Lo stato della sanità italiana. Ageing society e sistema sanitario

Written by Ubaldo Montaguti Wednesday, 01 September 2004 02:00 Print

Non è semplice, al momento attuale, affrontare il tema dell’impatto che l’invecchiamento della popolazione – fenomeno particolarmente consistente in Italia e in Europa – esercita e sempre più eserciterà sul sistema sanitario, senza correre il rischio di risultare banali e ripetitivi rispetto a una serie di evidenze maturate come conseguenza degli studi fin qui condotti e delle (quasi) certezze che, a livello tecnico e a livello politico, in modo più o meno giustificato, ne sono derivate.

 

«Gli altri … tenevano conto della loro età,
non in relazione al numero di anni che avevano vissuto,
ma in relazione al tempo che rimaneva loro prima di morire».

G.G. Marquez, L’amore al tempo del colera, Mondadori, Milano 1988.

 

 

Non è semplice, al momento attuale, affrontare il tema dell’impatto che l’invecchiamento della popolazione – fenomeno particolarmente consistente in Italia e in Europa – esercita e sempre più eserciterà sul sistema sanitario, senza correre il rischio di risultare banali e ripetitivi rispetto a una serie di evidenze maturate come conseguenza degli studi fin qui condotti e delle (quasi) certezze che, a livello tecnico e a livello politico, in modo più o meno giustificato, ne sono derivate.

Il tentativo che si vuole qui operare è quello di: riassumere sinteticamente tali evidenze; individuare gli elementi di contraddizione che scaturiscono dal confronto tra le teorie sostenute dai «catastrofismi» e le teorie sostenute dagli «ottimisti a tutti i costi» (al fine di individuare una posizione intermedia, plausibilmente più razionale); e definire quali criteri si ritengono consigliabili per rendere possibile, rispetto agli sviluppi del sistema sanitario pubblico,1 la concezione di politiche a cui sia riconosciuto il maggior potenziale a priori di incrementare la capacità del nostro paese di fronteggiare, in modo adeguato e accettabile, il problema della popolazione che invecchia.

 

Invecchiamento della popolazione: caratteristiche generali del fenomeno

Secondo i demografi, si può sostenere che la popolazione «invecchia» nel momento in cui (come ormai si verifica da due decenni nei paesi economicamente sviluppati) diviene evidente e marcata la tendenza alla riduzione della proporzione relativa di persone appartenenti alle classi di età più giovani, a fronte di una parallela tendenza all’aumento della proporzione relativa di persone appartenenti alle classi di età più avanzate (age shift).

Le cause a cui deve essere attribuito il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione – cause ritenute diverse, sebbene facilmente riconoscibili come concomitanti e, in modo più o meno diretto, interrelate – sono fondamentalmente: a) la riduzione della fertilità e il conseguente abbassamento dei tassi di natalità; b) la caduta dei tassi di mortalità e il conseguente marcato incremento della vita media e della sopravvivenza; c) l’aumento consistente della speranza di vita per le persone appartenenti alle classi di età più avanzate.

L’analisi della situazione che caratterizza attualmente il raggruppamento di paesi economicamente sviluppati, di cui fa parte l’Italia, consente di rilevare che:2

