America Latina: la sfida del Pacifico

Di Francesca D'Ulisse Venerdì 15 Giugno 2012 10:42 Stampa
America Latina: la sfida del Pacifico Foto: Gobierno Federal

Cile, Messico, Perù e Colombia hanno istituito, lo scorso anno, una nuova organizzazione internazionale, l’Alleanza del Pacifico, che ha – almeno per il momento – carattere meramente commerciale. Eppure, l’Alianza sottolinea quanto l’America Latina sia sempre più proiettata verso gli stati asiatici del Pacifico e quali nuove geometrie strategiche siano in formazione.

 

Lo scorso 6 giugno i presidenti di Cile, Messico, Perù e Colombia, i paesi che compongono l’Alleanza del Pacifico, hanno siglato un accordo-macro in materia di libera circolazione di beni, servizi, capitali e persone. L’Alleanza, nata nel 2011 con il Trattato di Lima, procede quindi alla creazione di un’area di libero scambio composta da più di 200.000 potenziali consumatori. Di tutto rilievo anche i dati economici dei quattro soci: un PIL che sfiora i 1700 miliardi di dollari – circa il 36% dell’intera area latinoamericana – ed esportazioni che incidono per il 55% del totale di quelle della regione (un valore che, nel solo 2010, secondo dati dell’Organizzazione mondiale del commercio è stato di 450 miliardi di dollari, 60% in più di quello del Mercosur).

L’obiettivo dell’Alianza è chiaro così come le sue potenzialità. Il nuovo blocco si propone come una piattaforma strategica verso i paesi dell’Asia, verso le nuove rotte evocate recentemente dallo stesso presidente Obama quando nel discorso di Canberra ha rilanciato l’asse del Pacifico come prioritario nella politica estera e geostrategica degli Stati Uniti.

La proiezione nel Pacifico non è una novità per i paesi latinoamericani. La Cina, per esempio, è già presente nel continente da diversi anni. Quel che forse non è altrettanto noto è che il “paese del dragone” è già il primo mercato per l’export di Brasile e Cile e il secondo per Perù, Cuba e Costa Rica. Allo stesso tempo, rappresenta il terzo mercato per le importazioni dall’America latina e dai Caraibi in generale, con una percentuale del 13% sul totale della regione. Secondo i dati del rapporto CEPAL (Comisión Económica para América Latina) “Cina e America latina e Caraibi: verso una partnership economica e commerciale”, pubblicato nel marzo 2012, il valore del commercio tra le due aree si è avvicinato ormai ai 200 milioni di dollari. Non solo Cina, per l’Alleanza: l’obiettivo è di raggiungere e competere in un’area in cui Giappone, India, Australia, Corea, Vietnam, Indonesia, Malesia sono potenze ormai emerse e a pieno titolo regional o global players.

L’Alleanza presenta diversi punti di forza. Innanzitutto la sua struttura: la presenza di tre paesi sudamericani e di uno nordamericano prelude a nuove geometrie anche su altri scacchieri, in primo luogo prefigurando una naturale proiezione verso nord, verso gli Stati Uniti e il Canada grazie all’adesione del Messico. Un elemento interessante, inoltre, è che – esclusa l’ormai dimenticata Comunità andina delle nazioni – l’Alianza è il solo blocco latinoamericano in cui non sia presente il Brasile. A tal proposito, sarà interessante capire quale ruolo intenda ritagliarsi il Messico, paese leader, e se la volontà di esplorare tutte le potenzialità atlantiche e pacifiche consenta a questo paese di fare a meno di una partnership strategica con Brasilia per contare davvero a livello politico.

Il fatto, poi, di configurare il blocco, almeno in una prima fase, come un accordo esclusivamente commerciale – quindi poco impegnativo dal punto di vista della concertazione politica – potrebbe semplificare la coesistenza tra i membri. Anche se c’è il rischio che proprio la mancanza di un vero coordinamento politico possa depotenziarne l’incisività.

Se queste sono le sfide, meritano però un cenno anche alcune potenziali criticità che solo il tempo potrà dire essere venute meno. Tra queste, forse la più evidente e palese riguarda il fatto che l’accordo quadro pone come vincolo all’adesione al Trattato la vigenza dello stato di diritto, della democrazia, del rispetto delle norme costituzionali nei paesi soci. Si tratta, evidentemente, di caveat che limitano i paesi che intendono associarsi. Allo stesso tempo, non si può non evidenziare che l’esigenza, di natura squisitamente politica, volta al rispetto dei principi democratici e dei valori di civiltà a essi sottesi stona con la disponibilità a trattare impegni e accordi con paesi, quali gli asiatico-pacifici, che in molti casi non rispettano al proprio interno proprio queste condizioni di base. In altri termini, sarà interessante osservare fino a che punto i vari sistemi sapranno integrarsi e dialogare a prescindere e oltre la mera trattativa economica, e se e in che misura si riusciranno a sviluppare un’intesa e una cooperazione culturale e politica, che dovrebbero essere, in ogni caso, l’obiettivo ultimo di una strategia tra blocchi regionali almeno nel medio-lungo termine.

Un altro punto interessante da valutare sarà capire in che modo i partner latinoamericani riusciranno a ribaltare la “divisione internazionale del lavoro” attualmente dominante, secondo la quale a paesi esportatori di materie prime si contrappongono paesi manifatturieri. Spesso, infatti, i latinoamericani hanno lamentato che l’intercambio con l’Asia si limita all’export di materie prime e di beni senza valore aggiunto. Recenti studi CEPAL, tuttavia, hanno mostrato che ai progressi di breve termine nelle ragioni di scambio e nella bilancia dei pagamenti tra le due aree, non è seguito, almeno finora, un miglioramento dell’inserimento commerciale del continente latinoamericano e addirittura si è avuto un peggioramento dei ranking in tema di produttività e innovazione tecnologica. Se è vero che il futuro delle economie del pianeta si misurerà proprio sulla loro capacità di innovazione, progresso tecnologico e sostenibilità ambientale, resta da chiedersi quanto il rimanere arretrati su questi fronti possa significare essere relegati al ruolo di “paesi satellite”. È una storia che l’America Latina ha giù vissuto e che dovrebbe ormai lasciarsi alle spalle. Una volta e per tutte.

 


Foto: Gobierno Federal

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