M5S: sconfitti ma non finiti

Di Domenico De Santis Giovedì 06 Giugno 2013 17:05 Stampa
M5S: sconfitti ma non finiti Foto: paolomariani69

Il risultato negativo ottenuto dal Movimento 5 Stelle alle ultime elezioni amministrative costituisce sicuramente una sconfitta per Grillo e i grillini. Tuttavia esso non rappresenta di per sé un indizio della fine del Movimento. Occorrerà almeno una generazione affinché il “virus” antisistema che ha attecchito nel paese venga spazzato via.


ll risultato delle ultime elezioni amministrative ci consegna un quadro in cui il centrosinistra vince in moltissimi comuni italiani e nei restanti è in netto vantaggio. Nel complesso la coalizione di centrosinistra guadagna nelle maggiori città oltre il 7% dei consensi in più rispetto alle politiche di febbraio, mentre il centrodestra guadagna poco più del 4% e il Movimento 5 Stelle perde quasi il 17% (fonte Demos).

Nei sedici capoluoghi il centrosinistra conquista cinque comuni e in dieci va al ballottaggio con un grande margine di vantaggio rispetto alla coalizione guidata dal PDL. Il movimento di Grillo si è presentato in quattordici capoluoghi, in nessuno dei quali riesce ad arrivare al secondo turno.

Un’analisi del risultato ottenuto dal Movimento 5 Stelle alle recenti amministrative, tuttavia, non può fermarsi alla mera elencazione dei comuni dove non è arrivato al ballottaggio. Studiando i quattordici comuni capoluogo dove i grillini si sono presentati, infatti, l’indagine diventa più interessante. Analizzando i voti assoluti conquistati dal M5S rispetto alle politiche si evince che più di due elettori su tre non sono tornati a votare il Movimento, e di questi circa la metà si è dispersa nell’astensione, la stessa astensione che ha colpito tutte le altre forze politiche. La metà dei consensi del movimento è tornata dunque verso gli schieramenti tradizionali, tant’è che i consensi di entrambe le coalizioni crescono, ma la maggioranza di voti torna al centrosinistra che vince in moltissimi comuni e nei rimanenti è largamente in vantaggio. In termini assoluti nei suddetti quattordici comuni capoluogo il Movimento aveva ottenuto alle politiche 577.456 voti, mentre alle amministrative ne ha ottenuti solo 165.683, cioè in meno di tre mesi ha perso 411.773 elettori.

Il bipolarismo immutato e la perdita di oltre 400mila voti in tre mesi potrebbe farci concludere che per gli stellati è stata una sconfitta – e, in effetti, di sconfitta si è trattato – ma non può farci dire che il Movimento 5 Stelle sia stato già velocemente liquidato dall’elettorato. Il voto alle amministrative è molto diverso da quello delle politiche. Anche se il segnale è stato molto chiaro per tutto il sistema politico: l’elettorato dei Cinquestelle è magmatico, quasi liquido, esattamente come la sua composizione sociale. Il “grillismo” è un fenomeno molto complesso e di lunga durata, non si sconfigge con una “batosta” alle amministrative. Affonda le sue radici culturali nella stagione antipolitica di Tangentopoli, matura a metà del decennio scorso negli spettacoli del suo leader e “capo supremo” e si evolve attraverso un profondo disegno antisistema. Il virus “antitutto” è culturalmente devastante tanto che la sua base oggi critica già come casta una parte della sua rappresentanza istituzionale. Potrà accadere che nelle diverse elezioni perda o conquisti consenso, ma non è un movimento che dalla sera alla mattina chiuderà i battenti. Servirà almeno il tempo di una generazione per spazzare via i virus culturali che sono ormai profondamente piantati nel ventre della società italiana.

In Italia siamo più tifosi che elettori, e questo è molto pericoloso soprattutto per il blocco riformista. Il terreno culturale giustizialista è un caposaldo del PD e del M5S, il ceppo è lo stesso, dunque i cittadini di sinistra che hanno votato Grillo sono in gran parte pronti a ritornare a supportare la sinistra se essa saprà rinnovarsi e rigenerarsi, se sarà capace di rimettere al centro una nuova questione morale, separandola dal moralismo.

Grillo, dopo un decennio di bombardamento quotidiano sui nuovi media, ha costruito un castello di sabbia gigantesco: ha incanalato il malessere diffuso per la perdita di lavoro, di potere di acquisto, per il malaffare diffuso tramutandolo in speranza, ha riunito milioni di italiani dietro un personal computer o uno smartphone e poi li ha fatti incontrare nel mondo reale delle piazze delle maggiori città italiane. Ha fatto in Italia ciò che nei paesi del Nord Africa hanno fatto i giovani o in Spagna gli Indignados. Solo che lui ha costruito scientificamente questo movimento grazie al lavoro occulto del guru Casaleggio.

Molti si domandano se i grillini siano di destra o di sinistra. È una non domanda, perché il Movimento è composito – ci trovi l’ambientalista di sinistra e lo xenofobo che odia gay e immigrati – tanto che le componenti di destra e sinistra si equivalgono. C’è di tutto. C’è la rivolta di chi aveva creduto in Berlusconi e, per non rimproverarsi la scelta fatta per vent’anni, si adegua al “sono tutti uguali, tutti ladri”, c’è poi l’incazzatura di chi ha votato per la sinistra per anni e ha visto tante non scelte, tanti appuntamenti mancati.

Ecco, più che festeggiare per la sconfitta di Grillo alle amministrative, la sinistra deve cercare di capire le ragioni che hanno portato alla nascita di questo Movimento e le ragioni contro cui si oppone.

La sinistra ha colpe gravi che hanno contribuito alla creazione e allo sviluppo del M5S. Le ombre sul suo progetto di paese, il persistere della stessa classe dirigente, l’autoreferenzialità di tanti leader – o meglio dei finti leader, visto che i veri leader li ha pure estromessi dal Parlamento all’ultimo giro –, il linguaggio incomprensibile, e poi soprattutto il distacco dei suoi dirigenti dai bisogni reali dei cittadini meno abbienti.

E poi la credibilità della classe dirigente, che ha perso troppe occasioni. Deve essere rigenerata, cambiata. Non si tratta di rottamare, ma servono persone che godano dell’autorevolezza e dell’affidabilità necessarie per presentare un nuovo progetto di paese. Una nuova classe dirigente cui non possa essere rimproverato di non “aver fatto” quando si era al governo.

 


Foto: paolomariani69

 

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