La complessità della semplificazione

Di Giuseppe Marino Mercoledì 13 Maggio 2015 15:33 Stampa

Il recente decreto semplificazioni fiscali introduce una serie di novità che suscitano un iniziale favore per l’intento semplificatore che sembra pervaderlo. Alla luce di una valutazione più ponderata, però, esso rivela non solo la mancanza di un reale e organico disegno riformatore, ma anche il perdurare di alcuni meccanismi che, sul piano pratico-operativo, disincentivano l’instaurarsi di un rapporto direttoe di fiducia tra fisco e contribuente. Per risultare davvero efficace, un processo di semplificazione fiscale a livello normativo ha bisogno di tempi di elaborazione lunghi e di interventi strutturali, chiari e pienamente fruibili dai contribuenti.

La semplicità è un fatto complesso. Sembra un gioco di parole ma non lo è, in quanto, spesso e soprattutto in ambito fiscale, semplificare una disciplina o una procedura risulta più arduo che complicarla. Per far ciò, non basta la promulgazione di un “semplice” corpo di norme, caratterizzato anche da novità di assoluto valore e volto a mettere delle “toppe” alle incoerenze o sviste normative più eclatanti tipiche di un sistema normativo alquanto complesso come quello italiano, ma bisogna anche fare i conti con la realtà economico-giuridica in cui si vive, coniugare il dato testuale con la sua concreta applicazione, capire le esigenze dei potenziali fruitori e la loro effettiva capacità di attuare quanto di nuovo prestabilito. Ebbene, proprio in questa ottica dovrebbe essere valutato il decreto legislativo 175/2014, entrato in vigore il 13 dicembre 2014, in attuazione della legge delega 23/2014 in materia di semplificazioni fiscali (articolo 7). Il provvedimento in questione – denominato dagli addetti ai lavori, appunto, “decreto semplificazioni fiscali” – introduce una serie innumerevole di novità che, interessando trasversalmente tutti i settori della fiscalità del nostro paese, da quella sostanziale a quella procedimentale e processuale, non possono che suscitare uno stato iniziale di soddisfazione: difatti, da una visione d’insieme della disciplina contenuta nel citato provvedimento avente forza di legge emerge chiaramente l’intento di recuperare e rinforzare la fiducia nel rapporto tra fisco e cittadino, che molto spesso è stato conflittuale e di difficile gestione.

Tutto ruota attorno alla necessità (rectius, volontà) di eliminare gli adempimenti superflui, di scarsa utilità, che danno luogo a duplicazioni o comunque non conformi al principio di proporzionalità. In particolare, l’introduzione del modello 730 precompilato per lavoratori dipendenti e pensionati, le nuove misure di semplificazione per le procedure di rimborso ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, l’innalzamento del limite di esonero della presentazione della dichiarazione di successione, l’innalzamento del limite di detraibilità per gli acquisti di omaggi non rientranti nell’attività di impresa, l’iscrizione immediata all’archivio VIES, l’allineamento dei criteri per identificare la prima casa ai fini dell’IVA e ai fini dell’imposta di registro, l’obbligo di invio dei dati contenuti nelle lettere d’intento che passa dal fornitore all’esportatore abituale, l’innalzamento da 500 a 10.000 euro della soglia di esonero delle operazioni da includere nella comunicazione black list, la semplificazione degli elenchi Intrastat in relazione alle prestazioni di servizi cosiddette “generiche” rese nei confronti di soggetti passivi di IVA stabiliti in un altro Stato UE e quelle da questi ultimi ricevute sono solo alcune delle novità contenute nel citato decreto. L’impressione complessiva, però, è quella di trovarsi di fronte a un poderoso lavoro di ricerca della semplificazione su base casistica in assenza di un organico assetto realmente riformatore.

A tal proposito, basti pensare al provvedimento di maggiore impatto mediatico, ossia la dichiarazione 730 precompilata, che, sebbene farà evolvere il pagamento delle tasse alla versione 2.0, lascia ancora aperte molte questioni sulla sua attuazione e reale semplificazione. Oltre 20 milioni di italiani (secondo le stime del MEF), tra lavoratori dipendenti e pensionati, dovrebbero potersi compilare da soli la dichiarazione dei redditi. Il modello sarà, per la maggior parte, compilato dall’Agenzia delle entrate, che inserirà i dati presenti nell’anagrafe tributaria e le informazioni trasmesse da banche, assicurazioni ed enti previdenziali, ma sarà poi compito del singolo integrarlo con tutti quei dati che non compariranno nella versione precompilata, come, ad esempio, le spese mediche per cui si richiede la detrazione al 19%, nonché tutti gli oneri deducibili e detraibili (quali spese per istruzione ed erogazioni liberali), dati che dovrebbero apparire telematicamente solo nel 2017.

