El Salvador: il Frente riconfermato alla guida del paese

Di Gianandrea Rossi Lunedì 05 Maggio 2014 16:01 Stampa
El Salvador: il Frente riconfermato alla guida del paese Foto: Enrique Bravo

L’elezione di Salvador Sanchez Cerèn, candidato del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional, alla guida del paese latinoamericano si pone in continuità con la presidenza del predecessore Funes. Tuttavia, le recenti elezioni, fortemente contestate dagli avversari di ARENA, lasciano il paese – in un relativo ritardo di sviluppo rispetto agli altri Stati della regione – profondamente diviso.


Nei giorni scorsi è stato in visita a Roma e a Città del Vaticano il neopresidente eletto di El Salvador, Sanchez Cerèn, già vicepresidente ed ex guerrigliero del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (FMLN). Durante l’incontro con il pontefice, svoltosi a margine della beatificazione dei due papi, Cerén ha sostenuto la causa della beatificazione di Oscar Romero, l’arcivescovo salvadoregno simbolo della guerra civile che ha devastato il paese fino agli accordi di pace del 1992. L’obiettivo della beatificazione di monsignor Romero rappresenta un elemento identitario fondamentale di quella riconciliazione nazionale che è stata perseguita con tenacia già da Mauricio Funes (alla guida del primo governo del FMLN) e che ancora oggi rappresenta una sfida molto importante per un paese uscito dalle urne, lo scorso 9 marzo, fortemente diviso, come riconosciuto dallo stesso Cerèn in occasione dell’incontro con il sottosegretario agli Esteri, Mario Giro, avvenuto durante la sua permanenza a Roma.

Dopo un lungo e laborioso riconteggio dei voti scrutinati, il Tribunal supremo electoral di El Salvador ha diffuso i dati definitivi del ballottaggio delle elezioni presidenziali. Il vicepresidente uscente e candidato alla presidenza per l’FMLN è stato eletto presidente della Repubblica con un vantaggio di appena lo 0,22% (6.364 voti): Salvador Sanchez Cerén ha, infatti, ottenuto 1.495.815 voti (50,11%), mentre Norman Quijano, della Alianza Republicana Nacionalista (ARENA), ha ottenuto 1.489.451 preferenze (49.89%). Lo scarto tra i due candidati si è in sostanza ridotto di circa duecento voti rispetto al conteggio preliminare messo sotto accusa da ARENA (che affermava di aver vinto con il 50,12% dei voti, contro il 48,88% di Sanchez Cerén). Sono circa 3200 le schede impugnate da ARENA, che contesta il presunto “doppio voto” da parte di elettori del FMLN, denunciato con un apposito ricorso presso il TSE.

La vittoria del Frente segna un’importante novità nello scenario politico di El Salvador che, per la prima volta dopo il ventennio di dominio indiscusso dei governi di destra di ARENA (1989-2009), vede una continuità di governo per l’ex formazione guerrigliera: dopo il primo mandato di Funes si concretizza un secondo mandato (fino al 2019) che “sdogana” il Frente dal suo passato guerrigliero e lo promuove come forza di governo. Sono molte le attese di un rafforzamento della via progressista del governo, che ha optato per una certa autonomia dalla via “bolivariana” dell’Alleanza bolivariana per le Americhe (ALBA) ed è interessato a nuove esperienze di integrazione (El Salvador, ad esempio, ha chiesto di divenire osservatore dell’Alleanza del Pacifico).

Alla vittoria di Sanchez Cerén hanno certamente contribuito le spaccature sul fronte avversario che, al momento del ballottaggio, hanno fatto sì che il Frente acquisisse una quota di elettori della lista Unidad, dell’ex presidente Antonio Saca (fuoriuscito da ARENA due anni fa), aumentando di circa 180 mila voti il risultato del primo turno (con un +14% rispetto al 1.309.000 voti presi il 20 febbraio).

Il Frente è stato inoltre indubbiamente premiato dalle buone politiche di crescita economica, inclusione sociale e riduzione della povertà messe in atto dal presidente Funes: la disoccupazione è, infatti, scesa dal 7,1% al 6,2%; gli investimenti esteri sono saliti da 365 a 515 milioni di dollari all’anno; l’inflazione è scesa dal 2,3% all’1,7%; mentre il tasso di povertà si è ridotto dal 47,9% al 45,3%.

L’esito delle elezioni del 9 marzo però impone al nuovo presidente anche un’attenta riflessione. Il primo dato da tenere in considerazione è che, dopo il primo mandato di Funes, El Salvador è un paese ancora fortemente spaccato, in cui la destra, seppur disarticolata, conta su un importante blocco di consenso. Colpisce il forte recupero di voti tra il primo e il secondo turno, che ha determinato la riduzione dello scarto di voti tra i due candidati, dagli otre 300 mila voti del 2 febbraio ai circa 6 mila voti del 9 marzo: il numero di elettori che pur non avendo votato al primo turno ha deciso di dare il proprio appoggio al candidato di ARENA ammonta a circa 450 mila.