  • dal 2000, a causa della continua diminuzione dei tassi di fertilità, sono già 68 i paesi sotto la quota di compensazione dei decessi da parte delle nascite;
  • nei paesi dell’Europa occidentale (UE) il fenomeno è decisamente più consistente, poiché i tassi di natalità sono calati più o meno continuamente a partire dagli inizi degli anni Sessanta ed è in Europa (Germania e Italia sono al primo posto) che si osservano le maggiori difficoltà a mantenere la popolazione in equilibrio, nonostante il sostanziale apporto da parte di persone immigrate;
  • in Italia il tasso di natalità è passato dall’11,7 per 1.000 abitanti del 1980, al 9,3 del 2002; 
  • ancora in Europa, più del 20% della popolazione ha oltre 60 anni di età e si prevede che tale quota raddoppi entro il 2050. In ogni caso, dal 2025 la piramide dell’età dell’intera popolazione mondiale non sarà più tale, ma assumerà la forma di un cilindro a causa dell’incremento delle classi di età di 50 e 60 anni in costanza del numero delle nascite (questo dipenderà in gran parte dal fatto che la speranza di vita media in Africa, il continente più «giovane», migliorerà costantemente, per cui si passerà dai 30 anni del 1950 ai circa 70 anni del 2030). Il 75% della popolazione mondiale con più di 60 anni (in totale 1,2 miliardi di persone) vivrà nel mondo in via di sviluppo. E al di sopra degli 80 anni il rapporto tra maschi e femmine viventi sarà di 1 a 2 (già allo stato attuale la maggioranza delle donne giunte all’età della menopausa deve ancora vivere la seconda metà degli anni di vita adulta); 
  • nel 2030 metà della popolazione dell’Europa occidentale avrà un’età maggiore di 50 anni, con una speranza di vita prevista di altri 40 anni, e un quarto della popolazione avrà più di 65 anni; 
  • nel 2050 il numero degli ultracentenari aumenterà di 25 volte; 
  • per l’Italia, questo significa che si passerà dai 7.102 ultracentenari del 2002 (di cui 1.161 maschi e 5.941 femmine con un rapporto, quindi, di poco superiore a 1 a 5) a circa 200.000 (la previsione è che nel nostro paese, entro il 2050, la percentuale di ultracentenari si collocherà intorno al 2‰ della popolazione totale);
  • l’aspettativa di vita nei paesi sviluppati si è innalzata continuamente nel secolo appena trascorso, in modo che la percentuale degli over 60 è incrementata rispetto alla percentuale degli under 15;
  • da questo punto di vista l’Italia ha visto passare la proporzione di ultrasessantacinquenni dal 13,1% del 1980 al 18,6% del 2002 (gli ultraottantenni nel frattempo sono più che raddoppiati, passando dal 2,1% al 4,4% della popolazione totale, secondo i dati dell’OECD);3
  • negli ultimi 20 anni la speranza di vita in Italia ha raggiunto quasi 80 anni, avendo a questo contribuito un innalzamento di circa 3 anni verificatosi tra la popolazione maschile, che oggi sopravvive mediamente fino a circa 78 anni, e di oltre 4 anni registrato tra la popolazione femminile, per la quale è prevista una aspettativa di sopravvivenza di circa 82 anni;
  • alcuni demografi sostengono che la metà di tutte le bambine nate oggi in Occidente vivrà fino a vedere il prossimo secolo.

 

Impatto dell’invecchiamento della popolazione sui sistemi sanitari

In generale, l’analisi dell’impatto dell’invecchiamento della popolazione sui sistemi sanitari impone di mantenere un’ampia elasticità di giudizio. Risulta infatti particolarmente difficile raggiungere livelli soddisfacenti di certezza rispetto a un problema di cui si può percepire oggi l’ampiezza e l’importanza, ma i cui reali caratteri saranno apprezzabili solamente tra molti anni, e richiede di essere condotta su problemi afferenti a campi molto diversi, ma, nel medesimo tempo, sovrapposti e interconnessi in modo tale da rendere decisamente complesso il raggiungimento di conclusioni chiare e condivisibili.

I problemi che, a causa dell’invecchiamento della popolazione, si ritiene di dover già oggi fronteggiare e che, col passare del tempo, acquisiranno rilevanza sempre maggiore per coloro che, nei paesi economicamente avanzati, avranno la responsabilità del governo del sistema sanitario4 o della gestione delle strutture adibite all’erogazione delle prestazioni preventive, diagnostiche, terapeutiche, riabilitative e di contenimento, sono definibili principalmente in termini di necessità di: a) controllo della spinta incrementale subita dalla spesa sanitaria; b) adeguamento continuo e tempestivo dei criteri di allocazione delle risorse rispetto ai diversi ambiti organizzativi sanitari; c) concepimento di politiche sanitarie dirette a stimolare l’espressione di capacità innovative nel concepimento e nella realizzazione di modelli di intervento alternativi, tanto applicabili nella pratica, quanto efficaci circa i risultati e sostenibili rispetto al sacrificio economico da sostenere.

 

L’invecchiamento della popolazione e la spesa sanitaria

L’invecchiamento della popolazione, come principale causa di inflazione insostenibile della spesa sanitaria, è il primo problema da considerare. Oggi costituisce infatti l’oggetto principale di discussione ed è universalmente percepito come praticamente impossibile da affrontare e risolvere e, quindi, come capace di causare il collasso definitivo dei sistemi sanitari.

