Federalismo: una partita persa?

Di Vasco Errani Venerdì 19 Novembre 2010 17:46 Stampa


Parlare di federalismo e praticare un forte centralismo: questo si sta facendo oggi nel nostro paese. Con alcune aggravanti: uno sfregio sistematico agli spazi di autonomia, un’impronta di marcata iniquità sociale, un occhieggiare a particolarismi e ad egoismi localistici che sollevano conflitti e non risolvono i problemi, una mancanza di misure di sostegno allo sviluppo.

Non occorre neppure risalire alle scelte sull’abolizione integrale dell’ICI (l’imposta comunale sugli immobili) o alle interpretazioni sempre più restrittive dei patti di stabilità interni stabiliti per enti locali e Regioni. Basta vedere la ratio che illumina l’ultima manovra e la conseguente legge di stabilità ora in Parlamento: l’80% dei tagli sono rivolti al territorio, ossia agli investimenti locali e ai servizi, quindi a chi ha più bisogno di sostegno: cittadini, anziani, famiglie, piccole imprese.

Quali scelte sono state portate più vicino ai cittadini? Quali responsabilità? Quali poteri di verifica e controllo? Nessuno. E non è giusto invocare la crisi per giustificare i tagli al trasporto pubblico locale, al fondo sociale o alla sanità, tagli effettuati in modo lineare, cioè senza criteri di qualità e di produttività del servizio, senza partecipazione alcuna del territorio alle scelte – certo dolorose – da fare.

La scelta federalista, che il nostro paese ha fatto in particolare con la riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001 (e prima ancora con i decreti Bassanini, che hanno attribuito nuovi compiti amministrativi ai territori), poteva e doveva essere una chiave utile per affrontare la crisi in modo concertato, forte e condiviso. Dando a tutto il paese un messaggio unitario, di uno sforzo positivo per dare futuro all’Italia.

Non possiamo però considerare persa la partita. Occorre oggi lavorarci sulla base di alcuni principi fondamentali e facendo leva su un’unità che deve superare gli schieramenti politici. È possibile. Basti vedere la recente legge 42 (la delega sul federalismo fiscale), fatta da questo governo ma obiettivamente ricalcata sulla proposta del precedente governo Prodi.

I principi da seguire sono quelli che delineano un federalismo fiscale che deve avere caratteri precisi che possiamo schematizzare nei seguenti punti.

Una base unitaria. Perché deve garantire (lo dice anche la Costituzione) a tutti i cittadini di ogni Regione diritti fondamentali come l’assistenza, la sanità, l’istruzione, la mobilità.

Un’impronta solidale. Perché deve adottare il principio della perequazione, in un paese con gravi distanze nei territori, da colmare con uno sforzo collettivo.

Uno spirito cooperativo. Perché premia le realtà che lavorano assieme, coniugando autonomia e collaborazione, premiando comportamenti virtuosi, di risanamento e qualificazione dell’insieme della finanza pubblica.

Una scelta di giustizia. Perché deve essere un federalismo che non lascia indietro nessuno e porta ciascuna realtà locale a superare il criterio della spesa storica convergendo sul criterio dei costi standard per i servizi, migliorando in modo progressivo la qualità della spesa pubblica.

Infine, il principio chiave deve essere quello dell’utilità. Facciamo questa scelta perché la riteniamo utile per il paese. Per elevare la responsabilità dei governi locali, per dare più possibilità ai cittadini di contare, per fare meno passaggi e più verifiche sull’effettivo raggiungimento degli obiettivi che si pongono le comunità locali.

Se questo percorso contiene cose giuste, va detto che il primo avversario da rimuovere è la propaganda fine a se stessa, la strumentalizzazione. Sarebbe grave se i decreti attuativi venissero presi in ostaggio, accelerati e banalizzati dalle proposte del governo con motivazioni “elettorali”. La riforma (e il paese) dovrebbero attendere.

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Prendendo spunto dalle riflessioni sulla Sanità pubblicate da Italianieuropei Lorenzo Sommella propone alcune considerazioni sul tema “Federalismo e sanità”.

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