Le tre frecce di Shinzo Abe

Di Corrado Molteni Mercoledì 17 Luglio 2013 10:48 Stampa
Le tre frecce di Shinzo Abe Foto: Katy Ereira

Leva monetaria, leva fiscale e riforme strutturali per far crescere la competitività del Giappone sono le cosiddette tre frecce dell’Abenomics, la politica economica che il premier Shinzo Abe ha varato al momento della sua rielezione lo scorso dicembre per rilanciare l’economia del paese. Esportazioni e consumi sono aumentati e l’economia dà segni di crescita. Tuttavia, l’Abenomics, guardata con interesse da alcuni e con scetticismo da altri, deve ancora dare prova della sua efficacia.


La prima esperienza di governo di Shinzo Abe fu relativamente breve e si concluse con le dimissioni del premier nel settembre 2007, a meno di un anno dalla sua nomina a primo ministro. Abe non ha però rinunciato al suo progetto politico e da allora si è preparato a riprendere le redini del paese, applicandosi in particolare allo studio delle politiche economiche utili a combattere la deflazione che da oltre vent’anni affligge l’economia giapponese.

Ha prestato particolare ascolto a Koichi Hamada, autorevole economista giapponese che da anni sostiene la necessità che il Giappone adotti una politica monetaria ultraespansiva, l’unica leva, a suo giudizio, in grado di scardinare i forzieri, colmi di liquidità, delle imprese e delle famiglie giapponesi. La tesi di Hamada, ora consigliere economico del primo ministro, è semplice e lineare. In un regime di tassi di cambio flessibili, l’espansione della base monetaria determina un deprezzamento della moneta che porta a un aumento delle esportazioni che si traduce, a sua volta, in una crescita dei profitti aziendali e, attraverso l’incremento dei salari, anche dei consumi interni. Questa, in estrema sintesi, l’idea di fondo dell’Abenomics le cui linee guida sono state annunciate dopo la vittoria del Partito Liberaldemocratico alle elezioni del dicembre 2012. Alla leva monetaria, “the prime mover” secondo Hamada, Abe ha aggiunto anche quella fiscale e un programma di riforme strutturali inteso a consolidare le prospettive di crescita nel medio-lungo periodo: le “tre frecce” dell’Abenomics.

La prima, quella monetaria, è stata scoccata subito dopo la nomina, nel marzo di quest’anno, di Haruhiko Kuroda a governatore della Banca centrale. Rimosso il cauto Shirakawa, la Banca del Giappone ha annunciato il raddoppio della base monetaria nel giro di due anni: obiettivo da conseguire anche mediante l’acquisto di titoli pubblici a lungo termine. Immediata la reazione dei mercati. Nel giro di pochi mesi lo yen si è fortemente deprezzato nei confronti di tutte le principali valute (-30 % circa nei confronti del dollaro e -20% nei confronti dell’euro) e l’indice della Borsa di Tokyo è più che raddoppiato con ricadute positive anche sul mercato immobiliare. Nel frattempo il governo ha predisposto un piano di aumento della spesa pubblica con massicci investimenti nel settore della ricerca, delle infrastrutture e a favore delle regioni colpite dalle calamità naturali e dalla crisi nucleare del marzo 2011.

L’impatto dell’azione del governo e della Banca centrale sull’economia reale è evidente. Le esportazioni sono fortemente aumentate e i consumi registrano segnali di ripresa. Nel complesso, l’economia è cresciuta del 4,1% nel primo trimestre dell’anno (tasso di crescita annualizzato) con buone prospettive anche per i mesi futuri. Rimangono tuttavia incertezze e timori legati all’andamento dei tassi di interesse, all’impatto sul mercato del lavoro, all’aumento delle imposte indirette e alla reale portata delle riforme strutturali.