In realtà, le opinioni relative all’entità di tale problema e alle cause che lo determinano – cause su cui si dovrebbe agire per ridurne gli effetti disastrosi – sono controverse. Il punto da cui procedere per chiarire in che cosa e perché divergono le opinioni di coloro che si stanno occupando del problema è costituito dalla conoscenza di come si distribuiscono i costi per l’assistenza sanitaria lungo l’intero arco della vita. Posto che questo aspetto ha richiamato l’attenzione di un numero esiguo di ricercatori, in particolare in Italia, è opportuno riportare qui i risultati di uno studio americano pubblicati nel 2004.5

Lo studio in questione è partito da evidenze che dimostrano come la distribuzione dei costi per l’assistenza sanitaria nell’arco della vita sia decisamente dipendente dall’età. Infatti, dopo il primo anno di vita nel corso del quale tali costi si mostrano più elevati, essi: si abbassano fino a raggiungere il minimo nell’età infantile; tendono a salire lentamente nell’età adulta; e assumono un andamento esponenziale dopo i 50 anni di età, tanto che la spesa annuale per le persone anziane è di 4/5 volte superiore a quella degli adolescenti.

Al fine di evitare di sottovalutare il peso dell’aspettativa di vita o l’effetto confondente sulla spesa sanitaria prodotto dai cambiamenti che si verificano principalmente a causa delle costose tecnologie utilizzate a livello clinico, dalla modificazione della incidenza delle malattie e dall’efficacia reale dei trattamenti, lo studio si è proposto di costruire un «individuo ipotetico» attuale, la cui probabilità di sopravvivenza a ciascuna età è determinata sulla base dell’aspettativa di vita delle persone reali a quella medesima età, e i cui costi legati all’assistenza sanitaria sono attribuiti in base ai dati ricavati dalle indagini che hanno consentito di determinare i costi età-specifici sostenuti per ciascun singolo anno di vita.6

I risultati, non estensibili tout court alla realtà italiana ed europea, ma verosimilmente indicativi di un trend che caratterizza anche le popolazioni del «vecchio Continente», tendono a dimostrare – per quanto concerne l’«individuo ipotetico» – che:

  1. la spesa è mediamente di circa 320.000 dollari nel corso della vita e si distribuisce in modo tale che nel corso dell’infanzia e dell’adolescenza (0-19 anni) rimane entro l’8%; nell’età adulta giovanile (20-39 anni) raggiunge il 12%; tra i 40 e i 64 anni arriva ad essere il 31%; edopo i 65 anni è quasi la metà del totale (49%);
  2. il 45% di tale cifra riguarda l’ospedalizzazione (33%) e la collocazione in strutture assistenziali protette (12%), mentre il 27% riguarda le attività specialistiche ambulatoriali e il 16% riguarda i farmaci;
  3. la spesa per le donne (360.000 dollari) è superiore del 34% a quella degli uomini (268.000 dollari), essendo tale differenza determinata soprattutto dalla maggiore aspettativa di vita e, probabilmente e per una parte meno consistente, ma significativa, dalle gravidanze.

Il riscontro del parallelismo tra incremento dell’età e incremento delle spese sanitarie e assistenziali vede divisi coloro che ritengono che esso sia inesorabile e certo e coloro che, sulla base delle evidenze prodotte nel corso di indagini e analisi ad hoc, sono convinti dell’esatto contrario.

Ancora una volta, per tentare di dirimere in qualche modo la questione, in mancanza di dati di fonte italiana, è indispensabile ricorrere a due studi condotti in Olanda e in Gran Bretagna.7

Lo studio olandese parte dalle ipotesi già descritte sulla natura delle cause all’origine dell’escalation dei costi della sanità e si concentra principalmente su: a) descrizione dei rapporti tra età e spesa sanitaria, b) analisi dei cambiamenti età-specifici di quest’ultima e c) proiezione dei costi sanitari in base al tasso di invecchiamento della popolazione. I risultati dell’indagine condotta mostrano chiaramente che:

  1. la distribuzione dei costi-pro capite dell’assistenza sanitaria dipende pesantemente dall’età;
  2. il tasso di crescita dei costi pro-capite relativi all’assistenza aumenta con l’età nel caso delle funzioni ospedaliere per pazienti acuti, mentre diminuisce nel caso delle funzioni in condizioni di lungodegenza (il che si tradurrà in un progressivo e consistente spostamento delle risorse dai pazienti cronici ai pazienti acuti);
  3. l’invecchiamento della popolazione danese porterà a un aumento sostanziale della domanda di assistenza sanitaria e dei costi relativi, dal momento che gli andamenti combinati dei fenomeni descritti ai due punti precedenti causeranno un tasso di incremento medio annuale della spesa sanitaria praticamente pari al 4,6%.

