Il Consiglio europeo non è stato una partita Italia-Germania

Di Andrea Fracasso Lunedì 09 Luglio 2012 11:29 Stampa
Il Consiglio europeo non è stato una partita Italia-Germania Foto: European Council

Nel corso del recente vertice dei capi di Stato e di governo dell’Unione europea sono state prese decisioni importanti per quel che concerne il futuro dell’integrazione economica e politica europea. Tuttavia, la messa in atto delle soluzioni previste a Bruxelles richiederà ulteriori negoziati fra i paesi membri, con il rischio di un loro annacquamento.


Il Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012 si è concluso con una serie di importanti decisioni per il rafforzamento dell’Unione. Seppur vaghe, molto di esse sono da ritenersi positive sia perché dirette ai problemi tanto di breve quanto di lungo termine, sia perché raggiunte attraverso un serrato negoziato al termine del quale hanno trovato ascolto anche le preoccupazioni dei paesi della cosiddetta periferia dell’eurozona.

Per quanto concerne le questioni economiche, il Consiglio europeo ha accolto la proposta (“Towards a Genuine Economic and Monetary Union”) dei “presidenti” dell’Unione (Commissione, Banca centrale europea, Consiglio europeo, Eurogruppo) sui passi che porteranno nel lungo termine a una maggiore integrazione bancaria, economica e politica dell’eurozona e ha dato loro mandato di indicare, entro la fine dell’anno, una precisa

Si è trovato anche l’accordo su un patto (“Compact for Growth and Jobs”) che spinga i governi a mobilitare delle risorse nazionali ed europee (solo in piccola parte in aggiunta a quanto già stanziato) per la promozione della crescita e dell’occupazione. A livello nazionale, il Compact è concentrato su misure dal lato dell’offerta: richiama i paesi a consolidare i conti pubblici in modo non lesivo delle prospettive di crescita, a compiere le riforme strutturali necessarie a ridurre gli squilibri macroeconomici, a completare la liberalizzazione del mercato interno (su cui vertono anche gli sforzi dell’Unione) e ad affrontare la segmentazione del mercato del lavoro.

A livello europeo, l’Unione si impegna a intensificare gli sforzi per completare il Mercato unico europeo (con particolare attenzione ai settori energetici e digitali, oltre che dei servizi), a promuovere l’innovazione nelle imprese, a completare il sistema di brevetto comunitario (cui Italia e Spagna, tuttavia, ancora si oppongono). Ulteriori azioni di cooperazione rafforzata sono previste nel medio termine nell’ambito dei regimi di tassazione del risparmio e delle transazioni finanziarie, nonché nella repressione dell’evasione fiscale. In materia di commercio internazionale, l’UE si impegna a meglio utilizzare gli strumenti bilaterali per rafforzare i propri interessi e a concludere (e rendere operativi) i negoziati in essere. L’aumento del capitale della Banca europea per gli investimenti per 10 miliardi di euro entro la fine del 2012 (utile alla mobilizzazione di 180 miliardi di euro in investimenti – 60 dei quali dalla BEI stessa), la riallocazione di parte dei Fondi strutturali per finanziare o garantire investimenti (in conoscenza, infrastrutture ed efficienza energetica) e l’immediata creazione di project bonds per 4,5 miliardi destinati a trasporti, energia e banda larga, completano il patto così sommariamente illustrato.

I paesi dell’Eurogruppo, pressati dalle crescenti difficoltà in ambito reale, bancario e finanziario, hanno raggiunto anche alcune importanti decisioni. Una volta che verrà costituito un meccanismo unico di sorveglianza europea del settore bancario, cui parteciperà attivamente la BCE, il Meccanismo europeo di stabilità (ESM) verrà messo in grado di finanziare direttamente le banche in difficoltà (senza quindi aggravare il debito pubblico dei paesi in cui tali banche sono presenti), previa condizionalità che, si noti, può interessare le singole banche, ma anche interi settori economici e l’economia del paese nel suo complesso. Il Consiglio dovrà, entro la fine del 2012, prendere in considerazione le proposte della Commissione su come realizzare questo piano. In fase transitoria, il settore bancario spagnolo riceverà fondi direttamente dallo European Financial Stability Facility (EFSF), secondo un memorandum d’intesa ancora da definire, e tale prestito, anche quando trasferito in capo all’ESM, non riceverà stato di creditore preferenziale (provvedimento che dovrebbe ridurre il nervosismo sui mercati).

