Non è la presenza di un governo a sancire la differenza fra la democrazia liberale e gli altri tipi di sistema politico. I governi, infatti, sono presenti in tutti i sistemi politici: democratico-liberali, autoritari e totalitari. Elemento specifico delle democrazie liberali, oltre a un suffragio universale effettivo, è l’esistenza di un’opposizione legalmente e socialmente riconosciuta. Non si comprende la specificità della cittadinanza democratica senza fare riferimento alla possibilità di dissenso etico e politico radicata nella libertà di critica.1
Secondo Alessandro Pizzorno sono le peculiarità della storia europea a consentire, a seguito dell’affermazione della libertà religiosa, anche il conseguimento della libertà politica; ciò accade quando diviene possibile, per utilizzare una sua efficace espressione, «trasferire il contenuto del foro interno dell’individuo sul foro esterno».2 Per effetto di tale libertà di critica del potere politico, nascono all’interno dell’assemblea parlamentare i concetti di “maggioranza” e di “opposizione”, termini che inizialmente stanno a indicare i favorevoli e i contrari alla politica del monarca e che producono anche un’immagine spaziale di contrapposizione politica palese: l’andarsi a posizionare, all’interno dell’aula di Westminster, dei parlamentari favorevoli all’esecutivo da un lato e quelli contrari dall’altro (con in mezzo all’emiciclo, la presenza di una sedia vuota, rappresentante la Corona), rende il transito da una parte all’altra anche un gesto simbolico.3 È soprattutto nel corso del Settecento che l’esigenza di contenere i poteri degli esecutivi induce i rappresentanti nei Parla menti a istituzionalizzare progressivamente i propri comportamenti e a stabilizzare i differenti ruoli degli schieramenti parlamentari.
Per effetto di demarcazioni simboliche molto marcate «nel corpo legislativo, ciò che prima era fazione divenne un partito politico. Chi era “dentro” al governo del momento si trovava contro chi era “fuori”, secondo un meccanismo che in Gran Bretagna cominciò a essere ufficialmente etichettato come la leale opposizione a sua maestà. Nell’Inghilterra del XVIII secolo, la fazione che sosteneva il monarca e la fazione opposta, appoggiata dalla maggioranza della nobiltà di campagna, si trasformarono gradualmente in tory e whig. Nel corso dello stesso secolo, in Svezia, le due formazioni avverse del Parlamento si definivano scherzosamente i cappelli e i berretti».4
Nell’ultimo scorcio del Settecento, sempre dentro a un’assemblea parlamentare, stavolta quella francese, nelle settimane tumultuose successive alla presa della Bastiglia, acquisiscono significato politico i termini “destra” e “sinistra”. Nelle sedute tra la fine di agosto e i primi di settembre 1789 l’assemblea si divide a metà: i sostenitori del mantenimento del veto reale sulle leggi si siedono alla destra del presidente e i contrari alla sua sinistra.5 Sono esigenze funzionali, legate alla celerità nelle operazioni di conteggio dei voti che producono una distinzione spaziale fra conservatori e progressisti. Esistono analisi articolate orientate a evidenziare la fragilità, se non la natura fuorviante, di tale distinzione.6 Eppure, tali termini hanno caratterizzato lo scenario politico dell’intero Novecento e, anche oggi, li possiamo ritrovare intrecciati ai riferimenti valoriali delle differenti culture politiche caratterizzanti l’azione di milioni di persone. Come è stato possibile?
Basterà solo accennare, in questa sede, a come tale distinzione diventa un crinale cruciale della politica moderna, quando, in seguito ai cicli di mobilitazione scaturiti dalla rivoluzione industriale, nuovi partiti, diramatisi dal tronco del movimento operaio, entrano nelle istituzioni rappresentative di conio liberale e devono prendere posto nelle aule parlamentari. In altri termini, la distinzione fra destra e sinistra diviene uno dei criteri distintivi principali della politica moderna quando si sovrappone a una cruciale linea di frattura che attraversa la società: quella che separa il “capitale” dal “lavoro”.7 Se condo Stein Rokkan, la notevole stabilità di molti sistemi partitici del Novecento si spiega con la perdurante connessione fra le linee di frattura che attraversano la società e l’offerta politica, intesa quale insieme delle formazioni significative presenti nel sistema partitico. Le società sono attraversate da molteplici conflitti, ma soltanto quelli più intensi e prolungati danno origine a linee di frattura durature. Il presidio organizzativo dei partiti sulle principali linee di frattura avrebbe conferito, secondo Rokkan, una notevole stabilità e viscosità ai sistemi politici europei nel Novecento.8 In particolare, la linea di frattura capitale/lavoro sarebbe stata tematizzata in modo differente nei diversi paesi nel corso del Novecento, a opera dei partiti originati dal movimento operaio che hanno rivendicato maggiore uguaglianza, formale e materiale, per il mondo del lavoro.