Lo studio inglese, pur partendo dalle medesime ipotesi, si muove alla luce della constatazione che: a) tra i molteplici studi transnazionali che si sono proposti di esaminare i determinanti della spesa sanitaria nei paesi sviluppati, solo uno8 ha stabilito che la struttura per età della popolazione (usualmente misurata come percentuale di persone ultrasessantacinquenni) rappresenta una variabile maggiormente significativa ed esplicativa rispetto al reddito, alle caratteristiche dello stile di vita e ai fattori ambientali; e b) posto che le metodologie adottate per esaminare in modo più stringente l’influenza delle caratteristiche demografiche della popolazione sulla spesa sanitaria prevedono di costruire grafici che raffrontano all’età i tassi di uso dei servizi e/o i costi sanitari, e che l’applicazione dei quadri di costo e di utilizzazione così ottenuti alla struttura demografica della popolazione consente di calcolare l’impatto dei cambiamenti di distribuzione tra le differenti classi di età sul ricorso alle prestazioni e sulla spesa che questo comporta, la maggior parte degli studi che si sono basati su questo tipo di approccio hanno di fatto osservato che gli effetti dell’invecchiamento sul consumo di risorse sanitarie è marginale, variando tra lo 0,3% e lo 0,8% della crescita annua della spesa.

I risultati ottenuti con questo studio, che ha posto a confronto la spesa sanitaria totale sostenuta per la popolazione inglese nei periodi 1985-1987 e 1996-1999, sono i seguenti: 

  1. la spesa pro-capite è cresciuta dell’8% per gli ultrasessantacinquenni, mentre per la popolazione di età compresa tra 5 e 64 anni è aumentata del 31%; 
  2. conseguentemente, la proporzione della spesa totale allocata sugli ultrasessantacinquenni è passata dal 40% al 35%, essendo tale andamento più evidente per i costi delle funzioni ospedaliere per non acuti;
  3. l’invecchiamento demografico e la crescita della popolazione hanno reso merito degli incrementi della spesa sanitaria solamente per il 18%.

L’evidenza prodotta da questo studio mostra come all’invecchiamento della popolazione corrispondano aumenti dei costi sanitari pro-capite non particolarmente rilevanti, come sia possibile anche una diminuzione della proporzione della spesa sanitaria allocata per le persone anziane, e come sia forte l’esigenza di individuare i reali driver della spinta incrementale rilevata a livello della spesa sanitaria.

A prescindere dal ruolo svolto dall’ingresso incessante di nuove e sempre più costose tecnologie nel teatro assistenziale e dalla modificazione dei quadri epidemiologici presentati dalle popolazioni – fattori che hanno attratto l’attenzione di molti ricercatori, senza portare a risultati convincenti – uno degli aspetti maggiormente presi in esame è costituito da un fattore di confusione presente in numerosi studi e responsabile della distorsione delle proiezioni nel tempo della spesa sanitaria. Esso è identificabile nell’incremento esponenziale dei costi dell’assistenza sanitaria, che, per motivi ovvi, è causato dall’insorgere, nella fase della vita precedente la morte (fase che può durare poche ore, alcuni mesi o 1-2 anni), di quadri morbosi di elevata severità e di notevole complessità clinica e sociale.

In genere, le proiezioni relative alla spesa sanitaria futura si basano su regressioni econometriche che controllano in modo esplicito il peso dell’età, ma non prendono in considerazione le spese per l’assistenza ospedaliera e non ospedaliera nella fase terminale della vita.9 Poiché mediamente tali spese aumentano in misura drammatica, le previsioni circa la distribuzione della spesa sanitaria futura fondate su formule che omettono di considerare il time to death10 come variabile esplicativa sono distorte in eccesso, ovvero e più precisamente il coefficiente «età» subisce una distorsione che comporta che venga attribuito un peso artatamente maggiore.

Uno studio fondamentale pubblicato nel 199911 ha posto le basi per una specie di rivoluzione a livello di modalità di sviluppo delle proiezioni della spesa sanitaria in relazione agli andamenti demografici previsti. In tale studio sono riportati i risultati di una indagine condotta sui dati di spesa per l’assistenza sanitaria forniti da due compagnie di assicurazione svizzere, che registravano i costi relativi ai loro iscritti deceduti per gli ultimi 2 e 5 anni di vita. Tali risultati mostrano chiaramente che l’età è un fattore insignificante nel determinare i costi per l’assistenza, quando si prenda in considerazione anche il time to death, e che le cause dell’inflazione della spesa sanitaria vanno ricercate nell’incrementalismo esasperato che connota l’utilizzazione delle tecnologie, particolarmente esasperato nelle fasi terminali della vita.12

