Il 14% del consenso proviene da elettori del centrodestra (8% Lega e 6% Forza Italia), il 47% dal centrosinistra (35% dal PD, 7% da +Europa e 5% da altri di centrosinistra), il 39% da altre aree politiche (13% M5S e 26% astenuto). La questione sarà la convivenza di due personaggi “forti” sotto lo stesso tetto dei gruppi parlamentari (si veda Tabella 9).

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Analizzando i dati dell’Istituto Cattaneo in relazione alle storiche “fratture” territoriali (Nord-Sud e città e campagna), invece, si con­ferma un andamento differenziato con la coalizione di destra-centro nettamente più forte nei piccoli Comuni (+30 punti percentuali rispetto al centrosinistra), mentre l’alleanza guidata dal PD supera la coalizione avversaria nelle grandi città (oltre 350.000 abitanti) in media del 3%. Nel Nord-Ovest e nel Nord-Est vince a mani basse la destra-centro e il centrosinistra esce sconfitto anche nell’ex “cuore rosso” di Emilia, Toscana e Umbria. Al Sud invece la resilienza del Movimento 5 Stelle determina uno schema tripolare, con la con­seguenza di colorare di giallo (colore usato per la rappresentazione grafica) una decina di collegi uninominali.

Tra i giovani (18-34), il primo partito è Fratelli d’Italia (22%), segui­to da PD (19%) e 15% M5S, anche se il 37% diserta le urne. (Fonte Swg anche per i successivi dati). Nella fascia d’età tra i 35 e i 54 anni trionfa il partito della Meloni (29%), seguito a grande distanza da PD (17%) e M5S (14%), con il 32% di non votanti. Tra i pensionati (astensione al 35%), vince Fratelli d’Italia (25%), con al secondo posto il PD (21%) e M5S al 16%. Tra i lavoratori autonomi analoga tendenza: Fratelli d’Italia (32%), PD (14%) e a pari merito al 12% Forza Italia e Movimento 5 Stelle, con solo il 25% di astensione. Il voto operaio vede al primo posto il non voto (45% di astensione), con M5S e Meloni al 21% e il PD al 18%.

La spia di un malessere diffuso è evidenziata dal tasso di astensioni­smo nel ceto medio (40%) e tra chi ha difficoltà economiche (46%), dati che confermano recenti dati elaborati da Tecnè per cui la di­saffezione al voto cresce al crescere della marginalità e del disagio economico e sociale.

Merita, infine, un’attenzione particolare il funzionamento del Rosa­tellum. Il “premio di maggioranza implicito”, determinato dalla pre­senza alla Camera di 147 collegi uninominali su 392 seggi (8 sono gli eletti all’estero), rispetto alla prima applicazione, nel 2022 ha prodotto effetti importanti, in termini di disproporzionalità: 16,10 punti percentuali.

La coalizione di destra-centro, infatti, ottiene alla Camera, con il 43,79%, 235 seggi, pari al 60,0% del totale Italia (sono esclusi i seggi Estero). Il centrosinistra con il 26,13% dei voti si ferma a 80 seggi (20,4%); il Movimento 5 Stelle (15,43% in termini di voti e 13% di seggi) e Azione-Italia Viva (7,79% di consensi e il 5,35% dei seggi).

Al Senato, invece, la ripartizione era di 74 collegi uninominali, 122 nella quota proporzionale e 4 eletti all’Estero. A Palazzo Madama siederanno in rappresentanza della coalizione di destra-centro 112 senatori (57,14% del totale, esclusi gli eletti all’Estero) a fronte del 44,02% dei voti con un “premio di maggioranza implicito” del 13,12%. Con il 25,99% dei voti, il centrosinistra si vede assegnati 39 seggi (19,9% dei senatori), il M5S con il 15,55% ottiene 28 senatori (14,29%) e il duo Calenda-Renzi 9 soli senatori (4,6% del totale) contro il 7,73% dei voti.

I prossimi mesi saranno importanti sia per la tenuta della compagi­ne di governo e per la prova di leadership a cui è chiamata Giorgia Meloni in Italia e fuori sia per la capacità di rigenerazione (tutta da dimostrare) della sinistra di governo, pericolosamente stretta nella morsa Conte-Calenda.