Beppe Grillo e le sfide della democrazia

Di Giorgio Caravale Lunedì 21 Gennaio 2013 13:32 Stampa
Beppe Grillo e le sfide della democrazia Foto: Vetralla5Stelle

Dietro al successo del Movimento 5 Stelle alle scorse amministrative si nasconde qualcosa di più delle capacità affabulatorie del comico genovese: la risposta che esso sembrava poter dare al desiderio della società civile di partecipare alle vicende della vita pubblica locale e nazionale. È sulla capacità di coinvolgimento dei cittadini che si sviluppa oggi il confronto politico, ed è su questo terreno che, grazie alle primarie, il Partito Democratico ha già registrato una prima importante vittoria.


Il successo del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo alle ultime amministrative si è imposto come la novità politica più rilevante dell’ultima legislatura. Pur con tutte le perplessità che già allora poteva suscitare un movimento fondato sugli slogan populisti urlati dal suo cantastorie nelle tante piazze d’Italia, un dato appariva chiaro: il comico genovese aveva riportato al centro del dibattito la questione del ruolo della società civile nella politica italiana. Grillo risultava vincente perché sembrava offrire a semplici cittadini che non avevano mai varcato la soglia di una sezione di partito la possibilità di fare politica, di offrire il proprio tempo e le proprie capacità mettendole al servizio della comunità, di candidarsi a governare la cosa pubblica, rompendo quello che, sempre più, appariva all’opinione pubblica come un insopportabile monopolio delle burocrazie partitiche. Grillo ha vinto allora, e continua a raccogliere consensi oggi, perché ha dato l’illusione di creare un varco, di aprire una crepa nella cittadella assediata della politica italiana. Una parte dell’elettorato italiano ha così trovato nel M5S una valvola di sfogo del rancore accumulato negli anni nei confronti di una politica che non sembrava più capace di offrire risposte convincenti ai bisogni del paese. Non è certo un caso che l’ascesa a tratti irresistibile del suo movimento sia iniziata proprio con l’avvio del governo Monti. La supplenza esercitata in questi lunghi mesi dall’ex rettore della Bocconi è stata linfa vitale per il crescente sentimento dell’antipolitica, che nella presenza al governo di ministri tecnici privi di legittimazione politica ha trovato la prova più lampante dell’inadeguatezza della nostra classe politica. Sarebbe però sbagliato leggere il successo raccolto dal comico genovese solo come il frutto del suo sboccato populismo antipartitico. La novità che gli elettori hanno premiato pochi mesi fa consiste soprattutto nel tentativo, incarnato dal M5S, di offrire nuovi spazi alla società civile. I cittadini italiani reclamavano da tempo un radicale ricambio della classe politica. La società civile esigeva uno spazio politico che fino ad allora gli era apparso troppo spesso negato da un club di professionisti della politica impegnati a favorire i propri interessi personali piuttosto che a promuovere il benessere della comunità. E il movimento di Grillo è apparso a una parte degli italiani come la risposta più convincente a istanze avvertite come sempre più urgenti.

I mesi trascorsi dalle ultime amministrative a oggi hanno confermato la centralità della sfida raccolta con furbizia e tempismo da Grillo, ma hanno allo stesso tempo dimostrato l’impossibilità per un movimento leaderistico, plebiscitario e populista di offrire uno sbocco positivo e fecondo a tale delicata sfida. Tutte le peggiori preoccupazioni sulla natura e l’ideologia del suo movimento, manifestate sin dagli esordi da parte degli osservatori più diffidenti, si sono rivelate fondate. I più cauti tra loro avevano chiesto tempo per verificare la qualità dei candidati selezionati dal comico genovese, per vederli alla prova del governo delle amministrazioni locali. Tempo per valutare se dietro agli slogan urlati nelle piazze dal loro capopopolo, se dietro a quella macchina propagandistica volta a solleticare gli istinti più bassi dell’elettorato italiano, dietro alla capacità del suo leader di attrarre costantemente l’attenzione dei media e di cittadini stanchi della cattiva politica, disposti ad affidarsi all’ennesimo demiurgo di passaggio in cerca di una improbabile palingenesi che facesse piazza pulita della «vecchia politica», se dietro tutto questo non ci fosse invece – come si affannavano a ribadire gli stessi candidati del M5S usciti vincitori da quella tornata elettorale – una capacità (oltre che una volontà) di buona amministrazione delle proprie città. Sono bastati pochi mesi e, al di là del giudizio che si possa o voglia dare ai primi passi politici di grillini di prima generazione come il sindaco di Parma Pizzarotti, Beppe Grillo ha mostrato a tutti il suo vero volto: quello di un demagogo, fortemente accentratore e autoritario il quale, dietro al velo della retorica della partecipazione civile, nasconde una profonda diffidenza, per non dire una netta repulsione, per i meccanismi fondamentali della dialettica democratica. La chiave di volta per comprendere a fondo il fenomeno sta tutta nella tanto invocata “democrazia diretta”. La partecipazione diretta dei cittadini al governo della politica, saltando l’intermediazione delle istituzioni rappresentative, risolverebbe, secondo il comico genovese, i problemi della cattiva e corrotta politica. Di qui l’idea, risultata poi fallimentare in termini di partecipazione e di risonanza mediatica, di scegliere i candidati alle prossime elezioni parlamentari attraverso una votazione online nell’ambito di una lista di cittadini, già candidati dal M5S nelle precedenti elezioni amministrative ma risultati non eletti, i quali si sono autopresentati al loro elettorato attraverso artigianali video amatoriali che hanno inevitabilmente suscitato l’ironia dei più smaliziati commentatori politici. L’idea rivoluzionaria, secondo Grillo, consisterebbe nel chiamare all’impegno politico semplici cittadini lavoratori che non si sono mai occupati di politica, elevandoli, con il gesto magico di un clic, al rango di parlamentari. Il disprezzo che egli nutre, e continua ad alimentare, nei confronti dell’attuale classe dirigente del paese è tale che, stando alla sua provocazione populista, un qualsiasi cittadino potrebbe far meglio di chi ha sinora occupato gli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama.

