L’ultima prova per il sistema produttivo italiano

Di Giuseppe Surdi Mercoledì 20 Maggio 2020 10:39 Stampa
 

Il vecchio adagio per cui la crisi è anche un’opportunità per il cambiamento del sistema economico sta tornando prepoten­temente, anche in Italia, dopo la fase di contenimento epide­miologico della pandemia da Coronoavirus. Questa litania che si rafforza rischia di non tenere in debito conto la lezione degli anni difficili tra il 2009 e il 2012, in particolare per il nostro pa­ese, che hanno visto sicuramente una trasformazione nel sistema bancario, ma più per indirizzi europei e internazionali di ristrut­turazione e rafforzamento dei fondamentali del settore che per una strategia paese che trasformasse le debolezze in virtù. Dalla Grande recessione l’Italia è in realtà uscita con una perdita secca del valore aggiunto nel settore dell’industria non più recuperata, tutt’ora dell’ordine del 15% rispetto al 2008, e un tracollo nel settore delle costruzioni per certi versi sistemico nell’economia nazionale (Grafico 1).

E questo è avvenuto in un mondo che contemporaneamente era ripartito e ha fatto da scialuppa di salvataggio a quella parte del sistema produttivo orientato alle esportazioni, che ammontano a poco più di un quarto del prodotto interno lordo (il 26,7% nel 2019), generando surplus significativi della bilancia commerciale, circa 54 miliardi di euro nel 2019 pari al 3% del PIL. La tenuta del variegato mondo dei servizi e dell’agricoltura, nel corso di questi anni, non ha comunque consentito all’Italia il recupero dei livelli del PIL del 2008, diversamente da quanto avvenuto nelle altre tre grandi economie della zona euro – Germania, Francia e Spagna – che hanno ripreso vigore, portando di conseguenza il paese su un sentiero del reddito pro capite stabilmente inferiore a partire dal 2013 non solo alla media dei paesi dell’euro, ma in generale a quel­la dei paesi dell’UE.

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Questo è il contesto nazionale su cui si è abbattuta la più grande crisi economica dalla seconda guerra mondiale in avanti, a seguito dell’impatto del Coronavirus e delle misure di contenimento intra­prese dal governo per arrestare il diffondersi dell’epidemia e dei suoi effetti in termini di morti e di tenuta del Sistema sanitario nazio­nale. Una crisi doppia e simultanea, dell’offerta, da un lato, per la chiusura di un’ampia parte del sistema produttivo e distributivo e, dall’altro, della domanda nazionale per l’impossibilità all’acquisto – a esclusione dei generi essenziali e di quanto reperibile attraverso l’e-commerce –, per la riduzione dei redditi e per la modifica della propensione al consumo e specularmente al risparmio, alla luce delle prospettive incerte per il futuro, oltre che di quella internaziona­le. Sotto quest’ultimo profilo, infatti, secondo i primi dati dell’Istat rinvenibili nell’audizione relativa all’Attività conoscitiva preliminare all’esame del Documento di economia e finanza 2020, la diffusione internazionale del virus e i limiti per evitare contagi dall’Italia hanno determinato sul fronte dell’export extra UE un calo significativo sia per i beni di consumo durevoli (-21,8%), sia per i beni strumentali (-24,6%) generalmente punto di forza delle nostre esportazioni.

L’IMPATTO DEL LOCKDOWN

Per arrestare la diffusione del Covid-19, piegando la curva del con­tagio, è stato necessario il ricorso a drastiche misure di lockdown, avviate dal governo l’8 marzo e rafforzate il 22 marzo con la chiusura di tutte le attività produttive non essenziali o strategiche: tali misure hanno avuto come impatto nel primo trimestre dell’anno una caduta del PIL del 4,8%, che purtroppo sembra destinata ad ampliarsi si­gnificativamente nel secondo trimestre, in particolare per il pieno di­spiegarsi degli effetti nel mese di aprile e per il graduale allentamento delle azioni di contenimento, a meno di un rimbalzo delle attività già a partire da giugno. Secondo le stime dell’Istat, nell’industria, al lordo di quelle che hanno chiesto specifiche deroghe alla prefettura, solo un terzo delle imprese è rimasto in attività in quanto considerate strategiche o essenziali, mentre il fermo ha riguardato attività che determinano circa il 53% del valore aggiunto e poco meno del 60% degli addetti. Nel complesso circa 2,1 milioni di imprese e oltre 7 milioni di addetti tra industria, costruzioni e servizi hanno dovuto sospendere la propria attività: uno shock complessivo che per un solo mese può arrivare a significare 110 miliardi di mancato fatturato e 25 miliardi di valore aggiunto sfumati.

