Il G20 di Mosca e la regolazione dell’attività finanziaria globale

Di Carlo Pinzani Giovedì 14 Marzo 2013 18:40 Stampa
Il G20 di Mosca e la regolazione dell’attività finanziaria globale Foto: Russia's G20 Presidency

Lo scorso febbraio, a Mosca, grazie soprattutto all’iniziativa del Financial Stability Board, al G20 si è fatto un importante passo in avanti nel processo di regolamentazione dell’attività finanziaria globale, soprattutto per quanto riguarda il mercato dei contratti derivati scambiati over the counter. Anche in questo caso, però, governi e forze politiche hanno rimesso la questione nelle mani degli organismi specializzati, abdicando nuovamente al loro compito di governo delle criticità della crisi attuale.



Alla metà di febbraio si è svolta a Mosca la riunione dei ministri finanziari dei paesi del G20, evento – per una volta – di grande importanza, che però in Italia è passato del tutto inosservato nel clamore della campagna elettorale. Individuato dai governi dei paesi industrializzati e di quelli emergenti nel 2008-09 come l’istanza principale nella quale affrontare la crisi, il G20, dopo un inizio promettente, ha visto venir meno la propria capacità riformatrice.

La riunione di Mosca ha segnato invece, in qualche misura, un rilancio dell’impostazione originaria, grazie soprattutto all’iniziativa del Financial Stability Board (FSB), che ha fissato i principali criteri di regolazione dell’attività finanziaria atti a garantirne la stabilità a lungo termine, al fine di realizzare uno dei presupposti essenziali per la ripresa dell’economia a livello globale. Tra i criteri individuati, quello di maggior rilievo sembra riguardare l’enorme mercato dei contratti derivati scambiati over the counter (OTC) in modi totalmente incontrollati e frenetici. Anche se la molteplicità e la complessità di questi prodotti finanziari rendono difficile una loro definizione, in termini schematici si può affermare che si tratta di contratti che permettono di trasferire ad altri soggetti i rischi derivanti dalle più disparate obbligazioni primarie sottostanti: soprattutto per questo sono prevalentemente atipici e bilaterali, anche se possono coinvolgere soggetti diversi dalle parti. Essi possono avere funzioni dirette di tutela degli interessi dei contraenti (hedging) o anche di semplice speculazione, nel qual caso l’obbligazione primaria si avvicina alla scommessa. Si capisce così come i contratti derivati siano originati e scambiati in continuazione e come la somma del loro valore nominale raggiunga cifre impressionanti, al punto che la quantificazione complessiva è ardua anche per la Banca dei regolamenti internazionali (BRI), la banca delle banche centrali.

Né il problema della quantificazione del valore nominale complessivo dei derivati può essere sminuito dalla considerazione che, di solito, il loro valore reale risulta largamente inferiore a quello facciale. Trattandosi di contratti che hanno come elemento tipicizzante la distribuzione del rischio, il loro valore può essere calcolato soltanto quando, per la scadenza del contratto o per il verificarsi del rischio distribuito, vi si dà esecuzione, ed è pari a quello delle risorse effettivamente trasferite tra le parti.

Ne consegue una generale incertezza sul valore di questo tipo di assets. Se sopportabile a livello di singoli rapporti contrattuali, su scala globale e visti la loro diffusione e il loro enorme valore, l’incertezza ha un ruolo paralizzante sul sistema finanziario mondiale, facendo venir meno la possibilità degli operatori di valutare correttamente la solvibilità delle loro controparti. Si spiega soltanto così come un fenomeno quale la crisi del mercato immobiliare americano – un segmento importante ma non certo esaustivo della finanza globale – abbia portato nel giro di due anni al pericolo imminente e reale del collasso del sistema finanziario americano e mondiale. La crisi dei mutui immobiliari americani, avviatasi nel 2006, fu aggravata dalle cartolarizzazioni, vale a dire dall’inclusione in un unico titolo di più obbligazioni primarie caratterizzate da diversi livelli di rischio. E ancora in questo modo si spiega non solo la diffusione della crisi ma anche la sua perdurante esistenza.

