Chi è Gheddafi?

Di Massimiliano Cricco Martedì 12 Aprile 2011 17:29 Stampa
Chi è Gheddafi? Foto: UN Photo/Marco Castro

In 42 anni al potere Muammar Gheddafi ha mostrato al mondo e al suo popolo molti volti: quello rivoluzionario, nazionalista e anticolonialista; quello filosofico della “terza via universale” alternativa a capitalismo e socialismo; quello del “padre-padrone” della terra di Libia. Ma chi è, davvero, Gheddafi?

Per comprendere la vicenda politica e personale di Muammar Gheddafi che, inevitabilmente, si intreccia agli aspetti fondamentali della storia della Libia degli ultimi 42 anni, occorre partire dalle origini del personaggio. Le notizie di cui disponiamo sulla sua vita prima dell’avvento al potere descrivono già una personalità complessa, dalle numerose sfaccettature, molte delle quali emergono sin dall’adolescenza: la determinazione ad eccellere negli studi per affrancarsi dalla povertà e dall’emarginazione, le notevoli capacità oratorie, l’attitudine alla leadership, la progettualità politica e la smisurata ammirazione per il presidente egiziano Gamal Abdel Nasser, che diventa un modello per il giovane Gheddafi già alla fine degli anni Cinquanta. L’ascolto della “Voce degli arabi”, il programma che diffondeva le parole d’ordine della rivoluzione egiziana, la lettura dei pamphlet nasseriani, l’amore per la storia e la volontà di liberare il suo popolo dall’ignoranza, dalla povertà e da quella che viene descritta come la corruzione del regime monarchico di re Idris condurrà il giovane Muammar a concepire nel dettaglio una rivoluzione che si compirà circa 10 anni più tardi, con il colpo di stato degli Ufficiali liberi del 1° settembre 1969. La rivoluzione porterà il ventisettenne capitano dell’esercito libico Muammar Gheddafi al potere con il grado di colonnello (grado che lo connoterà anche negli anni a venire) e la qualifica di leader del Consiglio del Comando rivoluzionario, organo supremo della nuova Repubblica araba libica. Negli anni successivi alla rivoluzione, Gheddafi si sbarazzerà prima della base aeree americana di Wheelus Field e poi di quella britannica di El Adem, presenti da più di vent’anni sul territorio libico, poi passerà ad attuare una politica alquanto disinvolta nella gestione delle risorse petrolifere, esasperando le compagnie straniere che operavano nello Stato arabo in condizioni di quasi monopolio e costringendole ad aumentare la quota di prezzo del greggio spettante al paese produttore.

Nel rapido volgere di pochi anni, dopo la guerra dello Yom Kippur e in concomitanza con la crisi petrolifera mondiale, Gheddafi nazionalizzerà le principali compagnie straniere operanti in Libia e costituirà la NOC (National Oil Company), con il compito di gestire autonomamente le enormi ricchezze petrolifere libiche. Ultimo atto di questa politica connotata da un forte nazionalismo, che potrebbe sintetizzarsi con lo slogan “la Libia e le sue ricchezze ai libici” furono l’espulsione e la confisca dei beni delle migliaia di famiglie italiane che ancora vivevano e lavoravano in Libia dai tempi del periodo coloniale, per lo più a Tripoli e nelle zone circostanti. La reazione composta dell’Italia al provvedimento di espulsione e il desiderio del colonnello di stringere rapporti economici con il governo di Roma, aprirono nuove prospettive nelle relazioni italo-libiche, che a partire dagli anni Settanta ebbero un sviluppo notevole in seguito a importanti accordi stipulati in materia di cooperazione scientifica, tecnica ed economica tra i due paesi.

Ma Gheddafi negli anni Settanta diventa anche una sorta di filosofo, teorico della “terza teoria universale” – alternativa a capitalismo e socialismo – e autore del “Libro verde”, un’opera sui cui principi si basa il nuovo sistema politico creato dal colonnello in Libia nel 1977: la Jamahiriyya, o “stato delle masse”, con il controllo politico del paese affidato a 187 Congressi popolari di base e a 47 Congressi popolari municipali: Gheddafi si vede da allora riconosciuto il titolo di qa’id (guida) e di mu‘allim (maestro), che in passato erano stati del suo principale ispiratore, Gamal Abdel Nasser.

