La democrazia e il governo delle realtà complesse

Di Roberto Giaccio Lunedì 18 Marzo 2013 16:50 Stampa
La democrazia e il governo delle realtà complesse Foto: Justin Taylor

Data la complessità della società in cui viviamo, pensare di appiattirla in un disegno in cui il popolo in un qualche modo comunichi direttamente le proprie esigenze e desideri senza una struttura superiore ad armonizzare i contrasti non è soltanto utopico, è ideologico. Senza qualcuno che operi una revisione critica di quello che viene detto e una ricomposizione dei contrasti, in politica come in ogni altra dinamica umana, non si va da nessuna parte.

Esistono attività in cui un contributo collettivo può portare buoni risultati, e altre in cui questo procedimento non funziona. Ad esempio, per scrivere una voce di Wikipedia, dopo una prima organizzazione dello schema delle cose da presentare, occorre fondamentalmente riempire i vuoti e rifinire quanto già scritto; questa è un’attività che ovviamente può essere proficuamente portata avanti da più persone, anche in contemporanea, e ciò può essere fatto perché c’è già la struttura di quanto occorre scrivere. Così anche nel caso in cui si debba scrivere un software: una volta definita l’architettura, le tecnologie principali, la metodologia di sviluppo, si può demandare a vari soggetti l’esecuzione dell’opera.

Ci sono poi altre attività alle quali questo modo di operare semplicemente non è applicabile, perché il risultato appare nella sua interezza a una singola persona che, nell’interiorità del suo cervello e senza neppure sapere come, compie una formidabile opera di sintesi e produce una struttura complessa, quale può essere un’opera d’arte, un’architettura, un’idea innovativa. È vero che spesso, forse sempre, si crea a partire dal lavoro di altri, ma mi riesce difficile pensare a un’attività di sintesi che possa produrre qualcosa di buono senza una forte elaborazione personale. Metterei in questa categoria la buona ricerca matematica.

Poi, in mezzo, c’è una classe di attività e problemi che richiede lo sforzo di molti singoli, ognuno con la sua elaborazione personale, per arrivare a un disegno, proposta, progetto che tenga conto di esigenze e requisiti spesso incompatibili. Questo è invariabilmente necessario quando non c’è accordo non solo sui mezzi per raggiungere certi obiettivi ma sugli obiettivi stessi, o sulle modalità per concordare gli obiettivi, o su come decidere tali modalità, o su dove fermare questo processo.

Credo che la politica, che sia fatta con i partiti, i movimenti, le parrocchie o altro, sia un’attività di quest’ultimo tipo, che, appunto, deve tenere conto delle esigenze, spesso discordanti, dei molti, ma ha bisogno di tanta intelligenza, esperienza e possibilmente onestà per produrre qualcosa di buono.

Data la complessità della società in cui viviamo, e l’infinità di collegamenti con altri modi di vita e sistemi di valori con i quali siamo sempre di più in contatto, direttamente o indirettamente, a causa della globalizzazione, la democrazia rappresentativa è anche troppo semplice, per cui sono sempre necessarie strutture aggiuntive quali commissioni, gruppi, coalizioni, autorità, per riuscire a governare con un minimo di rispondenza ai problemi del mondo reale.

Pensare di appiattire tutta questa complessità in un disegno in cui il popolo in un qualche modo comunichi le proprie esigenze e desideri senza una struttura superiore ad armonizzare i contrasti non è soltanto utopico, è ideologico; chiunque abbia partecipato non dico a un progetto ingegneristico o architettonico – operazioni più semplici che governare un paese – ma a una semplice riunione di condominio, si sarà reso conto che senza qualcuno che operi una revisione critica di quello che viene detto e una ricomposizione dei contrasti non si va da nessuna parte.

Trovo sorprendente che si possa pensare per più di pochi secondi di poter demandare quest’opera di sintesi a un processo automatico (altrimenti, in presenza di altri esseri umani, si torna alla rappresentatività, pur se espressa in altra forma), e questo senza entrare nel merito dell’eticità, meno dubbia, di delegare a un processo automatico una cosa così importante anche nel caso in cui fosse teoricamente possibile. Questo si può ragionevolmente fare soltanto per una piccola classe di sottoproblemi molto semplici (petizioni, alcune votazioni).

Vi è una certa bellezza minimalista nei sistemi distribuiti, che senza nessuna gerarchia, grazie a un valido insieme di regole condivise, funzionano in modo armonico, e capisco che, per motivi magari inconsciamente estetici, a qualcuno piacciano soluzioni di questo tipo. Ma a un certo punto occorre anche accettare che le cose spesso sono più complesse di come ci piacerebbe che fossero, e che la soluzione dei problemi non passa sempre per la semplificazione, ma per l’accettazione della complessità.
Detto in altre parole, quasi sempre le cose non sono tanto inutilmente complesse e difficili perché tutti gli altri sono idioti mentre noi vediamo la semplicità dell’Unica Soluzione, ma perché non abbiamo capito nulla.

 


Foto: Justin Taylor

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