Stando così le cose è evidente l’importanza dello sforzo compiuto dal FSB per trasformare la giungla degli OTC in un mercato regolamentato. In termini molto schematici si tratta:

a) di elaborare, nei limiti del possibile, forme standardizzate di contratti derivati in modo da consentirne lo scambio su un mercato organizzato su basi tecnologiche e con regole del tipo di quelle usate nelle borse-valori;

b) di superare la natura intrinsecamente bilaterale dei contratti derivati creando centri di clearing con risorse adeguate a far fronte ai rischi impliciti nei singoli contratti bilaterali che, sommandosi, possono generare un grave rischio sistemico, come già è avvenuto nella crisi attuale;

c) di armonizzare la disparata varietà delle regolazioni tra giurisdizioni diverse, a proposito della quale il FSB e il G20 sembrano orientati a seguire gli indirizzi di regolazione dei derivati adottati nel 2010 dal Congresso americano con il Dodd-Frank Act che, però, non è ancora entrato in vigore e che potrebbe anche non farlo alla scadenza prevista del 2014.

Quest’ultima considerazione, assieme alle potentissime e determinate resistenze del settore finanziario sia da parte delle banche sia da parte delle istituzioni finanziarie, talora di dimensioni enormi, che costituiscono il sistema dello shadow banking, danno la misura delle difficoltà che si debbono affrontare per avviare il superamento della crisi. Inoltre appare grave che, anche a livello internazionale, i governi, e in generale le forze politiche, abbiano sostanzialmente rimesso nelle mani degli organismi specializzati la gestione di queste vicende e si limitino a navigare senza una rotta ben chiara tra Scilla e Cariddi. Il primo scoglio è rappresentato dalla necessità di mantenere una rigorosa disciplina di bilancio con l’imposizione di politiche di austerità dalle pesantissime conseguenze economiche e sociali; il secondo dai tentativi più o meno determinati di ricorrere alla spesa pubblica per migliorare le condizioni del sistema finanziario e rilanciare l’attività produttiva con il rischio, ormai prossimo, di giungere alla alterazione dei rapporti tra le valute, con pesanti e potenzialmente rovinose conseguenze sul sistema dei pagamenti internazionali e sul commercio globale.

Specie se si riuscirà a praticarla uscendo dalla spirale del debito, la seconda via è migliore della prima. Ma resta il fatto che la politica ha abdicato al suo ruolo ed è francamente difficile stabilire se questa abdicazione sia dovuta a una reale incomprensione dei fatti e alla conseguente incapacità di trovare soluzioni (come certamente avvenne nel dibattito congressuale americano dell’autunno 2008 a proposito del programma federale di riacquisto dei titoli tossici), ovvero al deliberato proposito di evitare un possibile e rovinoso panico e un conseguente tracollo. In entrambe le ipotesi sembra però venuto il momento di informare le opinioni pubbliche della realtà dei problemi, del loro protrarsi, e delle possibili, ancorché difficili, soluzioni. Degli effetti della crisi, i popoli sono già autonomamente consapevoli.

In Europa la situazione è complicata dall’arresto dei processi d’integrazione politica in atto da diversi anni che impedisce un’azione coordinata e rende particolarmente ampia e gravosa la delega fatta dalle autorità politiche a quelle monetarie. In Italia, poi, la situazione è ancora più seria, anche nell’ipotesi favorevole che le difese apprestate dalla BCE nello scorso anno siano sufficienti ad arginare almeno provvisoriamente la ripresa della speculazione sul debito sovrano del nostro paese. Le problematiche degli assetti presenti e futuri del sistema finanziario globale non figurano nel dibattito politico o, quando vi compaiono, lo fanno in forme dilettantesche o superficiali, sia quando si chiede che l’autorità monetaria europea funga in pieno da debitore di ultima istanza senza avere un governo alle spalle, sia quando si ipotizza una rinegoziazione puramente nazionale del debito pubblico italiano. Anche la recente entrata in vigore dell’imposizione sulle transazioni finanziarie è vista soprattutto come strumento di politica congiunturale con, al massimo, finalità modestamente redistributive e non come necessaria precondizione per l’introduzione di un sistema di regolazione dei derivati che a quell’imposizione saranno a breve assoggettati.

Malauguratamente, i problemi italiani non sono soltanto quelli, gravissimi, legati alla crisi finanziaria ma vengono anche da un malgoverno che si è protratto, seppur con brevi e significativi intervalli, per un intero ventennio, con responsabilità diffuse – anche se certamente non equivalenti e, anzi, nemmeno equiparabili – tra le diverse forze politiche. Cionondimeno, la frustrazione e la rabbia popolare sono ormai al centro dello scontro politico: e sarebbe il caso che finalmente fossero affrontate con una grande operazione di trasparenza e di educazione, fondata sui fatti e accompagnata da chiari e aggiornati richiami ai valori che, in anni ormai lontani, consentirono al nostro paese di uscire da una crisi ancora più grave di quella attuale.

 

 


Foto: Official website of Russia's G20 Presidency

 

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