Varie revisioni della metodologia utilizzata per questo studio sono state effettuate nel corso di indagini analoghe, ma, nonostante i raffinamenti ottenuti, il risultato non è cambiato.13

Un primo studio, condotto in Danimarca14 per definire l’effetto dell’incorporazione del time to death nelle proiezioni inerenti i costi futuri dell’assistenza ospedaliera e dell’assistenza di primo livello, ha dimostrato che nel periodo 1995-2020, a fronte di un incremento previsto della popolazione danese dell’8,2%, la previsione della spesa  sanitaria, costruita prendendo in considerazione la sola età, indica che si verificherà un incremento del 18,5%. La stessa previsione, effettuata includendo il periodo di vita rimanente prima della morte, porta invece a concludere che l’incremento sarà di 1/6 inferiore (15,1%). Lo studio ha inoltre dimostrato che, a differenza della spesa ospedaliera, la spesa per l’assistenza primaria si mostra indipendente dall’età e dal time to death, essendo più elevata tra le persone della classe di età 15-49 anni.

Un secondo studio, condotto negli Stati Uniti sulla base dei dati prodotti dal Medicare, si è proposto di definire l’entità della distorsione causata dalla mancata considerazione del fattore time to death. Ha permesso di concludere che la previsione, fatta sulla base di un modello semplice che valuti solo l’invecchiamento della popolazione e che usi le tavole di sopravvivenza correnti, tende a sovrastimare del 9% l’incremento della spesa sanitaria indotto dall’aumento delle persone con 65 anni o più, rispetto alla previsione ottenuta con un modello che, invece, tenga conto del suddetto fattore. La distorsione raggiunge il 15%, se si utilizzano le tabelle di sopravvivenza proiettate al 2020.

Un terzo studio, condotto in Gran Bretagna per chiarire l’impatto dell’età e del time to death sui costi ospedalieri,15 ha consentito di stabilire che la decuplicazione dei costi di ospedalizzazione che si verifica passando dal quintultimo all’ultimo anno di vita pone largamente in secondo piano il dato che la spesa per ricovero in ospedale è maggiore di circa 1/3 tra le persone di 85 anni rispetto alle persone di 65 anni.

Infine, uno studio condotto in Canada16 per definire le relazioni esistenti tra età e costi dell’assistenza in condizioni acute o di lungodegenza, da un lato, e prossimità alla morte, dall’altro, ha confermato che, sebbene la spesa per l’assistenza in condizioni acute cresca con l’età, la prossimità alla morte è un fattore di incremento dei costi più importante. Ha permesso inoltre di rilevare che i costi aggiuntivi per l’assistenza ospedaliera per coloro che sono prossimi al decesso cala con l’età; che i costi per l’assistenza infermieristica e sociale crescono con l’età e, nel medesimo tempo, crescono con l’età anche i costi aggiuntivi sostenuti per garantirne l’uso. Inoltre, gli effetti dell’age shift sono importanti, non solo per il costo totale dei servizi, ma anche per il mix di servizi di cui vi sarà necessità, e l’invecchiamento incide in misura relativamente più ampia sull’assistenza sociale e infermieristica che non sull’assistenza ospedaliera.

Per quanto concerne l’Italia, in carenza di dati derivanti dall’applicazione dei metodi usati nel corso degli studi descritti e sulla base dei dati forniti dall’OECD, si può solamente sottolineare che:

  • periodo compreso tra il 1986 e il 2002 la spesa sanitaria totale in percentuale sul PIL è fluttuata tra un minimo del 7,7% e un massimo dell’8,5%, mentre, parallelamente, la spesa sanitaria pro-capite annua è aumentata da 1.182 dollari a 2.166 dollari;17 
  • il costo totale dei servizi sanitari erogati a ogni cittadino nell’arco della vita assomma attualmente a una media di circa 175.000 dollari; l’incremento della spesa sanitaria è correlato direttamente con l’incremento dell’aspettativa di vita e inversamente con gli indicatori di dotazione e di utilizzazione dei servizi ospedalieri per malati acuti.18 Il che significa che l’age shift non comporta apparentemente un maggior consumo di servizi e che le cause dei costi vanno presumibilmente ricercate nell’inflazione quali-quantitativa delle tecnologie immesse nella pratica clinica e nell’incremento di complessità dei pacchetti di prestazioni che ne è derivato; 
  • nel periodo 1980-2000 la spesa procapite complessivamente sostenuta per servizi sociali pubblici e privati è aumentata tre volte.

