Contro il terrorismo le luci non si spengano!

Di Andrea Manciulli Venerdì 09 Gennaio 2015 18:21 Stampa

La lotta al terrorismo internazionale ci impegnerà a lungo, in una difficile e complessa sfida per la difesa della sicurezza, della pace e delle istituzioni democratiche. Per farlo servono uno sforzo unitario da parte di tutte le forze politiche e uno scatto in avanti dell’Europa.


La strage di Parigi nella redazione di “Charlie Hebdo” e gli episodi drammatici che sono seguiti all’attentato ripropongono tragicamente il tema della minaccia terroristica internazionale; un fenomeno pericoloso e diffuso, che ha colpito recentemente oltre alla Francia, anche il Canada, l’Australia e il Belgio, come paesi più lontani da noi, Pakistan, Yemen e Nigeria e ci impegnerà a lungo in una difficile e complessa sfida per la difesa della sicurezza, della pace e delle istituzioni democratiche di tutta l’Europa.

Quello che sappiamo al momento sulla dinamica e l’origine dell’attacco alla redazione di “Charlie Hebdo” è che gli attentatori sono cittadini francesi, noti alle forze dell’ordine, che hanno avuto un chiaro percorso di radicalizzazione alle spalle. Se si guarda alle modalità con cui si è svolto l’attacco si evince una certa capacità di combattimento e il fatto che sia stato attuato a volto coperto indica che non era nelle loro intenzioni di compiere un’azione di martirio, elemento, questo, che mostra un salto di qualità rispetto al passato. Gli episodi che sono seguiti all’attentato, nelle ore successive e anche adesso, mentre stiamo commentando gli eventi, evidenziano ancora di più la gravità della situazione, anche per il rischio di una diffusione di atti simili, e ci impongono di analizzarla con attenzione, evitando conclusioni affrettate o, peggio, superficiali.

Ci sono in questo momento, per avere un’idea più chiara della pericolosità del fenomeno terroristico, tre elementi essenziali che vanno evidenziati: il primo riguarda il miraggio suscitato dall’ISIS e dalla fondazione del sedicente Stato Islamico. Una prospettiva attrattiva per una larga parte dei fondamentalisti islamici, che è per noi tanto più pericolosa quanto più aumenta la sua capacità di proselitismo.

Un secondo elemento riguarda il rischio di una possibile competizione di visibilità, anche mediatica, tra i gruppi terroristici. Con l’ascesa dell’ISIS, è nato implicitamente un problema di concorrenza dell’orrore: al Qaeda ora è spinta a compiere atti più efferati per non perdere il primato nel mondo fondamentalista. Ci troviamo davanti a una competizione violenta all’interno del mondo integralista sunnita, scatenatasi in molti paesi della sponda sud del Mediterraneo e del Medio Oriente nel post primavere arabe, che ha visto un aumento della radicalizzazione e della diffusione del fondamentalismo islamico che non possiamo negare e, soprattutto, non possiamo sottovalutare.

Il terzo elemento riguarda la scorretta sovrapposizione in cui si incorre, superficialmente, tra il fenomeno dei foreign fighters, i combattenti di origine occidentale che si uniscono ai jihadisti nei teatri di guerra e ritornano nei paesi di origine dopo l’esperienza bellica, e il fenomeno dei lupi solitari, ovvero individui o cellule che si attivano in Occidente in maniera più o meno organizzata.

La vicenda di Parigi ha fatto esplodere un moto di coscienza collettiva, la cui forza spero non si disperda una volta abbassati i riflettori e spente le fiaccole. Le piazze di questi giorni provano il fatto che si sia raggiunta una consapevolezza diffusa rispetto alla gravità della situazione e chiamano in causa, direttamente, la politica. Fondamentale, adesso, è comprendere che abbiamo di fronte una sfida non breve, che necessiterà, per essere affrontata, di coesione nazionale da parte di tutte le forze politiche e di uno scatto in avanti dell’Europa.

