Si apre la transizione in Venezuela?

Di Gianandrea Rossi Lunedì 11 Marzo 2013 15:25 Stampa
Si apre la transizione in Venezuela? Foto: Luigino Bracci

La morte di Chávez apre un periodo di transizione nel corso del quale dovrà essere confermata la successione alla presidenza da parte di Nicolás Maduro, delfino del presidente che per anni è stato al suo fianco. Per gli Stati Uniti si tratta anche di un’occasione per riallacciare i rapporti su importanti temi di interesse comune.


Con la morte di Hugo Chávez, dopo quasi cinque mesi dalla sua vittoria alle elezioni presidenziali dello scorso ottobre (successo chavista riconfermato nelle successive elezioni amministrative di dicembre), e a un anno e mezzo dall’inizio della sua malattia, l’America Latina e il mondo seguono con apprensione l’evoluzione della situazione venezuelana. Si è aperta, di fatto, una transizione le cui caratteristiche si delineeranno giorno dopo giorno.

L’annuncio della morte, dato al mondo dal vicepresidente Nicolás Maduro, ha posto fine a mesi di incertezza, in cui le autorità venezuelane hanno centellinato le poche notizie ufficiali sullo stato di salute del presidente. Secondo María Teresa Romero, docente di studi internazionali all’Università Centrale del Venezuela, le recenti manifestazioni studentesche – cui è seguita una forte repressione da parte delle forze di polizia – e le continue pressioni dell’opposizione venezuelana per conoscere le reali condizioni di salute del presidente «sono state determinanti per convincere il governo a dare l’annuncio definitivo della sua morte».

Poche ore prima dell’annuncio della morte di Chávez, Maduro era già intervenuto a reti unificate, attorniato dai membri del governo, dai capi delle Forze armate e da quelli del PSUV (Partido Socialista Unido de Venezuela), assente il solo Diosdado Cabello, presidente del Parlamento venezuelano, per annunciare l’espulsione dell’addetto militare dell’ambasciata statunitense e per lanciare ai “nemici del Venezuela” l’accusa di aver «inoculato a Chávez i germi che avrebbero poi provocato il cancro».

Nei prossimi giorni, secondo l’articolo 233 della Costituzione, Cabello, in quanto presidente della Asamblea Nacional, dovrà indire le nuove elezioni presidenziali, che si dovranno tenere entro trenta giorni dallo scioglimento del Parlamento. Inoltre, secondo quanto dichiarato dal ministro degli Esteri Elías Jaua, una volta sciolto il Parlamento, Maduro sarà il presidente

Alterna la reazione dell’opposizione che, a gennaio, dopo un primo rifiuto della legittimazione del nuovo mandato “in assenza” di Chavez e dell’atto formale di giuramento, ha poi deciso di accettare, sulla scia della posizione statunitense, la sentenza del Tribunale supremo di giustizia che legittimava l’operazione e la vicepresidenza a Nicolás Maduro. La MUD (Mesa de Unidad democratica Democratica), si è limitata a organizzare un’imponente manifestazione lo scorso 23 gennaio.

Alla vigilia del suo ultimo intervento e in occasione della designazione di Nicolás Maduro a vicepresidente, Chávez aveva voluto accanto a sé anche l’esponente dell’altra anima del chavismo, Diosdado Cabello. Dopo un periodo di difficile equilibrio tra i due, è emerso progressivamente – negli ultimi due mesi – un primato di Maduro, favorito anche dalle strette relazioni con le autorità cubane. Maduro appare comunque ben conscio della forza del presidente dell’Asamblea Nacional, soprattutto in alcuni settori dell’economia (controllo di PDVSA, Petróleos de Venezuela) e nelle Forze armate (dalle cui fila proviene), oltre che nel PSUV al cui interno è presente una milizia armata, composta da decine di migliaia di persone, che risponde a Cabello.

La lunga assenza fisica di Chávez ha tuttavia permesso un lento consolidarsi della visibilità mediatica del vicepresidente nel suo ruolo di reggente, facendo le veci del presidente in riunioni internazionali (UE-CELAC, ALBA, CELAC, PetroCaribe), guidando parate militari e manifestazioni e, soprattutto, inaugurando opere sociali e gestendo lunghissime trasmissioni televisive a reti unificate. Nei giorni scorsi molti sono stati gli spot televisivi con un Maduro molto più giovane, impegnato in attività della “rivoluzione bolivariana”, corredati da slogan del tipo «con Chávez tutto, senza Maduro e il popolo nulla!», parafrasi del castrista «En la revolución todo, fuera de la revolución nada».