Non essendo disponibili dati relativi a proiezioni future, pare in ogni caso legittimo attendersi fenomeni molto simili a quelli previsti per i paesi in situazione demografica analoga a quella italiana. In particolare, alla luce di quanto analizzato non si può condividere la previsione che la popolazione italiana nel 2050 crollerà, come consistenza, a poco più di 44 milioni di persone dai 57 attuali – come sostenuto in un recente convegno – sia perché l’allungamento della vita (gli anni di vita perduti per tutte le cause su 100.000 abitanti sono quasi dimezzati nel periodo 1980-2002 essendo passati da 6.100 a 3.290) e la conseguente riduzione di decessi tenderanno a compensare la riduzione delle nascite, sia perché non è prevedibile una cessazione dei fenomeni immigratori, che i demografi considerano il principale baluardo delle società avanzate per far fronte al suddetto calo della natalità.

 

L’invecchiamento della popolazione e i processi di allocazione delle risorse nel sistema sanitario

Il discorso inerente l’impatto dell’age shift sui processi può concludersi con alcune brevi considerazioni, che scaturiscono dall’analisi delle esperienze condotte nelle diverse realtà in cui il fenomeno è divenuto oggetto prioritario di attenzione e di intervento.

Si deve considerare in premessa che l’allocazione delle risorse avviene, in primo luogo, a livello centrale (statale o regionale), in sede di predisposizione dei piani sanitari e, soprattutto, di assunzione delle decisioni relative alle manovre finanziarie. In secondo luogo, a livello decentrato ovvero laddove si assumono le decisioni relative alla trasformazione delle risorse ricevute in strutture organizzative e in pratiche operative specificamente destinate agli assistiti.

Per quanto concerne i meccanismi di allocazione e pianificazione centrale, pare appurato che è errato ipotizzare che, sulla base del solo impegno del ministero della salute sia possibile riuscire a fronteggiare i problemi connessi al fenomeno demografico. Inoltre, nella sanità è opportuno privilegiare le aree di azione che consentono di ampliare il target dei servizi (prevenzione, riabilitazione, servizi che comportano la sovrapposizione tra competenze sociali e competenze sanitarie) e negli altri settori di intervento del governo centrale e dei governi regionali è opportuno privilegiare decisioni che presuppongono investimenti e sviluppi su aspetti indipendenti dall’età.

Per quanto concerne i meccanismi di allocazione e di pianificazione locale, invece, pare indispensabile tenere nel dovuto conto che è necessario essere costantemente pronti a procedere alla ridistribuzione delle risorse tra servizi in risposta alle modificazioni della domanda (anche in questo caso deve essere posta attenzione alla necessità di spostare risorse dalle funzioni cliniche e assistenziali per acuti ai servizi di sovrapposizione tra sociale e sanitario, di assistenza a lungo termine, di recupero funzionale, di assistenza di primo livello, di intervento preventivo) È poi necessario operare una revisione delle modalità di erogazione delle prestazioni sanitarie, favorendo la capacità di innovazione senza ricorso a nuove tecnologie, l’integrazione socio-sanitaria e la riorganizzazione dei servizi. In particolare quest’ultima può assicurare: continuità assistenziale, coordinamento organizzativo e operativo, appropriatezza (riduzione delle omissioni e degli eccessi assistenziali), accettabilità delle modalità di intervento, accessibilità e tempestività.19

 

Invecchiamento della popolazione: scenari sociali e sanitari futuri

Come si verifica solitamente per la quasi totalità dei tentativi di previsione del futuro del nostro mondo, il tentativo di delineare gli scenari che, per effetto dell’age shift, caratterizzeranno le società sviluppate nei prossimi decenni è stato effettuato a partire da due visioni nettamente e ineluttabilmente contrapposte: la visione «catastrofista» e quella «possibilista».