Gli effetti del protrarsi nel tempo delle misure di lockdown hanno quindi una magnitudo probabilmente sconosciuta per il nostro si­stema produttivo e incomparabile con precedenti eventi storici della storia recente. È emersa quindi immediata la necessità di liquidità di sopravvivenza per le imprese, per far fronte alle principali voci dei costi di gestione, che le istituzioni hanno cercato di fronteggiare attraverso un intervento del sistema creditizio, ormai più solido ri­spetto alla grande recessione, supportato da garanzie dello Stato tra l’80 e il 100% dei prestiti erogati dalle banche alle imprese in debito di ossigeno. Garanzie dello Stato contro i rischi per i bilanci delle banche derivanti dal fallimento delle imprese debitrici, che in realtà sono una fiche sulla tenuta di pezzi interi del sistema produttivo, distributivo e dei servizi del paese. La burocrazia di parte del sistema creditizio, fortunatamente con diverse lodevoli eccezioni, ha reso dif­ficile e rallentato un meccanismo di erogazione che voleva essere in linea di principio semplice e immediato proprio grazie al ricorso alle banche, mentre alcune pratiche opportunistiche, come l’utilizzo del­le garanzie statali per mettere in sicurezza debiti pregressi già erogati piuttosto che per la completa emissione di nuova liquidità nell’im­mediato hanno messo in difficoltà il funzionamento degli strumenti messi a disposizione in particolare per le piccole e medie imprese, che più di altre affrontano il tema della propria sopravvivenza a fronte di una domanda per lungo periodo di fatto bloccata.

L’assenza di grossa parte della domanda finale e, a salire, dei beni intermedi e strumentali, infatti, rappresenta l’altro grande capitolo delle misure straordinarie che hanno caratterizzato il nostro paese in­sieme alle principali economie mondiali, evidenziando una volta di più il ruolo del consumo come propellente del nostro sistema econo­mico e sociale. Lo shock da domanda per le misure di distanziamen­to sociale e l’ormai famoso “io resto a casa”, oltre che per il blocco di parte della distribuzione commerciale, sebbene ancora da misurare compiutamente, è pervasivo e sistemico fungendo da amplificatore degli effetti del lockdown, proiettando oltretutto in avanti le sue con­seguenze, in particolar modo se il blocco dell’attività produttiva si tradurrà in una caduta dei redditi e dell’occupa­zione alimentando la riduzione dei consumi, an­che per l’aumento del risparmio precauzionale.

Al netto del comparto alimentare in cui si è re­gistrata una sostituzione dei consumi tipici del tempo libero, in particolare della ristorazione, e per ovvi motivi del farmaceutico, il crollo è stato infatti verticale: nel solo mese di marzo, in cui si sono progressivamente ristrette le maglie dei divieti, l’ordine di grandezza della contrazione dei consumi è pari al 32% secondo le stime di Confcommercio, con l’azzeramento di interi set­tori che fino a ieri erano considerati una delle possibili leve per lo sviluppo del paese come il turismo. Per avere un’i­dea di cosa questo significhi basta guardare l’approfondimento dell’I­stat “Una stagione mancata: impatto del Covid-19 sul turismo”,1 che evidenzia come, rispetto al 2019, tra marzo e maggio sfumeranno 81 milioni di presenze turistiche (circa il 19% dell’anno), più della metà straniere, che generalmente portano nel paese in questo periodo un flusso di spesa, tra alloggi, ristorazione, shopping e trasporto, poco inferiore ai 10 miliardi di euro. Viste le difficili prospettive di ripresa soprattutto nei flussi provenienti dall’estero, anche per evitare con­tagi da fuori, misure straordinarie appaiono tanto urgenti quanto di difficile determinazione per un settore che solo nelle attività ricettive impiega 282.000 persone, di cui 220.000 dipendenti stando ai dati 2017. Ma la crisi sistemica della domanda da Covid-19 ha colpito anche settori che fungono da pilastro portante del manifatturiero de­dicati alla produzione di beni di consumo durevole come l’industria dell’auto, con un crollo delle immatricolazioni di nuove autovetture dell’85% nel mese di marzo e superiore al 95% nel mese aprile, per effetto della chiusura delle concessionarie o almeno così ci si augura, ma anche più che un dimezzamento del mercato dei rimorchi e semi-rimorchi.