Intanto i proventi della vendita del petrolio aumentavano e la Libia si trovò ad essere inondata di petrodollari, che Gheddafi pensò di utilizzare per potenziare il suo arsenale, trasformando la Libia nello Stato più armato dell’Africa con lo scopo iniziale di realizzare, partendo proprio da Tripoli, un’unione islamica le cui dotazioni militari dovevano essere idonee al ruolo di potenza regionale che la Libia voleva ricoprire. I vari tentativi di unione tra la Libia e diversi paesi islamici africani non ottennero alcun successo, ma la dotazione di armi, agli occhi del colonnello, doveva essere incrementata per fare del suo paese quello che Gheddafi definì il baluardo dell’Islam contro il nemico sionista. Lo stretto rapporto con i movimenti nazionalisti palestinesi come Al Fatah, di cui il leader libico fu uno dei più convinti sostenitori, ma anche la simpatia dimostrata per i gruppi islamici più estremisti e i movimenti rivoluzionari più eversivi, arabi e non, accreditò la Libia agli occhi di gran parte dei paesi del mondo come uno stato “terrorista”.

Di fronte alle dichiarazioni sempre più bellicose e manifestamente anti-israeliane di Gheddafi negli anni Settanta e Ottanta l’Amministrazione statunitense iscrisse la Libia nella lista nera degli “Stati canaglia”. Ma fu ai tempi di Reagan che Gheddafi divenne uno dei peggiori avversari di Washington, che lo considerò addirittura il nemico pubblico numero uno degli interessi strategici degli Stati Uniti nel Mediterraneo, bollandolo come “spia sovietica” e “terrorista”, la cui eliminazione avrebbe diminuito notevolmente l’influenza dell’Unione Sovietica in Africa e nel Medio Oriente.

Il braccio di ferro tra Reagan e Gheddafi si concluse con il bombardamento americano di Tripoli e Bengasi del 15 aprile 1986 dopo l’accusa, rivelatasi poi infondata, che agenti dei servizi segreti libici avrebbero ordito le trame segrete di tre sanguinosi attentati verificatisi a Vienna, Roma e Berlino ovest tra la fine del 1985 e i primi mesi del 1986.

L’Amministrazione Reagan era convinta che le conseguenze dei raid aerei dell’aprile 1986 sarebbero state devastanti per il regime di Gheddafi e avrebbero costretto il leader libico a un radicale mutamento della sua politica estera, se non addirittura alla sua uscita di scena. Ma l’attacco americano radunò gli elementi rivoluzionari attorno a Gheddafi e rafforzò il potere e l’autorità del suo regime, tanto che l’atteggiamento del leader libico verso il terrorismo rimase sostanzialmente invariato.

Gli attentati di Lockerbie, in Scozia, del dicembre 1988 e del deserto del Teneré, in Niger, del settembre 1989, videro coinvolti due esponenti dei servizi segreti libici. Il rifiuto da parte del governo di Tripoli di consegnare a un tribunale internazionale i presunti colpevoli per accertarne le responsabilità portò all’applicazione contro la Libia di severe sanzioni in seguito alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU n. 748 del 31 marzo 1992, che imponeva allo Stato nordafricano un embargo molto duro, che si è protratto fino al 1999,  quando Gheddafi decise di consegnare alle autorità olandesi i due presunti attentatori. Da allora il presidente americano Clinton, il premier britannico Blair, il presidente del Consiglio italiano D’Alema e il presidente francese Chirac avviarono una politica di cauto riavvicinamento al regime di Tripoli e i leader di altri paesi seguirono presto la stessa strada.

A questo punto si arriva alla nuova fase della politica interna ed estera di Muammar Gheddafi. Dalla fine degli anni Novanta, l’azione politica di Gheddafi nei confronti dell’Africa inizia a prendere una sua autonomia e genera il cambiamento di rotta della politica estera della Jamahiriyya, che dirigerà sempre di più la sua azione verso gli obiettivi africani: lo stesso leader inizierà a dismettere le sontuose uniformi militari che lo avevano caratterizzato nelle sue apparizioni pubbliche negli anni precedenti e a vestire abiti più consoni alla tradizione africana: tuniche, djellaba, caffettani, secondo la tradizione beduina.