Ma ecco che il nuovo rapporto “a tu per tu” con il fisco fa nascere le prime ansie e dubbi, che di sicuro non sono attenuati neanche dalla lettura del provvedimento di ben 283 pagine (di cui 267 di specifiche tecniche) elaborato dall’erario per spiegare il nuovo istituto. Anzitutto, è spontaneo chiedersi come sia possibile che un intervento normativo improntato alla semplicità e alla piena fruibilità da parte del cittadino porti in dote un manuale esplicativo che, tra rimandi a commi, punti, provvedimenti, circolari e dettagli tipici del burocratese, di sicuro non avvicina il cittadino al fisco: è necessaria una guida della guida. La dichiarazione, poi, non busserà alla porta degli italiani che ne hanno diritto, né sarà spedita per email, neanche a quanti avessero la posta elettronica certificata, ma tutta la procedura “fai da te” dovrà essere eseguita online attraverso il proprio “cassetto fiscale”, al quale si può accedere solo dopo aver richiesto il pin, percorso che comporta uno slalom tra compilazioni di format, conferme e attese di autenticazione. Da ultimo, è opportuno segnalare un’altra criticità del provvedimento in esame, che risulta ancor più paradossale se visto nell’ottica non solo dell’Agenzia delle entrate ma anche del mondo dei professionisti del settore. È vero che la dichiarazione ha un’interfaccia accomodante che consente (a chi riesce), con un colpo di mouse, di integrare e modificare personalmente le singole caselle, ma forse si perde di vista il fatto che tale operazione trasformerà il contribuente da amico in nemico del fisco. Difatti, colui che accetta la dichiarazione senza apportare cambiamenti al modello sarà immune da controlli successivi; in caso contrario, sarà sottoposto a eventuali controlli e verifiche, quindi aggravando il ruolo dell’erario. Tutto ciò potrà essere evitato per i contribuenti che decideranno di avvalersi di intermediari abilitati e professionisti per lo scarico e il successivo invio della dichiarazione. Infatti, in tal caso, gli eventuali controlli saranno indirizzati direttamente a colui che ha fornito assistenza, il quale sarà chiamato a rispondere direttamente in caso di errore. Tale circostanza, oltre a non agevolare l’attività dei professionisti, darà vita a un aumento dei rispettivi compensi, che graveranno inevitabilmente a cascata sui contribuenti stessi.

Verrebbe da dire, quale semplificazione fiscale? Nel senso che, se la validità del suddetto provvedimento, così come degli altri che caratterizzano il decreto semplificazioni, non può essere messa in discussione da un punto di vista del risultato da raggiungere, di fatto poi il tutto è svilito sul piano pratico-applicativo. Ciò è un dato allarmante, perché la semplificazione di un sistema normativo non passa solo dal dato teorico ma soprattutto da quello pratico, il quale gioca un ruolo di assoluto rilievo. Vanno bene atti che potremmo definire di “manutenzione straordinaria legislativa”, ma ciò non vuol dire perdere di vista il terreno in cui questi si innestano, perché altrimenti si vengono a creare delle situazioni ove tutto cambia per non cambiare. E tale riflessione ad alta voce vuole essere solo un invito a chi ha il dovere di ripensare al sistema fiscale nella sua essenza, ossia snellire un corpus normativo che rende la gestione particolarmente ardua tanto per le imprese (nazionali e non) quanto per i singoli contribuenti persone fisiche. Si pensi al mondo della tassazione locale ove, nel corso degli ultimi anni, abbiamo visto succedersi varie forme di imposizione che, sebbene aventi a oggetto la medesima espressione di capacità contributiva, oltre a essere caratterizzate da presupposti applicativi diversi sono state interessate da provvedimenti che ne cambiavano in corso d’opera aliquote o date di scadenza. E tanti altri casi potrebbero essere portati come esempio, in chiave fiscale, della non fluidità del sistema normativo nazionale, come quello della fiscalità finanziaria o dell’affascinante tematica della voluntary disclosure, il cui fine si scontra poi con le insidie applicative della stessa, con rischi non indifferenti tanto per i contribuenti che decidono di avvalersi della procedura quanto per i professionisti che assistono questi ultimi nella sua corretta gestione. Sulla base di quanto finora descritto, è chiaro ed evidente che un processo di semplificazione fiscale a livello normativo, soprattutto in Italia, non è sicuramente agevole e realizzabile in poco tempo, ma che esso deve avvenire abbandonando l’idea di raggiungere risultati nel breve termine mediante atti che potremmo definire di “camouflage legislativo”. Servono interventi strutturali, chiari e pienamente fruibili dai contribuenti, in quanto solo così è possibile pensare a un fisco vicino al cittadino.

In tal senso, allora, bisognerebbe con coraggio parlare di modernizzazione più che di semplificazione, cioè di un fisco che segua il nostro tempo dal punto di vista della ricchezza da catturare, che non è più quella degli anni Settanta a cui risale l’impianto strutturale che è tutt’oggi in vigore, ma soprattutto dal punto di vista del rapporto con i contribuenti, che è da rinfrescare adeguandosi a quelle che sono le nuove istanze della gente, gli usi e le consuetudini moderne, trasformandosi in una vera e propria “App” che chiunque possa scaricare sul proprio tablet o sul proprio smart phone.

Tempo fa il presidente del Consiglio ha esclamato: «Basta vedere il fisco come se fosse un mostro»; non si tratta di mostri o streghe da combattere, ma di rendere il sistema Italia una macchina la più moderna possibile, con ingranaggi più comprensibili, così da potere, da un lato, contrastare l’evasione fiscale e, dall’altro, garantire un’equa distribuzione del carico tributario come prescrive la Costituzione.