Un esempio paradigmatico della visione “catastrofista” è costituito da un documento, reso pubblico in Svizzera di recente,20 in cui si sostiene che l’invecchiamento della popolazione, nei prossimi decenni, provocherà una serie impressionante di conseguenze. Esse comprendono, in sintesi: 

  • il declino quantitativo della forza lavoro; 
  • il parallelo invecchiamento della forza lavoro, con una più rapida obsolescenza del know-how, causata dal rapido progresso tecnologico, in particolare nel campo delle ICT e una progressiva perdita di capacità di acquisire nuove conoscenze; 
  • il calo dei profitti da capitale, soprattutto determinato dall’accumulo di riserve enormi non riducibili, per la bassa domanda di fondi su cui operare la leva finanziaria e per l’inevitabile riduzione dei livelli di investimento; 
  • un abbassamento del potenziale produttivo, a cui si accompagnerà una domanda crescente di servizi (sanità e tempo libero) e un parallelo inevitabile incremento dei costi; 
  • un tendenziale decremento del potenziale di crescita come esito certo delle situazioni che andranno creandosi a livello di forza lavoro, di riserva di capitale e di produttività; 
  • il blocco del progresso tecnologico per l’avversione al rischio tipica delle persone anziane; 
  • l’indebolimento del commercio con l’estero per il prevalere della domanda interna; 
  • il declino della capacità di attrazione dei flussi di capitali verso i giovani e verso le economie dinamiche; 
  • l’aumento dei deficit a livello di bilancio statale per la riduzione del prelievo fiscale e per l’incremento degli oneri da sostenere per la sicurezza sociale; 
  • il prevalere delle preferenze elettorali degli anziani, sempre più numerosi e inclini a scelte dettate dall’avversione al rischio e da un correlato orientamento politico fortemente conservatore.

Le scelte che il documento in questione suggerisce di adottare per far fronte alla catastrofe economica, sociale e sanitaria causata dall’incremento della quota di persone in età avanzata nella popolazione, hanno come obiettivo l’innesco di una serie di azioni tra le quali è alto il rischio di individuare altre catastrofi derivate. Ovvero: la promozione dell’immigrazione (anche se questo potrà accompagnarsi a maggiori probabilità che aumentino le tensioni sociali); la riduzione delle richieste accolte di incremento della copertura delle spese di sicurezza sociale riconosciuta nelle quote stipendiali; lo svincolo delle forze innovative attraverso il miglioramento delle logiche pubbliche di rete e la flessibilità dei mercati; il riconoscimento del valore decisivo, come forze trainanti, della formazione e della ricerca a livello universitario e della riorganizzazione diretta a facilitare la competizione; la deregolazione per rafforzare la capacità di attrazione dei mercati; e la promozione dell’autodeterminazione piuttosto che lo stimolo ad aver fiducia nello Stato.

Anche se i riferimenti ai problemi che investiranno i responsabili del sistema sanitario non sono consistenti e dettagliati, è del tutto ovvio che gli aspetti specifici della catastrofe demografica e i provvedimenti suggeriti per porvi riparo lasciano poco spazio a congetture o ad alternative.

A fronte di una società che invecchia e che corre il serio e concreto pericolo di collassare a livello economico e produttivo a causa dell’incremento di quella parte di popolazione il cui mantenimento costituirà un onere difficilmente sostenibile, le uniche soluzioni sono: il ricorso al mercato (che seleziona in modo asettico e inesorabile coloro che non sono in grado di soddisfare in modo autonomo le proprie necessità e che invisibilmente crea le condizioni per il mantenimento del potenziale economico dei capitali), e la deregolazione (che ridimensiona il ruolo svolto dallo Stato come ordinatore dei sistemi di interesse collettivo e soggetto principale della definizione e della tutela dei diritti che preme alla società nel suo insieme salvaguardare),

È del tutto inutile ricordare che il mercato in sanità funziona malissimo, in particolare come razionalizzatore della spesa, poiché, se per alcuni versi induce comportamenti «virtuosi»21 sul piano della riduzione degli sprechi, dall’altro è un potentissimo induttore di fenomeni di incrementalismo tecnologico. Come dimostra pienamente l’esperienza degli Stati Uniti, in cui la proporzione di PIL consumata per la sanità sta raggiungendo il 15% (il che, come è ben noto, costituisce un record negativo). Per di più, la deregolazione, che riduce i poteri attribuiti allo Stato di protezione di un bene come la salute (che costituisce interesse collettivo), tende a riportare la responsabilità del suo mantenimento e del suo recupero alla sfera individuale, accentuando le disuguaglianze riconducibili alla diversa condizione culturale, sociale e sanitaria in cui si trovano i cittadini.22