Al cambiamento di look si aggiungerà poi un mutato atteggiamento verso la comunità internazionale, che porterà il colonnello a dichiararsi convinto oppositore del terrorismo di matrice fondamentalista e a scagliarsi contro al-Qa‘ida dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Questa nuova politica condurrà il leader libico alla completa rinuncia alle armi di distruzione di massa nel 2003, con la conseguente cancellazione del paese arabo dalla lista degli “Stati canaglia” e l’attuazione di una nuova politica di rilancio della collaborazione economica soprattutto con gli Stati Uniti e l’Unione Europea.

Contemporaneamente, Gheddafi cercò anche di presentarsi al mondo come un benefattore del suo popolo, come l’uomo che ha strappato l’acqua al deserto per portare l’acqua potabile nelle grandi città costiere, come Tripoli e Bengasi, attraverso lo sfruttamento, mediante un’imponente rete di acquedotti fatti costruire dal regime dagli anni Ottanta in poi, dell’acqua fossile presente in un enorme lago sotterraneo che si estendeva nel sottosuolo sahariano per un’area di circa 88.000 kmq, suddiviso in quattro grandi bacini idrografici. Il progetto, avviato negli anni Ottanta e non ancora concluso, fu battezzato “grande fiume artificiale” e consentì al regime di ottenere dall’UNESCO un importante riconoscimento: l’istituzione, nell’aprile del 1999, di un premio intitolato Great Man-Made River International Water Prize di 350.000 dollari, allo scopo di incoraggiare la produzione di lavori di ricerca nel campo idraulico in zone aride, al fine di sviluppare l’agricoltura per il benessere delle popolazioni svantaggiate nelle aree soggette a frequenti siccità.

Nella seconda metà dello scorso decennio Gheddafi ha cercato di proporsi come un nuovo leader per il continente africano. In questo periodo furono infatti stretti dalla Libia rapporti economici e politici sempre più intensi con i paesi sahariani e del Sahel, che portarono alla fondazione della Comunità degli Stati sahelo-sahariani (Comessa), comprendente il Sudan, il Ciad, il Niger, il Mali e il Burkina Faso. Gheddafi ne assunse la presidenza, e iniziò nello stesso tempo un’azione diplomatica per realizzare il suo nuovo progetto unitario: gli Stati Uniti d’Africa, progetto che fu respinto però nel luglio del 2007, dopo molte vicissitudini, ad Accra, in Ghana, nel corso di una riunione dei capi di Stato della neo-costituita Unione Africana (UA), ma che gli permise di ottenere una certa popolarità presso molti Stati del continente. Tanto che, nel 2009, fu designato quale presidente di turno dell’UA, ruolo che ricoprì promettendo aiuti economici a molti paesi africani, ma provocò anche una serie di polemiche, facendosi incoronare in quel periodo da alcuni capi tribali “re dei re tradizionali dell’Africa”.

Le recenti, drammatiche vicende che stanno interessando la Libia in questi ultimi mesi ci mostrano ancora un volto del leader libico, quello dell’oppressore del suo popolo, del massacratore dei suoi oppositori, strenuo difensore del suo potere e del suo ruolo, anche se ormai sempre meno credibile, di qa’id.

La sua resistenza al potere, tuttavia, non nasce solo dall’utilizzo di mercenari assoldati tra i bambini-soldato dell’Africa nera, disperati e disposti a tutto, o dall’uso delle migliaia di aerei e carri armati acquistati dai paesi di mezzo mondo, ma anche dall’appoggio di cui gode presso una parte del popolo libico, che teme di restare orfano di un dittatore crudele, è vero, ma anche di un uomo che, nato povero e venuto dal deserto, da una tribù di strenui oppositori al colonialismo italiano (il nonno e due zii furono uccisi in battaglia contro le truppe italiane), ha saputo infiammare le masse con la sua oratoria e, a differenza di tanti altri dittatori africani che, divenuti ricchissimi, hanno affamato i loro popoli, ha concesso ai libici case popolari, benzina quasi gratis e acqua potabile per irrigare i campi di un paese arido. Non si vuole con ciò assolvere Gheddafi dagli orrori commessi in questi giorni di battaglia nella terra di Libia, ma cercare di comprendere il perché della resistenza di questa figura che, dopo quaranta e più anni di esercizio del potere, ancora mantiene un’influenza nella terra di cui si sente figlio e padre-padrone.[1]



[1] Per una trattazione più ampia dei temi sviluppati in questo articolo si veda il volume di prossima pubblicazione M. Cricco, F. Cresti, Gheddafi. I volti del potere, Carocci editore, Roma, 2011.

 

 


Foto: UN Photo/Marco Castro