È necessario sgombrare il campo del dibattito dal tema, sbandierato strumentalmente da una certa destra anche in Italia, di un ipotetico scontro di civiltà: l’Islam non è tutto uguale e vanno evitate semplificazioni manichee. La stragrande maggioranza dei fedeli musulmani è assolutamente pacifica ed è sbagliato trasmettere l’idea che tutti i musulmani, compresi quelli che vivono nei paesi occidentali, siano in qualche modo attratti dal terrorismo. Così facendo si finisce per alimentare quello che vogliono i fondamentalisti, i quali, considerando l’Islam pacifico un nemico e avendo ingaggiato da tempo una guerra per la supremazia all’interno del mondo musulmano, non sarebbero altro che avvantaggiati dalla diffusione in Occidente dell’idea che tutto l’Islam è legato all’integralismo. Anzi, negli ultimi tempi si è evidenziato il fatto che anche i paesi del Golfo nutrono preoccupazione per il rafforzamento del radicalismo: un eventuale effetto contagio nell’opinione pubblica metterebbe a repentaglio l’assetto dei loro stessi Stati.

Detto questo, però, il ritornello classico, troppe volte sentito, secondo il quale esiste un Islam moderato accanto a un Islam radicale non può bastare più come giustificazione all’esistenza e alla diffusione del fondamentalismo. Negli ultimi anni, nelle periferie delle grandi città di alcune zone d’Europa, abbiamo assistito a una crescita della radicalizzazione, soprattutto tra le seconde e terze generazioni. Questo fenomeno ha avuto sicuramente una causa nel desiderio di rivalsa sociale, presente in numerose aree urbane europee, ma è altrettanto chiaro come abbia trovato terreno fertile per attecchire e crescere nello scontro in atto all’interno del mondo sunnita successivo alla fine delle primavere arabe. Su questo è necessario che anche le comunità islamiche facciano la loro parte: non solo continuando a prendere le distanze e a condannare questi attentati, ma anche aiutando quei processi di deradicalizzazione indispensabili per il futuro dell’Europa e delle istituzioni democratiche.

Per quanto riguarda, invece, il tema del legame tra minaccia terroristica e immigrazione, anche in Italia, trovare un collegamento tra questi due fenomeni è frutto di una cattiva conoscenza della realtà: i terroristi che tornano per colpire l’Occidente rappresentano “merce preziosa” per chi li ha “formati” e non verrebbero mai esposti al rischio di un viaggio su un barcone. Semmai, il vero rapporto tra immigrazione e terrorismo sta nella gestione del traffico di esseri umani, i cui ricavi economici, spesso, vengono impiegati per finanziare alcune organizzazioni terroristiche.
Di fronte alla sfida del terrorismo jihadista non possiamo permetterci di indietreggiare: occorre fermezza e senso dello Stato. Ne va del futuro della democrazia, dei diritti e delle libertà. Nel mirino del terrorismo ci sono tutti i paesi occidentali, e il livello d’allerta dell’Italia non è diverso da quello degli altri. Il lavoro svolto sinora dai nostri servizi di intelligence e dalle forze dell’ordine è importante, ma non bisogna mai abbassare la guardia, perché i rischi sono tanti e i possibili obiettivi e le possibili modalità di altri attentati infinite.

Per affrontare questi problemi dobbiamo necessariamente rilanciare la cultura della sicurezza e dotarci di strumenti legislativi adeguati per prevenire e contrastare le possibili minacce, mentre sul piano comunitario è indispensabile unificare le diverse legislazioni europee in materia. Il terrorismo, purtroppo, trova spazi di manovra anche nelle pieghe del diritto, che noi non possiamo più permetterci di lasciare. Per questo ritengo che in Parlamento occorra da subito lavorare per costruire uno schieramento unitario su questi temi e un gruppo di lavoro con tutti quelli disponibili a farne parte che affronti i diversi risvolti di queste tematiche, da quelli giuridici a quelli che riguardano più specificatamente le questioni di sicurezza.

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