Massimo Nava

Massimo Nava

è il corrispondente da Parigi del «Corriere della Sera»

Il velo islamico e la spada di Dreyfus

All’inizio del corrente anno scolastico è entrata in vigore in Francia la legge sulla laicità, approvata – a larghissima maggioranza – dall’Assemblea nazionale e dal Senato fra il febbraio e il marzo del 2004. I quattro articoli del provvedimento, le circolari e le disposizioni successive sono stati il risultato di un grande dibattito nella società francese e del complesso lavoro di ricognizione compiuto dalla Commissione Stasi, che ha preso il nome del suo presidente. Bernard Stasi, ex mediatore della Repubblica (la funzione del garante fra cittadini e istituzioni) ed eminente figura di giurista e intellettuale, è stato incaricato dal presidente Jacques Chirac di sintetizzare pareri e indagini di una articolata pattuglia di giuristi, intellettuali, sociologici, personalità religiose e politiche di varia estrazione.

 

Noi e la Francomània

Può essere che Jacques Schröder e Gerhard Chirac siano soltanto un gioco di parole, o meglio di cognomi, caro a un giornalismo franco-tedesco che enfatizza e regala alla storia ciò che è ancora cronaca, appunto l’episodio in cui il cancelliere tedesco si è fatto rappresentare al Consiglio europeo dal presidente francese. Ma qualunque misura e significato si vogliano dare al consolidamento dell’«asse» franco-tedesco e al processo d’integrazione sociopolitica dei due paesi (si gioca anche con le immagini di Francomània o Germofrancia), sono decisivi, anche se non sempre evidenti, i termini della partita che si sta aprendo in Europa e le modalità di molti paesi, Italia compresa, di rapportarsi a una situazione nuova, con contorni incerti, non necessariamente irreversibile, ma con la quale è vitale fare i conti.

 

L'Italia vista dalla Francia: anomalia o laboratorio?

Tutto si può discutere, fuorché negare la lungimiranza di un leader comunista che, quattordici anni prima della caduta del Muro di Berlino, dichiarò che l’ombrello dell’Alleanza atlantica era preferibile al Patto di Varsavia. Enrico Berlinguer lo affermò in una storica intervista al «Corriere della Sera», alla vigilia delle elezioni politiche del 1975, accentuando lo «strappo» da Mosca e la revisione ideologica del PCI che, qualche anno dopo, avrebbe cambiato nome, inserendosi a pieno titolo nelle grandi correnti della socialdemocrazia europea. La lungimiranza si può riconoscere anche a un leader neofascista che dichiara di riconoscersi nei valori della Resistenza.