A spiegare questo differenziale non bastano né la spartizione degli oltre trecentomila voti di Saca e della sua Unidad, né l’aumento dell’affluenza, passata dal 55% del primo turno al 60% del secondo turno. Occorre considerare il ricompattamento dell’elettorato di destra (storicamente molto tradizionalista e coeso) a sostegno di Norman Quijano, nonostante il mancato “apparentamento elettorale” con Antonio Saca che, invece, ha guardato con un certo interesse (determinandone probabilmente la vittoria) all’FMLN. Inoltre, nella campagna elettorale per il secondo turno, l’FMLN ha lasciato molto spazio al protagonismo del presidente uscente, Funes, il quale, sceso in campo in prima persona, ha assunto un certo tono intimidatorio verso la destra, assimilandola alla corruzione, per contrastare la forte campagna mediatica di ARENA che, da parte sua, ha cercato di associare l’FMLN al PSUV di Maduro, evocando i fantasmi delle tensioni sociali che sconvolgono il Venezuela, come naturale conseguenza di una eventuale vittoria dell’“ex guerrigliero” Sanchez Cerén.

Infine, non deve essere trascurato il ruolo della Chiesa, in larga parte legata al tradizionalismo di ARENA, a supporto della contestazione verso le politiche di apertura del governo nella lotta alla criminalità con il processo (parziale) di smobilitazione di pandillas e maras (bande criminali urbane formate perlopiù da minorenni), avviato dal governo.

A frenare alcuni elettori dal votare FMLN, anche una certa insoddisfazione nei confronti di un sistema di politiche che complessivamente, seppur intervenuto direttamente a favore dei ceti più deboli, non ha ridotto gli alti margini di esclusione sociale (come detto, la povertà è comunque ancora al 45,3%). Destano preoccupazione anche la mancanza di alcune riforme strutturali come quella fiscale. Il trend di crescita di El Salvador (in calo dal 2010) è stato negli ultimi anni tra i più bassi della regione e il 2013 si è chiuso con un +1,7%, mentre il rapporto debito-PIL è aumentato negli anni della presidenza di Funes, passando dal 45,3 al 47,9% %. La “tregua” con le pandillas ha appesantito il clima politico e, per il momento, ha generato più critiche dall’opinione pubblica che benefici in termini di riduzione effettiva della violenza: secondo il rapporto dell’UNDP 2013-2014, in El Salvador vi è uno dei tassi più alti di mortalità giovanile, 92 ogni 100 mila. Durante il mandato di Funes, è rimasto sostanzialmente invariato il tasso di omicidi, che nel 2012 ha registrato il dato di 69 ogni 100 mila abitanti.

Il presidente eletto di El Salvador (la cui cerimonia di insediamento si terrà il prossimo 1° giugno) si troverà così davanti un paese spaccato e altamente conflittuale. A lui la sfida di riportare un clima di unione nazionale e coesione, senza sacrificare gli assi portanti della priorità dell’agenda di governo del Frente, ancora non portata a termine. Secondo molti osservatori, l’esito elettorale imporrà l’avvio di un processo negoziale con l’opposizione, necessario per garantire la solidità del governo e la costruzione di un nuovo clima politico nazionale. Secondo altri, invece, l’ascesa al potere di un esponente interno del FMLN (Funes, come è noto, era un candidato esterno al FMLN) imporrà un rafforzamento dell’azione del Frente e uno sprone a fare di più, superando i limiti dell’azione di Funes, criticato da molti per la sua “autonomia” e la scarsa propensione al dialogo con le altre forze del paese.

Al più “politico” Sanchez Cerèn spetta, dunque, l’onere di costruire, con un’intensa mediazione politica, il percorso di riforme del paese e il rilancio del sistema economico e produttivo del paese, anche attraverso il miglioramento delle condizioni di attrazione degli investimenti (fortemente penalizzati come testimoniato, per esempio, dal contenzioso con l’ENEL), considerato indispensabile per aumentare il livello di crescita di El Salvador. L’esito del ballottaggio, dunque, confermando il risultato delle passate elezioni legislative del 2012 – quando l’FMLN subì la prima battuta di arresto dopo l’ascesa al potere di Funes nel 2009 (l’FMLN ottenne 31 deputati, contro i 33 di ARENA e gli 11 di Gana) –, riporta alla ribalta la questione della mediazione politica in Parlamento come presupposto necessario per attuare le riforme necessarie al paese.

 

 


Foto: Enrique Bravo