Climate change: USA e Cina sorpassano l’Europa

Di Massimo Serafini Martedì 18 Novembre 2014 17:15 Stampa
Climate change: USA e Cina sorpassano l’Europa Official White House Photo by Chuck Kennedy

Stati Uniti e Cina hanno sottoscritto, nel corso del summit dell’APEC tenutosi la scorsa settimana a Pechino, un accordo che impegna le due potenze a ridurre le emissioni di gas serra entro il 2025 (il 2030 per la Repubblica Popolare). Se l’intesa costituisce, pur con i suoi limiti, un’opportunità per la lotta al cambiamento climatico, essa sottolinea la perdita di egemonia dell’UE in questo campo cruciale.


Forse gli impegni per fermare il cambiamento climatico in corso, che Stati Uniti e Cina hanno recentemente sottoscritto, avrebbero potuto essere più ambiziosi, ma il valore politico dell’accordo concluso fra le due grandi potenze è enorme. Lo è in primo luogo perché cinesi e americani rappresentano da soli il 45% dei gas serra mandati in atmosfera. Lo è anche per la sede in cui è stato siglato: il foro della cooperazione fra Asia e Pacifico (APEC).

Lì si riuniscono, per dare vita a una zona di libero commercio fra i paesi dell‘Asia e quelli del Pacifico, Stati che, insieme a USA e Cina, rappresentano oltre la metà del PIL mondiale e il 44% degli scambi commerciali.

La portata politica dell’accordo è resa ancora più evidente dall’approvazione unanime dell’eliminazione di ogni dazio doganale sui prodotti ad alta tecnologia in tutta l'area. Lo è infine perché è stato siglato a pochi mesi dal vertice ONU sul clima che si terrà il prossimo anno a Parigi e che quindi ora ha molte più probabilità di concludersi con un accordo globale vincolante piuttosto che non con l’ennesimo rinvio di decisioni e impegni, imposto finora proprio da Stati Uniti e Cina.

Certo di fronte all’evidente accelerazione dei fenomeni estremi legati al cambio di clima, di cui le alluvioni italiane di questi giorni sono una drammatica testimonianza, si poteva e doveva fare molto più di quanto è stato concordato: ridurre, entro il 2025, di circa il 26-28% i gas serra emessi nel 2005.

Non c’è dubbio però che l’accordo apre una prima fessura nel muro di indifferenza e veti incrociati con cui si sono conclusi tutti i vertici internazionali sul clima. Uno spazio che sembra allargarsi dopo la decisione, presa dal presidente Obama qualche giorno fa, di passare dalle parole ai fatti, stanziando tre miliardi di dollari per aiutare i paesi emergenti ad affrontare le sempre più frequenti e drammatiche conseguenze del cambiamento climatico.

Delle grandi opportunità non vanno però taciuti i limiti. Oltre alla timidezza degli obiettivi, i due più rilevanti sono l’assenza di un controllore, ad esempio le Nazioni Unite, che verifichi il rispetto degli impegni presi dai due paesi e l’inserimento del nucleare accanto alle rinnovabili, fra le fonti di energia su cui si punta per realizzare la riduzione delle emissioni concordata.

L’Europa, che in questo ultimi quindici anni si è battuta per un accordo globale e vincolante, conquistando la guida della lotta al riscaldamento globale, dovrebbe essere contenta di questo accordo. E invece sembra spiazzata dall’iniziativa di America e Cina.

Il problema è che il prevalere di politiche economiche restrittive e liberiste non ha solo devastato socialmente gran parte dell’Europa, ma ha di fatto trascinato in questa tagliola anche le politiche di governo del clima e dei suoi mutamenti.

Dove è finita, viene da chiedersi, la scelta di rispondere all’immobilismo del resto del mondo con la decisione unilaterale e vincolante per gli Stati membri di ridurre entro il 2020 le emissioni climalteranti del 20% facendo crescere di un 20% sia l’efficienza energetica che le fonti rinnovabili?

Mentre a Pechino si annunciava l’accordo fra USA e Cina a Bruxelles si insediava la nuova Commissione europea che assegna allo spagnolo Miguel Arias Cañete, cioè a un amico dei petrolieri (fino a poco tempo fa è stato membro del consiglio di amministrazione di due società petrolifere) la responsabilità di energia e clima.

Inoltre negli ultimi anni sul territorio europeo e nel Mar Mediterraneo più che le installazioni solari ed eoliche è cresciuta la ricerca delle ultime gocce di petrolio, vista la incredibile mole di autorizzazioni a trivellare concesse alle multinazionali del petrolio.

L’accordo fra Cina e Stati Uniti di fatto non fa che ratificare la perdita di egemonia dell’Europa su questo decisivo terreno della lotta all’effetto serra. Una perdita che finirà per aggravare anche la crisi economica del Vecchio continente perché, di fatto, perdere la guida della lotta ai cambiamenti climatici significa perdere anche le occasioni di innovazione e sviluppo tecnologico, oltre che di occupazione che questa lotta offre.

L’auspicio è che l’accordo fra Stati Uniti e Cina dia una scossa all’UE e soprattutto forza a quanti si stanno battendo per chiudere con le politiche restrittive. La nuova direttiva sul clima che si sta preparando ci dirà se questa scossa è arrivata.

 

 

 


Official White House Photo by Chuck Kennedy

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