Gli anni di Berlusconi hanno segnato una fase di profonda regressione politica e di smarrimento civile, che si è alimentata di alcuni falsi preconcetti, di pensieri terribili ed errate credenze che sono purtroppo diventati, con il tempo, un modello culturale, un sentire diffuso nel paese.
Superare il berlusconismo significa quindi liberarsi da queste idee nefaste e alimentarsi di pensieri e principi nuovi, o semplicemente riscoprirne alcuni che abbiamo messo da parte.
È bastato che Berlusconi rassegnasse le sue dimissioni e, di fatto, scomparisse dalla scena politica – almeno per ora – per scoprirci d’incanto un paese migliore: responsabile, serio, sobrio, credibile, degno di stima per il suo coraggio nelle scelte e la capacità di risollevarsi anche nei momenti più bui. Non parliamo solo di una questione di stile, ma di un modo di essere. Eppure siamo consapevoli che venti anni di berlusconismo non si cancellano con un rapido colpo di spugna.
La rapida crescita che caratterizza già da tempo il continente indiano non ha portato a un significativo miglioramento delle condizioni di vita della popolazione; i tassi di mortalità infantile sono ancora molto alti e milioni di persone vivono in condizioni di estrema povertà. Per superare questa contraddizione l’India ha bisogno di un maggiore coinvolgimento democratico, al di là degli interessi di media e imprese.
In crisi sin dagli anni Sessanta, l’equilibrio tra democrazia e capitalismo sembra definitivamente compromesso. Da un lato, i rapporti di forza si sono rovesciati e la distanza tra chi produce ricchezza reale e chi specula sui movimenti finanziari è diventata abissale; dall’altro, grazie ai nuovi mezzi di informazione e comunicazione si fa strada un nuovo bisogno di senso, di verità e di conoscenza, al di là del verosimile.
Oggi più che mai l’Italia deve puntare sulle nuove generazioni, vera risorsa strategica per la crescita. Nessun cambiamento è realizzabile senza il loro contributo, e del resto le cronache recenti ne testimoniano il ritrovato desiderio di partecipazione. Il paese ha bisogno di politiche coraggiose e obiettivi misurabili, perché le radici del futuro stanno nel presente.
Con la crisi economica, la già difficile condizione dei lavoratori è peggiorata sensibilmente; precariato e salari ridotti stanno diventando la norma, a discapito della dignità dell’individuo, sempre più timoroso di perdere il proprio impiego. Eppure, se si guarda all’Europa ci si accorge che tutto ciò non costituisce una regola; frammentazione dei contratti e squilibri di potere non sono necessari alla crescita delle imprese.
Le diseguaglianze nella redistribuzione dei redditi si sono notevolmente accentuate a partire dagli anni Novanta, con una rapidità che a prima vista può sorprendere. Eppure, la ripartizione arbitraria e iniqua della ricchezza è diretta conseguenza di scelte politiche poco attente, sostenute da una lunga egemonia del pensiero liberista e da un diffuso atteggiamento pro-mercato. Il rilancio della crescita però, soprattutto in tempo di crisi, non può più prescindere dalla riduzione delle diseguaglianze.
Nella società dello spettacolo il corpo delle donne è merce di scambio ed elemento rassicurante per l’identità maschile. Con la complicità del mondo femminile, il “populismo mediatico” degli ultimi vent’anni ha intrappolato la donna nel suo atavico ruolo di oggetto di piacere. È lecito allora chiedersi: come mai la lunga storia di lotte e di consapevolezza è stata cancellata nello spazio di uno spot?
Nel tempo il ruolo attribuito dalla società al genere femminile è cambiato solo in parte. Se trent’anni fa una donna era tale in virtù del suo essere moglie e madre, oggi è la sua sensualità a definirla: un oggetto sessuale e decorativo. Eppure, sono molte le donne che si sono ribellate; perché subire non è un destino immutabile.
I diritti degli stranieri, proclamati solennemente dal diritto internazionale e dalle Costituzioni, sono oggi quotidianamente violati. Ciò vale ancor più per l’ordinamento italiano, connotato dalla limitazione dei diritti e delle garanzie e dal ricorso, anche simbolico, alla sanzione penale, in particolare a partire dalla legge 189/02, la cosiddetta Bossi-Fini.
La crisi economica ha provocato l’emergere di tentazioni nazionalistiche in alcuni paesi europei, preoccupati per la forte presenza di stranieri sul loro territorio. La sfida è comprendere che gli immigrati non sono solo manodopera a buon mercato. Sono anche, ai tempi della globalizzazione, un valore, se non addirittura uno strumento su cui fare leva per modernizzare l’Italia. In questo senso, più di altri paesi europei, la Germania ha capito che lo Stato è ormai un progetto politico, più che etnico o religioso.
Anche nell’interesse delle generazioni future, la politica deve tenere conto delle odierne esigenze sociali ed economiche, inserendo in agenda la riorganizzazione del sistema della proprietà pubblica. È tempo di accrescere investimenti e tutele anche per tutti quei beni immateriali, come paesaggio, cultura e conoscenza, rimasti finora nascosti nelle pieghe del regime dei beni pubblici e di quelli privati.