A questo proposito, così si è espresso Norberto Bobbio negli anni Novanta: «“Destra” e “sinistra” sono due termini antitetici, che da più di due secoli sono impiegati abitualmente per designare il contrasto delle ideologie e dei movimenti in cui è diviso l’universo, eminentemente conflittuale, del pensiero e delle azioni politiche […]. Destra e sinistra non sono parole che designano contenuti fissati una volta per sempre. Possono designare diversi contenuti secondo i tempi e le situazioni […]. [Si può sostenere che] la distinzione tra destra e sinistra si richiama al diverso giudizio positivo (sinistra) o negativo (destra) sull’ideale dell’uguaglianza».9
Nella sua analisi, Bobbio evidenzia come destra e sinistra siano termini: a) cangianti nel tempo e nello spazio, sebbene tendenzialmente caratterizzati da una differenza di giudizio riguardo alla questione dell’uguaglianza; b) in grado di produrre ordine e riconoscimento all’interno dell’universo conflittuale del politico; c) insufficienti, tuttavia, a definire nella completezza il prisma delle possibili posizioni politiche. Infatti, l’uguaglianza è solo una delle dimensioni di contenuto attraverso le quali possiamo guardare ai sistemi politici. Un’altra dimensione fondamentale è costituita dalla libertà, quale criterio che distingue le ideologie e gli attori liberali dagli altri. Pertanto, la distinzione politica fondamentale, per Bobbio, non è mai solo fra destra e sinistra, bensì anche fra posizioni liberali (di destra o di sinistra) e posizioni illiberali (di destra o di sinistra).
In vari paesi europei, nel corso degli ultimi anni hanno preso vigore elettorale diversi partiti definiti “neopopulisti”.10 Tali partiti hanno fatto della crisi delle ideologie novecentesche – e della critica alla conseguente convergenza programmatica fra i partiti mainstream – un cavallo di battaglia, ridefinendo la propria offerta politica a partire dalla centralità di un popolo “puro” da contrapporre alle élite “corrotte”. Nel dirsi “fieramente populisti”, i leader neopopulisti cercano di smantellare discorsi incentrati sulle grandi ideologie del Novecento e di valorizzare la presunta unità del popolo, maggioritario per definizione. Tuttavia, anche i partiti neopopulisti si differenziano tra di loro, giacché alcuni – come Podemos o SYRIZA – abbracciano una definizione estensiva e inclusiva di popolo, mentre altri – come Rassemblement National e Alternative für Deutschland – intendono il popolo in un’accezione nativista, sovranista e/o nazionalista.11 Pertanto, la contrapposizione esclusione/inclusione consente di articolare meglio le distinzioni all’interno della galassia dei nuovi partiti di protesta anti-establishment e di comprendere quali rapporti essi possano instaurare con i partiti più tradizionali, di destra e di sinistra. Lungi dall’essere espressione di una fiammata momentanea, i nuovi partiti di protesta «hanno ancorato gli elettori insoddisfatti e l’opinione pubblica e, quindi, hanno effettivamente trasformato la protesta in partecipazione (elettorale e non solo) istituzionalizzata, azione parlamentare e in alcuni casi […] azione di governo».12 L’istituzionalizzazione di tali formazioni contribuisce a ridefinire composizione e dinamiche dei diversi sistemi politici. All’interno di tali sistemi la distinzione destra/sinistra continuerà a essere uno dei criteri di differenziazione fra le forze politiche? Oppure verrà sostituita dalla nuova contrapposizione esclusione/inclusione che differenzia i partiti neopopulisti? A nostro avviso ciò dipenderà soprattutto dalla capacità dei partiti mainstream di tornare a riempire le categorie “destra” e “sinistra” di contenuti, ossia di articolare proposte politiche e programmatiche fra loro differenziate e di saper interloquire con i nuovi partiti di protesta, sulla base delle differenze che gli stessi partiti neopopulisti mostrano fra loro.
[1] L. Baccelli, Critica del repubblicanesimo, Laterza, Roma-Bari 2003; N. Urbinati, Liberi e uguali. Contro l’ideologia individualista, Laterza, Roma-Bari 2011.
[2] A. Pizzorno, La democrazia di fronte allo Stato. Una discussione sulle difficoltà della politica moderna. Annale 2010 della Fondazione Feltrinelli, Feltrinelli, Milano 2011.
[3] K. Kluxen (a cura di), Parlamentarismus, Kiepenheuer und Witsch, Colonia 1976; G. Poggi, La vicenda dello Stato moderno. Profilo sociologico, il Mulino, Bologna 1978; A. Pizzorno, Mutamenti nelle istituzioni rappresentative e sviluppo dei partiti politici, in P. Bairoch, E. J. Hobsbawm (a cura di), Storia d’Europa, vol. V, L’età contemporanea. Secoli XIX-XX, Einaudi, Torino 1996.
[4] R. Dahl, Sulla democrazia, Laterza, Roma-Bari 2000.
[5] P. J. B. Buchez, P. C. Roux-Lavergne, Histoire parlamentaire de la Révolution française, vol. II, Paulin, Parigi 1834-38.
[6] Si veda ad esempio C. Michéa, I misteri della sinistra. Dall’ideale illuminista al trionfo del capitalismo assoluto, Neri Pozza, Vicenza 2015.
[7] S. Rokkan, Stato, nazione e democrazia in Europa, il Mulino, Bologna 2002.
[8] Si veda M. Almagisti, Una democrazia possibile. Politica e territorio nell’Italia contemporanea, Carocci, Roma 2016.
[9] N. Bobbio, Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica, Donzelli, Roma 1994.
[10] P. Graziano, Neopopulismi. Perché sono destinati a durare, il Mulino, Bologna 2018.
[11] C. Mudde, C. Rovira Kaltwasser, Exclusionary vs. Inclusionary Populism: Compar-ing Contemporary Europe and Latino America, in “Government and Opposition”, 2/2013, pp. 147-74.
[12] L. Morlino, F. Raniolo, Come la crisi economica cambia la democrazia. Tra insoddisfazione e protesta, il Mulino, Bologna 2018, p. 175.