Altra personalità di rilevo del chavismo in rapida ascesa è Elías Jaua, che rappresenta un’altra anima del chavismo, quella più giovane, svincolata dal settore militarista di Cabello ma anche, rispetto a Maduro, meno legata all’osservanza cubana. Dopo i segnali di “continuità”, dati dal vicepresidente nei primi giorni di uscita di scena di Chávez, soprattutto rispetto all’Alianza Bolivariana (Maduro si è riunito a Caracas con tutti i ministri dei paesi dell’ALBA) e al sistema PetroCaribe, nel corso di un recente intervento pubblico, Jaua ha annunciato novità nelle relazioni internazionali del Venezuela, rilanciando la prospettiva di integrazione non solo attraverso la creatura chavista ALBA, ma anche attraverso l’UNASUR (l’Unione delle Nazioni Sudamericane) e la più giovane CELAC (Centro de Estudios para América Latina y el Caribe). Jaua ha inoltre ribadito la “volontà” di riavvicinare Caracas a Washington (non era ancora stata decretata l’espulsione dell’addetto militare dell’ambasciata americana). Con un mandato ufficiale recentemente affidato all’ambasciatore venezuelano presso l’Organizzazione degli Stati Americani, Roy Chadertón, il ministro Jaua ha inteso dare così seguito alle “aperture” del Dipartimento di Stato statunitense che, nei mesi scorsi, attraverso Roberta Jacobson, Segretario di Stato aggiunto per l’emisfero occidentale, avrebbe individuato un’agenda comune di collaborazione per riaprire i rapporti, incentrata sui temi della sicurezza internazionale, della lotta al narcotraffico e sui più stringenti dossier energetici.

Sarà interessante vedere se l’opposizione, che subito dopo il decesso di Chávez ha emesso un comunicato di dialogo e distensione con le autorità di governo (sottolineando che questo «non è il momento di differenziarsi ma il momento della pace e dell’unione»), si manterrà ancora unita nella MUD, guidata da Henrique Capriles, soprattutto in quelle regioni in cui Maduro potrebbe raccogliere con più facilità l’eredità di Chávez, facendo propri i disagi sociali di gran parte della popolazione, provocati dalla crisi economica che «quell’idea economica alternativa annunciata, proclamata e rivendicata fino alla morte» (come ha scritto Roberto Da Rin in un suo recente articolo) non è riuscita a evitare.

A rafforzare inoltre la candidatura di Maduro sono i suoi forti rapporti con la regione e la comunità internazionale, maturati negli anni da ministro degli Esteri (2006-13), durante i quali ha affiancato Chávez sullo scenario internazionale nella costruzione dell’ALBA, nella gestione della segreteria generale dell’UNASUR e, da ultimo, durante la presidenza di turno della CELAC. Non a caso, molti governi della regione, nei messaggi di solidarietà inviati a Caracas, hanno espresso sostegno proprio al vicepresidente Maduro, ovvero a quell’ex ministro degli Esteri di Chávez con cui molte cancellerie latinoamericane avevano da anni una consuetudine di buone relazioni, confermando in molti casi i messaggi di accettazione della sua reggenza già inviati al presidente prima della sua scomparsa. Oltre ai grandi paesi dell’area, come il Brasile (che attraverso il consigliere speciale per la politica estera di Dilma Rousseff ha costantemente seguito l’evoluzione dei fatti) e la Colombia (María Ángela Holguín, il ministro degli Esteri, si era recata Caracas per visitare Maduro ed Elías Jaua) anche gli Stati Uniti, accettando la decisione del Tribunale supremo di giustizia, hanno riconosciuto la legittimità della reggenza di Maduro con l’obiettivo, secondo alcune fonti giornalistiche, di approfittare del particolare momento per rilanciare il dialogo bilaterale soprattutto in materia di cooperazione contro il narcotraffico, il terrorismo e le questioni energetiche.


Foto: Luigino Bracci