Procedura di infrazione. Non facciamoci illusioni

Di Ronny Mazzocchi Martedì 04 Giugno 2013 15:50 Stampa
Procedura di infrazione. Non facciamoci illusioni Foto: Consiglio dell'Unione Europea

Il 29 maggio scorso la Commissione europea ha formalizzato l’uscita dell’Italia dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo. Un traguardo importante per il nostro paese. Eppure non è il caso di farsi troppe illusioni, perché a Bruxelles la dottrina dell’austerità non è ancora stata messa in discussione.


L’enorme sforzo sopportato dai cittadini italiani nel corso degli ultimi quindici mesi ha finalmente ricevuto un importante riconoscimento a livello comunitario. Il 29 maggio scorso la Commissione europea – sulla scorta dei saldi di bilancio già conseguiti, e tenendo conto delle rassicuranti previsioni sull’andamento dei conti pubblici nel prossimo futuro – ha deciso di formalizzare ufficialmente la chiusura della procedura di infrazione per deficit eccessivo.

L’apertura formale di tale procedura per l’Italia era stata predisposta nel 2009 su iniziativa della Commissione stessa, quando il nostro disavanzo era schizzato a causa della crisi al 5,3% del PIL, ben al di sopra del limite massimo del 3% previsto sia dal Trattato di Maastricht che dal successivo Patto di stabilità e crescita. La chiusura della procedura è senza dubbio un risultato positivo per il nostro paese, perché ci libera da una serie di vincoli molto stringenti, primo fra tutti l’obbligo di ridurre annualmente il disavanzo in misura molto più consistente di quanto non sia previsto in condizioni normali. Tuttavia, non bisogna farsi grandi illusioni. L’uscita dalla procedura di infrazione, pur liberandoci da numerosi limiti alle manovre di bilancio, non consentirà molte deroghe per quanto riguarda la riduzione dell’enorme mole di debito pubblico accumulato.

La nuova disciplina approvata dalla recente riforma della governance economica europea, pur prevedendo una moratoria di tre anni per chi è appena uscito dalla procedura di deficit eccessivo, stabilisce infatti che si debba provvedere alla riduzione di un ventesimo l’anno dell’eccedenza di debito rispetto al limite del 60% sul PIL. Uno sforzo ingente che, a partire dal 2016, si porterà via oltre 3 punti di prodotto lordo ogni anno. Se dal punto di vista meramente burocratico non c’è nulla di buono da aspettarsi, qualcosa di più potrà uscire dall’accresciuto potere contrattuale che il nostro paese ha conquistato con la chiusura della procedura di infrazione.

Nei prossimi mesi, infatti, il governo di Enrico Letta potrà intavolare con Bruxelles una trattativa che, pur nel rispetto del limite del 3%, ci porti a rivedere temporaneamente l’obiettivo a medio termine del pareggio di bilancio strutturale, ovvero al netto della componente ciclica e delle misure una tantum. Le carte che il nostro esecutivo potrà giocarsi non sono poche. Innanzitutto già nel 2013 l’Italia dovrebbe conseguire un disavanzo strutturale piuttosto limitato, nell’ordine dello 0,5% del PIL. In secondo luogo, la stessa normativa europea (regolamento n. 1175/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio) stabilisce con chiarezza che sono possibili temporanee deviazioni dall’obiettivo di medio termine qualora queste siano determinate «(…) da un evento inconsueto che non sia soggetto al controllo dello Stato membro interessato (…) o in caso di grave recessione economica della zona euro o dell’intera Unione, a condizione che la sostenibilità di bilancio a medio termine non ne risulti compromessa al fine di facilitare la ripresa economica». In questi casi la deviazione è consentita «purché sia mantenuto un margine di sicurezza rispetto ai valori di riferimento per il disavanzo», ovvero il 3% sul PIL, e soprattutto «è opportuno tener conto altresì dell’attuazione di riforme strutturali di una certa importanza».

Un assaggio di quello che si aspettano le autorità di Bruxelles in questo campo lo abbiamo già avuto qualche giorno fa. In occasione del nostro ritorno fra i “buoni”, la Commissione ha diramato una serie di raccomandazioni specifiche, basate su una valutazione dettagliata della nostra economia, del bilancio e dei programmi di riforme e stabilità presentati nel mese di aprile. Ancora una volta è stata ribadita la necessità di riforme in tema di lavoro, giustizia, istruzione, fisco e spending review. In particolare, è stata fatta esplicita menzione della necessità di conservare l’imposta sugli immobili per recuperare i fondi necessari al fine di ridurre il carico fiscale sul lavoro, una posizione che sicuramente non farà piacere al governo che – sotto pressione di alcune sue componenti – sembra invece indirizzato all’eliminazione totale dell’IMU sulla prima casa.

Anche ipotizzando che il governo riesca a portare a casa buona parte di queste riforme capaci di rassicurare l’Europa, lo sconto sulle politiche di austerità che ci verrebbe concesso sarebbe piuttosto limitato. Infatti, sebbene il Documento di economia e finanza preparato dal governo Monti prevedesse come obiettivo per il 2014 un deficit nominale pari all’1,8%, le più recenti stime parlano ormai di un 2,4-2,5%. Nella migliore delle ipotesi, per il nostro paese ci potrebbe quindi essere un margine di manovra massimo di 0,5 punti di PIL che, tradotti in euro, dovrebbero corrispondere a circa 8-9 miliardi, sempre che la nostra economia non vada peggio del previsto. Non va poi dimenticato che questo “tesoretto” sarà spendibile solo a partire dal 2014, mentre fino alla fine dell’anno in corso ogni intervento dovrà avvenire a saldi invariati.

Per ottenere qualcosa in più il governo potrebbe tentare di far rientrare alcuni degli interventi nel capitolo del ciclo economico e delle una tantum, facendoli uscire dal computo del deficit strutturale. Ma anche in questo caso si tratterebbe al massimo di qualche miliardo di euro, troppo poco per un vero pacchetto anticongiunturale capace di rilanciare investimenti e consumi.

Il vero punto che andrebbe messo in evidenza è che, pur mostrando una minore rigidità, le autorità europee non hanno minimamente cambiato strada. Anche la deroga concessa a Francia e Spagna – che, a differenza dell’Italia, restano tuttora sotto procedura di deficit eccessivo – si è concretizzata solamente in un allungamento dei tempi di convergenza verso gli obiettivi a medio termine.

Nonostante le apparenze, la dottrina dell’austerità non è stata minimamente messa in discussione. Andrebbe invece chiarito che le restrizioni di bilancio non sono l’unica strada per riportare i conti pubblici all’interno dei margini di sicurezza stabiliti dal Trattato di Maastricht. L’avvio di un ciclo espansivo coordinato su scala continentale potrebbe infatti raggiungere il duplice obiettivo di rilanciare l’economia europea – riportando i tassi di disoccupazione entro limiti socialmente tollerabili – e favorire un più rapido e duraturo risanamento della finanza pubblica, non grazie alla compressione del bilancio ma alla crescita del prodotto. Purtroppo questa opzione, ormai largamente maggioritaria nel dibattito fra economisti, non sembra ancora aver trovato ascolto nei palazzi di Bruxelles.

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