Periferie

Di Salvatore Monni Mercoledì 20 Maggio 2020 12:40 Stampa
 

«La realtà si capisce meglio dalle periferie» osservava Papa Francesco nel 2013, da poco eletto, nella sua prima visita in una parrocchia della periferia nord di Roma. Ma cosa sono oggi esattamente le peri­ferie? Quando si pensa alle periferie l’elemento centrale è solitamente quello spaziale, la periferia è innanzitutto un luogo lontano dal cen­tro. Così la definisce, al singolare, anche la Treccani, che parla della periferia come della «arte estrema e più marginale, contrapposta al centro, di uno spazio fisico o di un territorio più o meno ampio». Un centro che non è solo un luogo fisico ma è anche e soprattutto il bello, la qualità, mentre in contrapposizione la periferia è il brutto, la scarsa qualità, il degrado fisico. Un degrado fisico che incide su stili e qualità di vita, determinando divergenti attitudini sociali e culturali.

Al centro gli spazi pubblici, compresi i negozi di quartiere e le strade commerciali, creano frequenti occasioni di partecipazione civica e interazione interpersonale, tali da favorire i beni comuni e relaziona­li, nonché il benessere individuale e lo sviluppo locale, tutti elementi che contribuiscono alla formazione di capitale sociale. Diversamen­te, in periferia è proprio l’assenza di questi spazi pubblici a determi­nare una marginalità e un’esclusione che diventano spesso un vero e proprio stigma per chi ci vive. Non che queste situazioni non esi­stano anche al centro, in molti centri urbani si hanno forti concen­trazioni di persone che vivono ai margini, senza un reddito e senza una casa e si trovano quindi spesso obbligate a occuparne una. Del resto, nelle città moderne, sempre più grandi, non è difficile trovare all’interno dello stesso nucleo urbano più centri e più periferie. Si possono avere, infatti, situazioni in cui una periferia pur lontana dal centro è molto ricca e i centri sono molto poveri; capita spesso nei paesi in via di sviluppo, ma anche in paesi ricchi dove i centri delle città si svuotano a favore di ricche periferie residenziali. Si pensi, solo per fare un esempio, alle cosiddette gated communities, vere e proprie enclaves residenziali spesso recintate e con accesso sorvegliato dove vi­vono i ricchi. Queste sono realtà presenti sia nel mondo ricco che in quello povero, e realtà simili esistono anche in Italia. Più che il luogo “lontano” direi quindi che oggi le periferie sono soprattutto il luogo dove maggiormente si misurano il disagio sociale e il degrado fisico. Questo vale del resto quando si usa l’espressione periferie riferendo­si alle città ma anche quando ci si riferisce alle “periferie del mondo” intese come la parte più povera e disagiata.

Un disagio economico e sociale, quello delle pe­riferie, misurato dalle difficoltà economiche di chi ci vive ma non solo. Elementi caratterizzanti sono la disoccupazione, la scarsa scolarizzazione, la marginalizzazione, la carenza di servizi e in­frastrutture. Tutti elementi che determinano una povertà non solo di reddito ma soprattutto di opportunità. Nascere in periferia significa trop­po spesso avere meno opportunità di chi nasce in centro. Opportunità di ampliare le proprie scelte, opportunità di realizzare i propri sogni. La povertà e la mancanza del lavoro sono deter­minanti anche per meglio comprendere la pre­senza in questi luoghi dell’economia criminale, che non casualmente trova spazio nella rappresentazione delle peri­ferie. Il degrado fisico è invece ben rappresentato dalle condizioni in cui versano le abitazioni di Edilizia Residenziale Pubblica, le cosid­dette case popolari, spesso nate per rappresentare un uomo nuovo ma diventate negli anni sempre più delle vere e proprie enclaves della diseguaglianza.

Ma le periferie non sono solo questo, sono spesso anche la parte più dinamica delle città, luoghi di maggior vivacità culturale, sociale e anche imprenditoriale. Vivacità che il più delle volte è espressa da chi al centro non riesce a realizzarsi: migranti e donne. Sono il senso di comunità presente nei luoghi dove spesso il disagio è maggiore nonché le aspettative di miglioramento della propria qualità di vita a determinare questa vivacità. Aspettative che favoriscono la coesione sociale ma che qualora in maniera costante e duratura vengano di­sattese possono rappresentare un problema non solo per la parte più povera della società ma anche per quella più ricca. Le rivolte nelle banlieue parigine o nei suburbs statunitensi ne sono la dimostrazione più evidente. Opportunità e rischi di una società diseguale che l’eco­nomista Albert Otto Hirschman ha ben sintetizzato con il cosiddetto “effetto tunnel”. La complessità sociale, la possibilità di osservare più da vicino gli ultimi è invece probabilmente l’aspetto a cui papa Fran­cesco si riferiva quando osservava che «la realtà si capisce meglio dalle periferie». Mettere al centro della definizione di periferia l’esclusione sociale piuttosto che l’elemento spaziale è un primo passo per iniziare a capire la realtà anche dal centro.