In relazione al primo aspetto, alcuni analisti hanno commentato con preoccupazione un incremento, per la verità contenuto, dei tassi di interesse a lungo termine registratosi nelle ultime settimane di maggio. I più pessimisti hanno parlato di fallimento dell’Abenomics. Certo, il persistere di questa tendenza potrebbe creare seri problemi in un paese come il Giappone che ha accumulato un elevato debito pubblico. Tuttavia, occorre considerare due fattori importanti. In primo luogo, la determinazione della Banca del Giappone, pronta ad ampliare la portata e la gamma degli interventi, estendoli eventualmente anche all’acquisto di titoli detenuti dalle banche. In secondo luogo, la reale dimensione del debito che, al netto delle ingenti riserve accumulate, si riduce dal 240 % circa del PIL al 140 %, una percentuale simile a quella dell’Italia.

La stabilità delle finanze pubbliche dipende, del resto, dalla ripresa e dal conseguente aumento del gettito fiscale. A tal fine, cruciale è l’aumento della quota di reddito attribuito al fattore lavoro. Il primo ministro Abe ha già rivolto appelli alle aziende affinchè aumentino salari e premi di produzione, ma sinora poche aziende hanno accolto l’invito. Abe e i suoi consiglieri temono che si possa ripetere quanto verificatosi negli anni tra il 2002 e il 2008, quando alla crescita del prodotto interno lordo non corrispose un aumento degli stipendi. Anzi, in quegli anni il valore nominale delle retribuzioni diminuì, contribuendo ad alimentare la spirale deflattiva e a frenare la domanda interna. Oggi, però, le aziende dispongono di ingente liquidità, stimata intorno ai 270mila miliardi di yen (circa 2100 miliardi di euro). Tali risorse potrebbero essere utilizzate per coprire aumenti salariali, sostenendo in tal modo la ripresa in atto: scelta giustificabile anche dalla necessità di contenere la prevista contrazione della spesa delle famiglie che sarà indotta, nell’aprile del 2014, dall’innalzamento di tre punti percentuali (dal 5 all’8%) dell’imposta sui consumi.

Rimane la terza freccia: il programma di riforme strutturali per accrescere la competitività dell’economia giapponese e garantire una ripresa sostenibile nel medio e lungo termine. È su questo programma che si è focalizzata l’attenzione dei mercati e dei media. All’inizio di giugno il primo ministro ha annunciato una prima serie di obiettivi e di iniziative. Tra questi, l’aumento del 10% degli investimenti nei prossimi tre anni, l’autorizzazione della vendita online di medicinali, la creazione di zone economiche speciali destinate ad attrarre investimenti dal Giappone e dall’estero e una forte espansione degli investimenti nel settore delle infrastrutture. Tuttavia, la mancanza di elementi specifici e di riferimenti temporali precisi ha deluso i mercati che nutrivano aspettative elevate in merito alla politica di riforme strutturali. La reazione negativa dei mercati e degli analisti, costringe ora il governo a definire in tempi rapidi piani e programmi concreti. Se non lo dovesse fare, rischia di perdere l’appoggio dei media proprio alla vigilia delle elezioni di luglio per il rinnovo parziale, ma decisivo, della Camera Alta. D’altro canto, come ricordava Jeffrey Sachs in una conferenza tenuta il giorno prima dell’annuncio del premier, non si devono nutrire aspettative eccessive sulle possibilità che in economie avanzate come quella giapponese processi di deregolamentazione e di liberalizzazione possano condurre a forti incrementi della crescita.

Il successo dell’Abenomics, che tanto interesse suscita in Europa e nell’area dell’euro, dipende, in ultima istanza, dall’efficacia della leva monetaria e dalla capacità di innescare un ripresa sostenibile e sostenuta anche da elementi endogeni: in primis, da un aumento della quota di reddito nazionale attribuito al fattore lavoro.

 

Il contenuto di questo testo e le opinioni ivi espresse sono di sola responsabilità dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione ufficiale del Ministero degli Affari Esteri e dell’Ambasciata d’Italia in Giappone.

 


Foto: Katy Ereira

 

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