Obama contrattacca, ma non riesce a definire il futuro

Di Emiliano Alessandri Mercoledì 17 Ottobre 2012 11:23 Stampa
Obama contrattacca, ma non riesce a definire il futuro Foto: Barack Obama

Il presidente Obama è uscito vincitore dal secondo dibattito presidenziale. Tuttavia, la sua scelta di prediligere la difesa di quanto fatto durante il primo mandato alla presentazione di idee nuove non ha probabilmente contribuito a convincere gli indecisi e a entusiasmare l’elettorato. Romney, pertanto, non è ancora sconfitto.


Come era ampiamente atteso – ma non del tutto certo – martedì sera Obama ha sfoggiato molta più energia e carattere nel secondo dibattito presidenziale della campagna elettorale statunitense, cancellando il ricordo della prestazione di due settimane fa che era stata unanimemente considerata fiacca e deludente. I media già parlano di un come back del presidente e in molti probabilmente concluderanno che Obama ha prevalso su Romney nel faccia a faccia televisivo. Questo, tuttavia, potrebbe non essere sufficiente per chiudere la partita prima del voto di novembre.

Gli elettori indecisi e quelli meno vicini alla politica aspettavano il presidente al varco non tanto, o non esclusivamente, sulla sua capacità di dimostrare combattività e vigore, ma sulla presentazione di una chiara piattaforma che illustrasse, con un certo dettaglio, cosa il presidente intende fare di nuovo e di diverso nel caso in cui rimanesse l’inquilino della Casa Bianca per un secondo mandato. E su questo punto Obama non ha vinto. Non si è imposto neanche nella formulazione di un progetto forte per il futuro, in grado di galvanizzare gli indecisi. Il presidente ha fatto alcune proposte, soprattutto nelle fasi iniziali del dibattito, ma è spesso rimasto sulle generali, per poi ripiegare nel corso del confronto sulla difesa del suo operato dal 2008 a oggi, su cui avrebbe dovuto sapere di essere facilmente attaccabile.

Obama ha parlato di riforma del sistema dei prestiti per l’istruzione, ma non ha chiarito quali novità intende introdurre rispetto alle proposte già annunciate in passato. Ha poi parlato della necessità di rilanciare il settore industriale e manifatturiero, ma di nuovo senza specificare in cosa le sue nuove politiche si distinguerebbero da quelle già perseguite, che hanno prodotto per il momento una ripresa lenta e stentata.

Obama ha anche enfatizzato il ruolo che l’energia può giocare nel rilancio dell’economia americana, in particolare quella prodotta negli Stati Uniti, dallo sfruttamento delle riserve di gas naturale allo sviluppo delle fonti rinnovabili. Ma si è poi trovato a dovere giustificare il prezzo della benzina alla pompa che, a quasi quattro dollari al gallone, resta più alto di quando fu eletto.

Il presidente ha anche ripetuto varie volte che dirotterà le risorse che l’America ha finora speso per le guerre in Medio Oriente – dichiarate concluse – a favore del rilancio dell’economia interna. Ma questi proclami gli elettori li avevano già sentiti in varie occasioni, dalla Convention democratica di Charlotte al discorso sullo stato dell’Unione dello scorso gennaio, senza che ne rimanessero particolarmente persuasi.

Da parte sua, un Romney meno in forma di quello del primo dibattito, è comunque riuscito a difendersi, continuando la virata al centro che mira a presentarlo come un candidato moderato, e concentrando efficacemente il confronto con il presidente in carica sulle promesse non mantenute e le occasioni mancate nei quattro anni di mandato ora alle spalle.

A differenza che nel primo dibattito, Obama non ha avuto pudori nel denunciare come falsità alcune delle affermazioni del rivale. Il presidente è stato anche abile nel criticare l’assenza di dettagli – e la “debolezza aritmetica” – della proposta economica di Romney, che vorrebbe abbassare ulteriormente le tasse, aumentare gli investimenti in settori come la difesa, mantenendo al contempo il pareggio di bilancio. Ma il rivale è riuscito altrettanto abilmente a focalizzare il suo messaggio sulla classe media, promettendo nuove agevolazioni e l’eliminazione delle tasse sui risparmi. Romney ha avuto la meglio quando ha deriso il presidente per avere anche solo provato a dare lezioni di bilancio, ricordando che Obama lascia in eredità svariati nuovi trilioni di debito federale.

Anche nei passaggi più delicati, quando ad esempio si discuteva di immigrazione, Romney non è crollato, rispedendo le accuse al mittente. «Siamo una nazione di immigrati», ha dichiarato per primo, chiarendo che le sue posizioni forti contro l’immigrazione illegale in nessun modo lo rendono un nemico dei tanti lavoratori stranieri che legalmente risiedono negli Stati Uniti. Passando al contrattacco, Romney ha poi chiesto a Obama di spiegare come mai i democratici non abbiano passato quella riforma complessiva dell’immigrazione che ora invocano come elemento di contrasto con i repubblicani.

Quando, verso il termine del confronto, il dibattito si è spostato sulla politica estera, anche i migliori sforzi di Obama di presentarsi con le carte in regola sul tema della sicurezza nazionale non hanno del tutto disinnescato la questione dell’attacco al consolato americano in Libia il mese scorso. Obama si è efficacemente difeso chiarendo che parlò di attacco terroristico fin dall’indomani del tragico episodio. Ma il presidente si è trovato comunque ad ammettere che la morte dell’ambasciatore Chris Stevens e di altri tre americani a Bengasi è, in definitiva, sua responsabilità in quanto capo della nazione – nonostante il segretario di Stato Hillary Clinton in una recente intervista si fosse esposta in prima persona per proteggere la reputazione del presidente. Il Medio Oriente non è stato, e verosimilmente non sarà, al centro della competizione elettorale nelle poche settimane che separano dal voto. Ma è sempre più chiaro che lo spettro del terrorismo islamico è tornato ad aleggiare nei sentimenti dell’opinione pubblica a causa delle vicende delle scorse settimane. Questa nuova inquietudine non può che giocare a sfavore di Obama, aggiungendo nuove ansie a quelle che continuano a caratterizzare le percezioni della situazione economica interna.

Proprio a causa di un sentimento ancora diffuso di incertezza circa il futuro e circa la capacità dell’America di trovare un vero riscatto, la sensazione è che Obama dovrà continuare a lottare fino all’ultimo per assicurarsi un secondo mandato. Molto si giocherà sui tassi di affluenza al voto, che rimangono difficili da prevedere, soprattutto tra quei gruppi la cui mobilitazione favorì Obama quattro anni fa, dalle minoranze ai giovani. Se Obama avesse usato il dibattito di martedì sera per lanciare una nuova “narrazione” – dopo quella della speranza del 2008 – forse avrebbe ritrovato quel contatto con gli elettori. Se avesse esposto in dettaglio un programma chiaro e convincente su come rilanciare l’economia, forse avrebbe convinto quella quota esigua di elettori che deciderà le elezioni nei cosiddetti swing states. Ma per quanto più abile ed efficace del suo rivale, il presidente in carica ha preferito l’analisi alla proiezione in avanti e la difesa strenua di un mandato che chiaramente non esalta tanti. Obama ha probabilmente vinto il dibattito di martedì sera. Ma non ha definito il futuro e anche per questo non ha chiuso la partita. Per Romney la strada è ora più in salita, ma ancora non sbarrata.

 

Le opinioni qui espresse non riflettono necessariamente quelle del German Marshall Fund of the United States.


Foto: Barack Obama

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