Si è deciso poi di concedere all’ESM di intervenire sui mercati finanziari dei paesi virtuosi (ossia quelli che rispettano le raccomandazioni nell’ambito del semestre europeo e del Patto di stabilità e crescita ) dell’eurozona allo scopo di stabilizzarli. Questo dovrebbe aiutare a contenere gli spread e quindi i tassi di interesse, riducendo la pressione sui conti pubblici e, indirettamente, sulle banche e sulle imprese. Condizione per l’attribuzione di tali fondi al paese richiedente è la firma di un memorandum di intesa, che non coinvolge il Fondo monetario internazionale come avviene nel caso in cui il beneficiario dei fondi ESM sia coinvolto in un esplicito programma di assistenza. L’implementazione dell’accordo scatterà a partire dal 9 luglio, quando l’eurogruppo avrà definito il meccanismo nei dettagli. Dalle dichiarazioni collaterali si intuisce che il meccanismo sia pensato per permettere ai paesi di compiere i processi di consolidamento di bilancio e di trasformazione strutturale al riparo dalle fluttuazioni e dagli eccessi dei mercati. Non si tratta, quindi, di un meccanismo per la mutualizzazione del debito, né per il trasferimento di risorse, né per la realizzazione di un quantitative easing mascherato con la partecipazione della BCE; l’ESM, infatti, potrà contare soltanto sui (limitati) fondi propri (più i residuali dell’EFSF) e non sui prestiti da parte dell’ECB.

Tutte le decisioni hanno in comune alcuni pregi. Sono ragionevoli e rispondono a problemi reali in modo non ideologico. Esse prefigurano interventi comuni europei a sostegno di banche e paesi sotto pressione senza che ciò metta in discussione le responsabilità individuali dei governi nei processi di riforma, così da scongiurare l’effetto negativo che coperture meramente solidaristiche potrebbero avere nel necessario processo di aggiustamento degli squilibri di competitività dei paesi dell’area euro. Il fatto che si decida di intervenire sui mercati in difesa di paesi in linea con le raccomandazioni europee è una dimostrazione del riconoscimento del comportamento spesso eccessivo e controproducente degli investitori: entro certi limiti i mercati possono indurre a maggiore disciplina (non solo in ambito di politica di bilancio, si noti), ma quando passano il segno rischiano di minare le possibilità di recupero e di riforma.

Tutte le decisioni soffrono di un comune difetto: la loro non immediata applicabilità e il rimando a ulteriori negoziati che ne chiariscano gli aspetti operativi (e permettano di estendere, de facto, le funzioni e i compiti della BCE). Nel caso del meccanismo di sorveglianza bancaria, alla cui creazione è condizionato l’intervento dell’ESM a favore delle banche, non si tratta semplicemente di chiarire dei dettagli, ma di definire l’intero sistema (al trasferimento dei compiti della sorveglianza bancaria in seno all’Europa, infatti, dovranno seguire anche soluzioni per l’assicurazione dei depositi, la regolamentazione delle attività, e la liquidazione delle banche in difficoltà). Oltre a esporre le decisioni a possibili cambiamenti in senso peggiorativo, questo approccio dilatorio non risolve l’incertezza complessiva e lascia i paesi in difficoltà senza un’immediata ed esplicita protezione. Il pacchetto per la crescita, inoltre, non agisce a sufficienza sul lato della domanda, né sul credit crunch che rimane un problema (stranamente) sottostimato. I paesi in surplus hanno infatti respinto l’idea di aumentare l’assorbimento interno per facilitare il riequilibrio dei partner in disavanzo e ridurre l’impatto recessivo del consolidamento di bilancio e del deleveraging finanziario.

Non è nemmeno completamente chiaro quali condizioni possano accompagnare gli interventi di aiuto alle banche e ai paesi. Certamente si introduce (come già avviene per alcune nuove linee di credito del FMI) il concetto di condizionalità ex ante, in quanto gli aiuti oggetto dell’accordo sarebbero riservati ai paesi in linea con le raccomandazioni loro rivolte nell’ambito del semestre europeo e del rinnovato Patto di stabilità e crescita (sia per le finanze pubbliche, sia per gli squilibri macroeconomici). Questo non risolve i problemi, in gran parte ignorati nel dibattito italiano, relativi all’ampiezza e alla profondità di tali raccomandazioni, né quelli legati alla loro difficile collocazione nelle relazioni di ciascun governo con la Commissione e il Consiglio, da un lato, e i Parlamenti nazionali ed europeo, dall’altro.

Infine, la distanza tra paesi europei nell’eurozona e fuori da essa sembra crescere. Oltre alle conseguenze politiche di medio termine, non dovrebbe sfuggire come ciò complichi il processo di unificazione della sorveglianza, risoluzione e sostegno delle banche la cui attività si estende all’intera Unione.

Contrariamente alla sua rappresentazione mediatica, il vertice non è stato una partita Italia-Germania, nè ha condotto a vinti o vincitori. Si è iniziato a negoziare, in modo meno ideologico, soluzioni comuni per problemi comuni che però investono i vari paesi in modo differente. Ciò ha indubbiamente condotto a dei passi avanti per l’UE e l’Italia, senza tuttavia che alcuna decisione possa dirsi pienamente risolutiva. La principale soluzione alla crisi rimane quindi che ciascun governo faccia presto “i compiti a casa propria”. Una maggiore unitarietà di intenti sarebbe stata auspicabile, anche per mettere ai ricchi paesi emergenti, oggi singolarmente legati a diversi paesi dell’eurozona, di assumere una posizione comune e intervenire (magari in cambio di maggior rappresentanza nelle istituzioni internazionali) a sostegno del processo di riequilibrio e aggiustamento europeo.

 


Foto: European Council

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