In un’Europa in cui le leggi di mercato dominano l’economia, e quindi la politica, la recente crisi economica ha avuto l’effetto di destabilizzare la già fragile Unione. Per questo le istituzioni devono ritrovare la capacità di definire progetti e interventi che orientino l’economia: spetta alla politica essere lungimirante.
Aspiriamo con costanza al sapere. Gli esseri umani dispongono di una conoscenza proposizionale, sconfinata, progredita e ricercata, e l’idea di perderla causa timore. Come insegna la filosofia, conoscere è una “questione di vita”, costituisce la fonte della nostra “umanità”.
I musei sono luoghi della memoria, certo, ma anche di civilizzazione e rinascita, economicamente e socialmente rilevanti soprattutto in un’Italia attanagliata dalla crisi. Per questo è importante mantenere vivo l’interesse del pubblico, offrendogli servizi, spazi e allestimenti ad hoc, pensati per valorizzare le opere.
Nell’ultimo decennio le produzioni italiane si sono trovate in significativa difficoltà nel nuovo scenario internazionale; il nostro tradizionale modello di specializzazione può essere migliorato: è tempo di discutere obiettivi, strumenti e caratteristiche di una nuova politica industriale.
Il sistema fiscale italiano è il risultato di interventi spesso estemporanei e incoerenti; per questo, pur non essendo il principale ostacolo alla crescita, un suo riordino è fondamentale per far ripartire il paese, in un’ottica progressista e riformista. Un fisco neutrale ed equo può favorire le imprese, eliminare il vantaggio contributivo del lavoro temporaneo e ridurre l’evasione fiscale, senza abbattere i consumi.
Fino agli anni Settanta l’Italia ha contato sulle esportazioni per crescere e colmare il divario con gli Stati Uniti e gli altri paesi europei. Da allora il legame fra esportazioni e crescita sembra essersi spezzato, complici il limitato aumento della domanda mondiale dei prodotti “tradizionali”, nei quali l’Italia è specializzata, e la bassa crescita dei paesi europei, mercati di destinazione privilegiati dei prodotti italiani. Le imprese hanno reagito ai mutamenti dell’economia mondiale degli ultimi decenni adottando strategie di internazionalizzazione sempre più articolate. Ne è risultato un tessuto produttivo profondamente cambiato, in cui le esportazioni sono solo una parte di strategie complesse, importanti per recuperare competitività e agganciare l’eventuale crescita della domanda mondiale.
Con il netto rifiuto del nucleare da parte degli italiani, al governo resta l’obbligo di fissare obiettivi a lungo termine di politica energetica, guardando alle energie rinnovabili e alla competitività economica. Non sarà un compito facile, ma rimandare il problema significa mantenere l’Italia in uno stato di totale dipendenza energetica dall’estero.
Con la connivenza di uno Stato troppo spesso assente, nei suoi due secoli di storia la mafia si è evoluta, divenendo un potere importante nell’economia dell’intero paese: non solo ha frenato lo sviluppo legale, ma ne ha favorito uno distorto, che rappresenta un pericolo quanto mai concreto in un’Italia duramente colpita dalla crisi economica.
L’Italia si trova in una condizione di svantaggio competitivo rispetto all’Europa anche a causa degli oneri burocratici, che gravano sulle imprese. La semplificazione è una riforma “a costo zero”, che permettano di liberare risorse per la crescita. È illusoria la ricerca di “norme annuncio” che permettano di azzerare d’incanto i costi della burocrazia. Non ci sono alternative a un duro e tenace lavoro per semplificare in modo sistematico le procedure e ridurne i tempi. I fattori chiave per il successo di una strategia di semplificazione sono la mobilitazione di tutti gli attori istituzionali, il coinvolgimento degli stakeholders e l’attenzione al risultato.
Da quanto emerso in una recente ricerca svolta dalla Fondazione Censis, l’Italia risulta essere un paese virtuoso in quanto a regolazione del commercio dei tabacchi. Il graduale innalzamento dei prezzi e il divieto di fumo nei luoghi pubblici non hanno provocato ostilità nei cittadini, fumatori e non. Per queste ragioni, prima di imporre misure drastiche e “prezzi shock”, l’Unione europea dovrebbe tenere nella giusta considerazione l’esperienza italiana.
A distanza di mesi dalla cosiddetta “primavera araba” e risultati elettorali alla mano è lecito chiedersi quali siano le ragioni del trionfo dei partiti islamisti. Il consenso popolare di cui godono è ampio e sembra crescere rapidamente; dove porterà questo nuovo ciclo politico?
La criminologia nel tempo ha studiato diverse forme di criminalità e le loro cause: criminalità appropriativa, violenta, a sfondo sessuale, urbana, economica (o del “colletto bianco”), informatica, organizzata, contro l’umanità.