Ma la politica è una cosa seria: implica competenze giuridiche, economiche, esperienze concrete di amministrazione e di governo, locale e nazionale, insomma non è certo un mestiere iniziatico, limitato a un club esclusivo di predestinati, ma non è neppure il regno dell’improvvisazione. Il fatto è che lo smaliziato demiurgo ligure ne è perfettamente consapevole. E qui risiede l’inganno più clamoroso nascosto nell’intera operazione politica. Il leader del M5S è il primo a diffidare della scarsa preparazione dei propri candidati, tanto da interdire loro la partecipazione a qualsiasi trasmissione televisiva, terrorizzato che questi possano rivelarsi di fronte al grande pubblico per quello che sono, semplici e onesti cittadini del tutto impreparati ad affrontare il ruolo che egli li ha chiamati a svolgere. Egli stesso, chiamandosi fuori dal futuro Parlamento, finisce per ammettere di fronte all’opinione pubblica che – al di là della retorica ridondante e distruttiva con cui, forte della sua esperienza da teatrante, condisce i suoi infuocati comizi elettorali e dirige il suo seguitissimo blog – il primo a mancare delle competenze tecniche e politiche per svolgere un’adeguata funzione legislativa è proprio lui: il leader di un movimento nato con l’unico obiettivo di far saltare il tavolo da gioco con tutti i giocatori intorno. È la mancanza di fiducia nei confronti dei propri compagni di avventura e la consapevolezza della sua propria incapacità di costruire una proposta politica solida che vada al di là della polemica distruttiva, la chiave per comprendere appieno l’inganno populista e demagogico della costante invocazione della “democrazia diretta”. È da questa profonda insicurezza che nasce l’arroganza di chi non ammette contradditorio di idee, l’insolenza autoritaria di chi sceglie di espellere dal movimento coloro che osano dissentire dai metodi e dai pronunciamenti del leader. Il cerchio si chiude: se Silvio Berlusconi aveva dichiarato diversi mesi fa di aver studiato i filmati dei comizi del comico genovese ritrovando in lui i gesti, le movenze, persino i messaggi radicali che avevano garantito il successo della Forza Italia degli esordi, sottolineando che il PDL avrebbe dovuto imitare quel novello imbonitore di piazze per recuperare la freschezza perduta, ora è Grillo a svelare all’opinione pubblica quanto il suo personalismo autoritario e antidemocratico assomigli pericolosamente alle qualità che gli italiani hanno imparato ad apprezzare nel Cavaliere in questo ultimo ventennio. I due movimenti si ritrovano uniti nel nome del culto assoluto del leader e della vuota retorica populista che accompagna la loro azione politica.

La politica e la democrazia sono cose importanti. La partecipazione, la dialettica democratica, l’arte del confronto e il dono della sintesi sono capacità imprescindibili per chi crede nei valori di una democrazia rappresentativa, l’unica forma istituzionale di cui le società moderne hanno davvero bisogno per essere governate in una delle fasi più delicate della nostra storia più o meno recente.

Il PD e il centrosinistra, con la competizione seria, aperta e leale delle primarie sono riusciti a risvegliare la voglia di partecipazione degli italiani, segnando un punto di svolta nel rapporto tra politica e società civile. Hanno saputo intercettare quella domanda di una nuova politica, una politica che sappia davvero aprirsi all’apporto della società civile, che sappia ascoltare le richieste dei cittadini e raccogliere il meglio delle forze intellettuali, manageriali e professionali a disposizione del nostro paese, valorizzandole attraverso la formulazione di un programma articolato e coerente, premessa indispensabile per un’incisiva azione di governo. Grazie all’impulso della loro tradizione, alla forza del loro radicamento territoriale e al coraggio politico del loro segretario, il PD e il centrosinistra intero sono riusciti così a raccogliere il loro più grande successo politico proprio sul terreno di battaglia sul quale era nata la sfida di Grillo; in altre parole hanno iniziato a togliere la terra sotto i piedi del comico genovese, erodendo gradualmente, come mostrano i più recenti sondaggi, il consenso elettorale da lui accumulato nell’ultimo anno. Il nuovo non si improvvisa: per essere realmente tale la novità politica ha bisogno certamente di facce nuove, ma anche di luoghi di discussione, di un’approfondita elaborazione di idee, di programmi e scelte a lungo meditati. Tutto questo può nascere solo da una condivisa cultura democratica, attenta alle idee degli altri, capace di ascoltare le voci di dissenso e le manifestazioni di disagio sintetizzandole all’interno di una proposta politica che sappia parlare alla testa pensante dei cittadini, e non solo alla loro pancia.

 


Foto: Vetralla5Stelle

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