Per il rinascimento dell’Industria

Di Paolo Bonaretti Lunedì 10 Dicembre 2012 12:17 Stampa

La crisi che la manifattura sta attraversando rischia di mettere in discussione l’identità ed il ruolo che il nostro Paese ha nell’economia mondiale, lasciando di fronte a noi una prospettiva di vuoto. La crisi dell’industria sta mettendo gravemente in discussione la competitività del lavoro e delle imprese italiane, dell’insieme della nostra economia, dei livelli occupazionali, di consumo e di reddito delle famiglie, del sistema di welfare  ed in generale della coesione sociale del Paese.


E’ venuto il momento di un rinnovato e deciso impegno di politica industriale che faccia scelte precise e definite con strumenti innovativi e punti ad un vero e proprio “rinascimento” economico e culturale della manifattura e del lavoro produttivo. Una politica industriale “integralmente ecologica” è la prima e più rilevante di queste scelte.

L’obiettivo è trasformarsi nel Paese più competitivo nel campo dei prodotti e servizi a minor consumo energetico, a minor utilizzo di materie prime con maggior riutilizzo di prodotti a fine vita, con il sistema logistico ed organizzativo a minor impatto ambientale. Si tratta di sviluppare prodotti e servizi innovativi in tutti i settori che in un mercato globale sempre più attento alle sfide ambientali, ci rendano un punto di riferimento in questo campo.

Con l’ingresso nell’euro e la fine della svalutazione competitiva, anziché approfittare dei bassi tassi di interesse ed investire in innovazione tecnologica, prodotti, nuovi mercati e risorse umane, gran parte delle imprese hanno optato per investimenti finanziari ed immobiliari. Se da un lato questo comportamento è stato favorito dai maggiori tassi di remunerazione degli investimenti nella finanza e nell’immobiliare, non va dimenticato come un ruolo essenziale lo abbia giocato anche l’assenza di un quadro di riferimento per le politiche industriali. Il dossier della politica industriale italiana rimane ormai inesorabilmente chiuso da oltre 10 anni (fatta salva l’apprezzabilissima ma breve eccezione del secondo governo Prodi con Industria 2015).

In questi dieci anni abbiamo avuto quindi un crollo del valore aggiunto e incrementi di produttività prossimi allo zero (o addirittura negativi, come è accaduto nell’ultimo anno), mentre gli altri grandi paesi industriali registravano nello stesso periodo aumenti di produttività nell’ordine del 12-15%.

Appare chiaro che la perdita di produttività e competitività del sistema non può essere attribuita né al costo del lavoro né tantomeno alla sua supposta scarsa flessibilità. Va piuttosto imputato alla complessiva perdita di efficienza e flessibilità del sistema imprenditoriale, spesso anche in relazione ad un struttura del credito più orientata – almeno per un certo periodo – a finanziare il circolante invece che a sostenere gli investimenti.

È necessario rimettere in moto il circuito investimenti-competitività-occupazione, attraverso una combinazione di interventi su più fronti che complessivamente producano uno shock positivo.

L'articolo continua sul sito www.wthink.it

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