Elezioni in Grecia: una svolta per la crisi dell’eurozona

Di Marica Frangakis Venerdì 23 Gennaio 2015 13:46 Stampa
Elezioni in Grecia: una svolta per la crisi dell’eurozona Foto: Asteris Masouras

Domenica prossima il popolo greco andrà alle urne per rinnovare il Parlamento dopo la mancata elezione del presidente lo scorso dicembre. SYRIZA guida stabilmente i sondaggi promettendo un cambiamento di rotta e l’abbandono dell’austerità imposta dalla troika.


Com’era ampiamente prevedibile, il 29 dicembre scorso, la coalizione guidata dai conservatori in Grecia non è stata in grado di esprimere in seno al Parlamento i 180 voti necessari per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica. In base alla Costituzione, le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea sono inevitabili e sono state fissate per domenica 25 gennaio. Nel corso della breve campagna elettorale – meno di un mese – SYRIZA (Coalizione della sinistra radicale) si è costantemente mantenuta in testa ai sondaggi, con un comodo margine di circa 4 punti percentuali. Ciò è stato causa di una certa preoccupazione da parte dei leader europei e dei mercati finanziari.

SYRIZA propone un radicale cambiamento politico in Grecia, nella speranza di riuscire a far decollare l’economia del paese e di aiutare ampie frange della popolazione a rimettersi in piedi. A tal fine sostiene un Piano di ricostruzione nazionale che dovrebbe sostituire l’attuale Programma di aggiustamento economico ispirato dalla troika (UE, BCE, FMI). Il Piano è formato da quattro pilastri: affrontare la crisi umanitaria, rimettere in moto l’economia e promuovere la giustizia fiscale, sostenere l’occupazione e trasformare il sistema politico al fine di rafforzarne i processi democratici.

Ognuno di questi pilastri consiste di misure politiche dettagliate e i cui costi sono stati calcolati. Inoltre, le iniziative per la crescita proposte da SYRIZA includono un programma, della durata di due anni, volto alla creazione di posti di lavoro, la costituzione di una banca degli investimenti pubblica e di due prestatori statali che dovrebbero fornire liquidità ai contadini e alle piccole e medie imprese.

Per quanto concerne il debito pubblico della Grecia, SYRIZA propone la convocazione di una conferenza sul debito europeo per discutere la questione del super indebitamento di alcuni Stati membri e la ricerca di soluzioni, sul modello della conferenza di Londra del 1953, indetta al fine di risolvere la questione dei debiti di guerra della Germania. Lo scopo del partito è riuscire a far condonare una larga parte del debito e a far indicizzare il pagamento della quota restante al tasso di crescita del paese. A livello europeo, un governo guidato da SYRIZA favorirebbe il quantitative easing e l’acquisto di titoli da parte della BCE, così come l’esclusione dei programmi di investimento pubblici dai vincoli posti dal Patto di stabilità.

La reazione dei funzionari dell’Unione europea e del Fondo monetario internazionale alla prospettiva di un governo guidato da SYRIZA è stato negare la possibilità di un cambiamento. Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker ha dichiarato che qualunque nuovo governo in Grecia dovrà comunque mantenere gli impegni presi dai suoi predecessori e continuare le riforme. Sulla stessa linea anche il direttore del FMI, Christine Lagarde, che ha avvisato la Grecia che la ristrutturazione del suo debito potrebbero avere delle conseguenze.

Questi commenti sollevano la questione se i processi elettorali in una democrazia rappresentativa contino davvero qualcosa in un’Europa tormentata dal debito e dominata dalla finanza. Il fatto che SYRIZA sia in testa ai sondaggi sembra implicare che contino ancora qualcosa. Da qui, la paura del contagio politico, più che del pericolo che la Grecia fuoriesca dalla zona euro; possibilità che non è stata presa seriamente in considerazione nemmeno da Moody’s.

In particolare, se SYRIZA riuscisse a formare un governo e a mettere in atto il suo programma, avrà mostrato che l’austerità è futile e che esiste un’altra via d’uscita dalla crisi. Se non dovesse riuscire a convincere i suoi partner europei che uno sgravio dal debito è necessario per permettere alla Grecia di ritornare sulla strada della crescita, una “Grexit” potrebbe però materializzarsi. E qualora ciò accadesse, dimostrerebbe che l’eurozona è un progetto incompleto, una costruzione insostenibile che non può sopportare il peso di uno Stato membro in difficoltà, nemmeno se questo rappresenta poco più dell’1% del PIL dell’area euro.

Non solo la Grecia, ma anche l’Unione europea, in particolare l’eurozona, si trovano a un bivio. Cinque anni di austerità hanno mostrato quanto inutile e pericolosa possa essere questa politica in tempo di crisi. La relazione asimmetrica tra paesi creditori e debitori all’interno dell’UE, in cui i secondi sono chiamati a sostenere il peso degli aggiustamenti economici, mentre i primi salvano le loro banche, viene rigettata da porzioni sempre più ampie della popolazione, in Grecia e altrove.

È ancora da vedere se tali preoccupazioni porteranno a una ristrutturazione delle politiche europee nel senso di uno sviluppo socialmente ed ecologicamente sostenibile, o a un indurimento della linea prevalente in Europa. Di certo è venuto il momento di una svolta cruciale in Europa.

 

 


Foto: Asteris Masouras

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