La battaglia per la classe media in Grecia

Di Philippos Savvides Giovedì 29 Novembre 2012 12:35 Stampa
La battaglia per la classe media in Grecia Foto: piazzadelpopolo

Negli ultimi tre anni la Grecia, più di ogni altro paese europeo, ha dovuto introdurre, “in accordo” con la Troika, misure eccezionali e riforme strutturali per superare la gravissima crisi economica in atto nel paese. L’austerità è stata il leit motiv di questo processo che sta però avendo dei costi sociali altissimi e che potrebbe portare al disgregamento della classe media, mettendo a rischio la tenuta stessa della democrazia.


Non è un’esagerazione suggerire che la battaglia per salvare la Grecia dal collasso economico e, dunque, politico e sociale, sia anche una battaglia per l’Europa. Tutti riconoscono che, qualora la Grecia fallisse, si innescherebbe un effetto domino che, in un modo o nell’altro, avrebbe ripercussioni negative sull’intero continente. La Grecia e l’Europa, quindi, non possono permettersi di perdere questa battaglia.

Nel corso degli ultimi tre anni la Grecia ha fatto uno sforzo erculeo per superare la crisi economica, introducendo e mettendo in atto misure fiscali severissime e una serie di riforme strutturali. In cooperazione con la Commissione, la Banca centrale europea e il Fondo monetario internazionale, la Grecia ha sviluppato tre ampi pacchetti di riforme. La logica dell’austerità prevale in tutti e tre i programmi, e questo nonostante sin dall’inizio sia stato evidente che l’austerità da sola non costituisce la risposta vera ai problemi economici non solo della Grecia, ma della Spagna, dell’Italia, del Portogallo e così via. Ciononostante, successivi governi in Grecia hanno seguito il percorso della più stretta austerità, quali che fossero i costi politici.

Qui di seguito, sono elencati alcuni esempi di misure introdotte fino a ora:

  1. Nel corso del biennio 2010-11, il deficit di bilancio complessivo è stato ridotto del 6,4% (dal 15,6% nel 2009 e 9,2% nel 2011).
  2. Il disavanzo primario, che nel 2009 ammontava a –24,5 miliardi di euro, è stato ridotto a –11,4 miliardi nel 2010 ed è arrivato a –4,7 miliardi di euro nel 2011. L’attuazione del bilancio 2012 rientra al momento negli obiettivi. Quindi, la sua piena implementazione alla fine dell’anno dovrebbe portare a un’ulteriore riduzione del deficit.
  3. Il disavanzo primario corretto per il ciclo, che alla fine del 2009 era del –12% del PIL, è stato ridotto al –0,1% alla fine dello scorso anno.
  4. Tra il 2010 e il 2012 sono stati applicati tagli ai salari nominali del settore pubblico pari al 30%.
  5. Nello stesso arco di tempo, i salari degli impiegati delle imprese di proprietà statale sono stati ridotti di oltre il 35%.
  6. Le pensioni nominali, tanto del pubblico quanto del privato, sono state tagliate del 15%.
  7. Inoltre, l’IVA è stata aumentata del 20% per tutti i settori; la soglia di esenzione fiscale è stata ridotta da 12.000 a 5000 euro; le accise sui carburanti, le sigarette e gli alcolici sono state aumentate del 33%, ed è stata introdotta una “tassa di solidarietà” sui redditi totali dichiarati al di sopra di 12.000 euro.

 

Allo stesso tempo, sono state avviate ampie riforme strutturali. Ecco alcuni esempi: una radicale riforma del sistema pensionistico, che include un aumento dell’età pensionabile; una riforma del mercato del lavoro che riduce il salario minimo del 22-32% e dimezza il trattamento di fine rapporto; la liberalizzazione delle professioni “chiuse”; un esteso programma di privatizzazioni; la riforma fiscale e la lotta all’evasione; la riforma del settore sanitario e quella delle amministrazioni locali.

Quelle elencate sono solo alcune delle misure introdotte in appena tre anni. Molto altro deve essere ancora fatto. Tuttavia, è innegabile che nessun altro paese europeo ha attraversato dei cambiamenti economici e strutturali talmente radicali in un periodo di tempo così breve.

