Sarkozy vs Barroso non fa rima con intergovernativo vs comunitario

Di Francesco Cerasani Lunedì 27 Settembre 2010 11:09 Stampa

Il recente strappo di Nicolas Sarkozy in occasione dello scontro tra la Commissione e il governo francese rappresenta davvero quella svolta nelle relazioni tra le istituzioni europee che molti commentatori hanno sottolineato?

L’attacco di Sarkozy all’esecutivo comunitario e la sua visione di integrazione europea a velocità limitata hanno causato un inatteso scatto di reni da parte di Barroso. La reazione del Presidente della Commissione era d’altronde doverosa, ne andava della credibilità stessa dell’intera istituzione da lui rappresentata. Tuttavia l’acceso diverbio del summit del 16 settembre a Bruxelles è propriamente sintomo di una reale divergenza sul destino dell’integrazione europea?

La querelle di questi giorni si inserisce in un contesto oggettivamente nuovo, quello del Trattato Lisbona, le cui conseguenze sull’equilibrio istituzionale comunitario sono ancora incerte e in evoluzione. Le tre istituzioni, negli ultimi mesi, sono impegnate in un braccio di ferro che avrà come esito la definizione della nuova Costituzione materiale dell’Unione Europea e che darà sostanza e indirizzo politico alle innovazioni formali introdotte dal Trattato. La riforma delle deleghe legislative (la cosiddetta comitatologia), o il nuovo accordo interistituzionale, e ancora le disposizioni attuative del nuovo servizio di azione esterna sono solo alcuni dei temi che, per quanto burocratici e apparentemente lontani dalla vita reale dei cittadini, imporranno un’impostazione di fondo e duratura all’assetto della vita comunitaria. E in molti di questi dossier è proprio il ruolo della Commissione a risultare determinante nel frenare la spinta all’integrazione ed alla piena realizzazione delle nuove disposizioni del Trattato. Da anni, ormai, il campo del consueto scontro tra dimensione governativa e sovranazionale, solitamente giocato tra paesi membri e Parlamento, si è esteso anche alla Commissione. Il Parlamento, grande vincitore nell’assetto post Lisbona, è in realtà una tigre di carta e la sua influenza rimarrà incompiuta, a meno che esso non riesca a ricondurre la Commissione verso la relazione privilegiata che fu alla base delle grandi riforme politiche ed economiche dell’Europa di Maastricht.

Dalla tensione di questi giorni tra Consiglio e Commissione si delinea uno scenario di “privatizzazione” dello spazio politico europeo, con la delimitazione della Commissione nello stretto e passivo ruolo di mero guardiano dei Trattati. È uno scenario che non si discosta poi molto dalla realtà in cui la Commissione ha di fatto operato negli ultimi anni. Nessuno meglio di Barroso – e lo certifica la sua riconferma a capo dell’esecutivo di Bruxelles – ha interpretato meglio lo spirito dei tempi e vestito così bene i panni del perfetto mediatore tra le sensibilità nazionali, a discapito dell’autonomia e dello spirito di iniziativa del collegio dei commissari.

A tale equilibrio istituzionale si aggiunge un’altra importante innovazione prevista da Lisbona che, seppure concepita come fattore di consolidamento democratico e di partecipazione della cittadinanza, rischia di comportare un ulteriore allontanamento dalla creazione di un’Europa politica. L’inserimento dei Parlamenti nazionali nel processo legislativo, così come previsto dai nuovi articoli del Trattato frappone infatti un’ulteriore ostacolo all’autonomia e primazia del diritto comunitario. La sussidiarietà, che è un principio cardine dell’assetto post Maastricht, può divenire un concetto scivoloso, se utilizzata in modo strumentale come mezzo per rimettere in discussione acquisizioni fondamentali del cammino europeo. Essa è anzi divenuta la parola magica, l’idea chiave di un disegno solo apparentemente paradossale che vedrebbe nella rinazionalizzazione e minimizzazione dell’integrazione comunitaria la risposta alle difficoltà odierne dell’UE.

Una visione esposta in modo cristallino dal segretario di stato francese agli Affari europei, Lellouche, secondo il quale per combattere l’euroscetticismo montante si può rispondere solo con un ritorno di sovranità: in sostanza solo l’euroscettismo può battere l’euroscetticismo.

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