LE DEBOLEZZE DEL SISTEMA NAZIONALE E LA MAPPA DEGLI INTERESSI STRATEGICI

Nel pieno dell’emergenza sanitaria sono peraltro emerse alcune del­le debolezze di un sistema economico che partecipa a pieno titolo alle catene globali del valore, ma che al contempo rischia di trovarsi spiazzato per la mancanza di pezzi di filiere produttive che dimo­strano di essere cruciali. L’esempio eclatante delle settimane passate è l’evidenza di un paese non attrezzato a fronteggiare picchi di do­manda nel settore medicale, sia per gli strumenti di cura e diagnosi di un certo grado di complessità sia per i semplici indumenti di protezione, ritrovandosi non solo a dover fare principalmente conto sull’approvvigionamento estero, ma anche a dover richiedere l’aiu­to delle autorità di altri paesi affinché questo approvvigionamento fosse garantito sotto forma di importazioni o di veri e propri aiuti. Nel mese di marzo è infatti più che quintuplicata l’importazione di apparecchi respiratori per la rianimazione e le terapie e per le elettrodiagnosi, sono più che triplicate le importazioni di camici, mentre le importazioni di mascherine si sono moltiplicate per 8. Questo ha comportato la necessità della riconversione di pezzi del sistema manifatturiero, come ad esempio Ferrari e FCA che hanno affiancato, in collaborazione con l’esercito secondo le indicazioni del governo, l’unica società nazionale esistente per la produzione di ventilatori polmonari per adeguarne la capacità produttiva, oppure come i produttori di alcolici che hanno trasformato la loro attività in produzione di disinfettanti e igienizzanti. Situazioni emergenzia­li, certo, ma che mostrano i limiti di un sistema produttivo che non risulta pienamente in grado non solo di rispondere agli interessi strategici, ma anche alle esigenze essenziali della comunità nazio­nale. Alla luce della crisi di liquidità e del crollo dei corsi azionari di fine febbraio e inizio marzo, le preoccupazioni delle autorità politiche e di governo si sono inoltre orientate alla difesa del sistema nazionale delle imprese e delle principali attività finanziarie, esposte a crescenti rischi di acquisizione estera di partecipazioni di maggioranza o di controllo, aumentando di conseguenza gli strumenti di protezione attraverso il rafforzamento del cosiddetto golden power, ovvero i poteri speciali di intervento non solo nei settori della sicurezza nazionale, ma anche in quelli strategici. L’ampliamento delle possibilità di intervento per il governo in settori che ormai vanno dalle infrastrutture energeti­che, idriche, di trasporto e di telecomunicazioni ai settori finanziario, creditizio e assicurativo, alla sicurezza alimentare, agli ambiti tecno­logici della robotica, intelligenza artificiale, semiconduttori, nano­tecnologie e biotecnologie, l’estensione a operazioni di acquisizione di partecipazioni di piccola taglia anche a livello intraeuropeo in via transitoria e l’aumento degli obblighi di trasparenza finanziaria per le imprese danno il senso delle preoccupazioni per il controllo di leve cruciali per lo sviluppo e la sicurezza del paese e probabilmente anche per la coerenza tra assetti proprietari e di governance del sistema economi­co nazionale e interessi strategici.

Nella prospettiva dell’elaborazione di un piano di riorganizzazione e di rilancio del paese, emer­ge la necessità di una mappatura del sistema pro­duttivo e dei servizi che sia in grado di incrocia­re le variabili sottoposte alle osservazioni degli apparati di intelligence con il ruolo delle filiere produttive e delle singole imprese nell’economia nazionale. In questa ultima direzione una recen­te analisi di studiosi e ricercatori di università italiane e del centro studi Prometeia, “Back to normal. Centralità delle attività economiche e impatto della loro riapertura”,2 ha cercato di individuare sia i micro­settori rilevanti per le singole filiere, sia quelli cardine per il funziona­mento sistemico della capacità produttiva del paese, con l’obiettivo di comprendere quali attività consentirebbero una più rapida attiva­zione del sistema economico nel suo complesso e quindi dovrebbero superare prima la fase del lockdown. Cambiando obiettivi analitici e procedendo con un approccio più granulare, in grado di arrivare a un livello ancora più puntuale, sarebbe quindi possibile tracciare una mappa, ovviamente dinamica, delle reti e dei nodi produttivi, tecnologici, degli assetti proprietari e di governance del sistema eco­nomico, in grado di evidenziare punti di forza e di debolezza, sia verso l’interno che verso l’esterno, e quei rischi di natura strategica che richiedono l’attenzione delle autorità pubbliche.

UN PIANO PER IL FUTURO

Sebbene la crisi dovuta al Coronavirus non sembri configurare op­portunità, quanto piuttosto rischi forse esiziali per alcuni pezzi del nostro sistema economico, costituisce comunque, per dirla con papa Francesco, un momento di scelta che ha bisogno di discernimento e strumenti di conoscenza su cui basare le proprie valutazioni per essere adeguatamente compiuta. Oggi ci troviamo di fronte a due grandi ambiti di decisione, uno immediato e un altro a medio ter­mine, sebbene in questo tempo che accelera con ogni nuovo evento stiamo ragionando di mesi e non di anni.