Tutto ciò, però, ha avuto dei costi sociali molto alti. I progressisti in Grecia e nel resto d’Europa hanno avvertito da tempo che l’austerità da sola non costituisce una soluzione. Già a partire dal 2009, hanno cercato di sollecitare una risposta immediata e globale non solo al problema greco, ma alla crisi europea in generale. Sfortunatamente, la risposta europea è arrivata troppo tardi ed è stata troppo debole. La maggioranza conservatrice in Europa ha dimostrato la propria incompetenza nell’affrontare queste enormi sfide. La sua mancanza di visione e la risposta effettiva alla crisi hanno condotto i paesi in difficoltà e la struttura stessa dell’Europa sull’orlo della catastrofe.

Non sorprende, quindi, che in Grecia, come del resto altrove, si stia assistendo a una crescente incertezza sociale e al pericolo reale del collasso della classe media. Analisti politici hanno dimostrato già da tempo che essa costituisce la spina dorsale della democrazia occidentale. Una classe media forte è il prerequisito per una democrazia forte. Ne consegue che il suo potenziale disgregamento rappresenta un pericolo per la stessa democrazia, in quanto indebolisce le istituzioni e i processi democratici e intensifica il problema della legittimità del sistema politico stesso.

Il possibile collasso della classe media e la questione del deficit di legittimità sono problemi esacerbati dagli alti livelli di disoccupazione, che inducono a perdere la speranza nel trovare una via d’uscita dal labirinto. Una situazione che, a sua volta, intensifica la delusione e la paura. Al momento, il tasso di disoccupazione nazionale in Grecia è di oltre il 25%, contro l’8,9% del 2007 (ai tempi del governo progressista). Ancora più preoccupanti sono i dati sulla disoccupazione giovanile: nel 2007 questa era pari al 24,5% nella fascia 15-24 anni, e 12,7% tra i 25 e i 34. Nel 2011 i dati sono arrivati rispettivamente a 51,1% e 28,7%.

Mentre la classe media si sta sgretolando e i livelli di povertà sono in costante aumento, una nuova “classe” sta emergendo, quella dei “nuovi poveri”. Come mostra l’ultimo rapporto del Centro nazionale per la ricerca sociale greco (EKKE), i “nuovi poveri” rappresentano il 13,8% della popolazione greca. Questo fatto deve far suonare l’allarme. Se si permette l’ulteriore crescita di questa classe di nuovi poveri la coesione sociale sarà ancora di più a rischio e la prospettiva di una rivolta sociale non potrà essere esclusa.

Queste sono esattamente le condizioni in cui le forze del populismo e della destra estremista crescono e prosperano. Lo scontento e la degradazione sociale, la disillusione e la mancanza di speranza permettono alle forze populiste, di qualunque orientamento, di “colonizzare” il sistema politico e minare la democrazia. La Grecia non costituisce un’eccezione a questa regola. Come in altre parti d’Europa, la Grecia sta affrontando la minaccia della destra nazionalista fondamentalista, espressa dal partito neofascista Alba dorata.

La politica della paura, sostenuta dai partiti conservatori in Grecia, ha rafforzato Alba dorata. Inoltre, lo smantellamento della classe media e l’incapacità del sistema politico di recuperare e resettarsi, spinge gli elettori a rivolgersi alle forze populiste ed estremiste per trovare soluzioni semplicistiche a tutti i problemi.

Evidentemente, la battaglia per la Grecia non è solo una battaglia per la stabilizzazione economica. È soprattutto una battaglia per salvare la classe media e, quindi, la democrazia. Non solo in Grecia, ma in tutta Europa. A tal fine, le forze progressiste hanno la responsabilità di stare allerta e di intervenire. Allo stesso tempo, l’Europa deve agire di comune accordo, adesso. Deve fornire, oggi, le soluzioni a lungo termine che permetteranno ai paesi in crisi di riavviare l’economia. Questa è una conditio sine qua non per assicurare non solo la ripresa economica, ma anche una democrazia forte.

 


Foto: piazzadelpopolo

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