Nell’immediato il tema è la sopravvivenza del motore produttivo del paese ovvero di quel sistema di imprese e di lavoratori colpiti nei propri bilanci, nella cassa disponibile, nei redditi e nelle speranze di mantenere il posto di lavoro. Le misure di garanzia pubblica alla liquidità fornita dal sistema bancario, accompagnate sul fronte dei lavoratori dipendenti o meno dall’attivazione della Cassa integrazio­ne, che purtroppo fatica a essere erogata, dall’obbligo imposto alle imprese di non procedere a licenziamenti e dalle misure di sostegno al reddito, nel momento in cui si scrive è probabile siano estese, raf­forzate e integrate, ad esempio, da un supporto a fondo perduto per le attività economiche, probabilmente di piccola taglia per le situa­zioni emergenziali, oltre che dal prolungamento e dall’incremento dei sostegni ai cittadini. Ma per affrontare quella che si spera essere una fase di transizione breve di convivenza con il virus è necessario far di più, anche individuando uno stato di eccezione sotto il profilo normativo e regolamentare sia interno per le imprese visto che i bi­lanci del 2020 saranno difficili da chiudere a condizioni date, come suggerito da alcuni studiosi,3 sia in ambito comunitario per gli Stati membri probabilmente maggiore di quanto fatto finora. Se il mini­stro dell’Economia tedesco ha messo sul tavolo la possibilità di aiuti di Stato che possono tramutarsi in possibilità di nazionalizzazioni, per quanto temporanee, a salvaguardia degli interessi economici na­zionali, dotando la KfW, banca di sviluppo tedesca, di 100 miliardi di euro diretti al rafforzamento patrimoniale fino all’acquisizione, in tutto o in parte, delle grandi società teutoniche in difficoltà, emerge di conseguenza che, almeno per il periodo strettamente necessario all’avvio di un nuovo percorso di crescita e di sviluppo, politiche della concorrenza e disciplina degli aiuti di Stato a livello europeo entreranno, di fatto o per scelta collettiva, in una fase nuova.

Secondo alcuni ricercatori della Banca d’Italia,4 in un medio termi­ne, che urge ribadire coincide con i prossimi mesi, oltre a imma­ginare sistemi che garantiscano la ricapitalizzazione delle imprese, sarebbe utile avere a disposizione uno strumento pubblico in grado di ristrutturare il capitale delle imprese, che probabilmente dovrebbe essere in grado di spingersi, se necessario, a interventi del tipo oba­miano come quelli dell’industria dell’auto nella Grande recessione. Misure di questo genere fondano però il loro presupposto su una solidità delle finanze pubbliche e private del paese che non dovrebbe essere messa costantemente in discussione, ma che altresì dovrebbe essere rafforzata consentendo, con le opportune regole e incentivi, l’adempimento di quell’“imperativo morale” – auspicato dal Carlo Messina, CEO di Intesa Sanpaolo, banca di sistema per eccellenza – del rientro e l’impiego di quei patrimoni degli italiani attualmente collocati all’estero.

Ancor prima però è necessario un piano che, forte della mappa del sistema produttivo italiano, delinei il percorso strategico che il si­stema paese dovrebbe imboccare, con la consapevolezza da un lato della necessità di sfruttare al meglio quegli asset strategici in grado di guidare e alimentare le filiere produttive e tecnologiche nazionali e dall’altro di sostenere, anche con politiche aggressive, la domanda aggregata del paese che, riducendo l’incertezza sul futuro, possa aiu­tare l’emergere degli animal spirits degli imprenditori e consentire investimenti e crescita della produttività. Questo è il compito a cui le autorità politiche, l’amministrazione pubblica, le imprese, i sindacati e i cittadini nelle prossime settimane dovrebbero sentirsi chiamati.

 


 

[1] Istat, Una stagione mancata: impatto del Covid-19 sul turismo, 29 aprile 2020, dispo­nibile su www.istat.it/it/archivio/242017.
[2] G. Barba Navaretti, G. Calzolari, A. Dossena, A. Lanza, A. F. Pozzolo, “Back to normal. Centralità delle attività economiche e impatto della loro riapertura”, 17 aprile 2020, disponibile su www.carloalberto.org/wpcontent/uploads/2020/04/Riapertu­ra-Covid-BOZZA-final-17-4-2020-con-ExecSum-ore-21-42.pdf.
[3] A. Parbonetti, A. Pugliese, “Come tutelare il patrimonio delle imprese”, in “lavoce. info”, 28 aprile 2020, disponibile su www.lavoce.info/archives/66117/come-tutela­re-il-patrimonio-delle-imprese.
[4] G. Gobbi, F. Palazzo, A. Segura, Le misure di sostegno finanziario alle imprese post- COVID-19 e le loro implicazioni nel medio termine, Banca D’Italia, 15 aprile 2020, disponibile su www.bancaditalia.it/media/notizie/2020/Gobbi-et-al-15042020.pdf.