La visione «possibilista» procede dalla rilevazione che non si è verificata alcuna delle previsioni di catastrofe già fatte in passato rispetto alla deriva dei paesi sviluppati in progressivo invecchiamento. E presuppone che debbano essere individuati i segnali che consentano di chiarire, non soltanto quale sia il rischio di giungere a situazioni insostenibili, ma anche quante e quali possibilità esistano di far funzionare meccanismi riparatori sempre presenti nella comunità umana. I fautori di tale visione ritengono che si tratti fondamentalmente di smantellare alcuni miti che i «catastrofismi», con la collaborazione dei mass media, hanno ampiamente diffuso tra i responsabili delle politiche sanitarie e sociali e tra i cittadini stessi. In questo senso, l’Oxford Institute of Ageing – che raccoglie ricercatori delle principali discipline coinvolte nello studio dei problemi indotti dall’invecchiamento della popolazione (demografi, sociologi, economisti, antropologi, filosofi e psicologi), a cui sono stati aggregati, attraverso unità di ricerca ad hoc, medici, biologi ed esperti di diritto e di scienze politiche – ha avviato una serie di indagini dirette principalmente a documentare e a rendere pubblica l’inconsistenza delle basi su cui si fondano alcune diffuse convinzioni23 e a rendere possibile un approccio transdisciplinare alla concezione di modalità innovative ed efficaci per affrontare la sfida connessa all’age shift.

La prima falsa convinzione,24 di cui d’altra parte si è già diffusamente parlato, è che i sistemi sanitari del mondo occidentale non reggeranno il peso dell’invecchiamento della popolazione.

È già stato menzionato che tale convinzione è supportata solamente da uno degli studi transnazionali, che ha rilevato una correlazione tra incremento della spesa sanitaria e aumento della quota di ultrasessantacinquenni presenti nella popolazione. Tutti gli altri studi condotti hanno permesso di associare il maggior esborso economico per i servizi sanitari alla crescita del reddito, allo stile di vita caratteristico e a fattori di contesto ambientali, come l’introduzione di tecnologie innovative e di farmaci sempre più costosi. La sua infondatezza appare quindi chiaramente se si considera che studi condotti in Svezia hanno dimostrato che nel 1990 i soggetti di entrambi i sessi appartenenti alla classe di età dei settantenni mostravano la stessa prestanza fisica dei soggetti di entrambi i sessi che nel 1970 avevano 60 anni. In altri termini, nel giro di 20 anni il declino della prestanza fisica era stato spostato in avanti di 10 anni. Allo stato attuale, non vi sono elementi che facciano presupporre che questo trend si sia modificato, anche perché nell’ultimo decennio la sensibilità per la cura del corpo, per il mantenimento dell’attività fisica e mentale e per l’adozione di stili di vita più salutari pare essersi largamente diffusa tra gli appartenenti a tutte le generazioni (e tra le persone anziane questo pare essersi realizzato parallelamente al miglioramento del reddito).

L’infondatezza appare inoltre dai dati confortanti che giungono da ricerche condotte negli Stati Uniti. Esse hanno rivelato come la previsione di incremento del tasso di persone con disabilità fatta nel 1982 non sisia verificata. Si è invece manifestato un declino di tale tasso (i dati sono stati confermati dall’OECD che ha condotto analisi che rivelano l’esistenza di trend analoghi nei paesi in via di sviluppo).25 Inoltre, i costi stanno subendo spostamenti tra le diverse classi di età e tali spostamenti mostrano differenze rispetto al tipo di servizio richiesto. La spesa totale pro-capite è per la maggior parte concentrata all’inizio e alla fine della vita, mentre, ad esempio, i costi connessi alla gravidanza stanno spostandosi verso classi di età più elevate. Ciò che si osserva è che tali spostamenti non hanno effetto laddove le strutture sanitarie hanno elasticità tale da garantire un rapido e adeguato adattamento a nuove necessità (la capacità di acquisire rapidamente e di esprimere competenze geriatriche da parte dei medici e degli infermieri della maggior parte dei reparti ospedalieri, non solo medici, ma anche chirurgici, è fattore ottimale di elasticità, se si considera che l’età media dei pazienti ricoverati nei posti letto per acuti si colloca decisamente al di sopra dei 70 anni).

La seconda falsa convinzione26 è che il rapporto tra la quota di persone in condizioni lavorative e la quota di persone che non lavorano si modificherà in misura tanto drammatica, per il prevalere delle seconde, che ne deriverà il collasso delle economie occidentali, in virtù del contributo assicurato dalla parallela massiccia crescita delle risorse necessarie per pensioni da erogare per tempi molto più lunghi.

I primi importanti elementi di giudizio si desumono dalla valutazione del rapporto di dipendenza della popolazione basato sull’età.27 Tale rapporto si deduce calcolando la relazione tra numero di persone di età compresa tra 0 e 19 anni, sommato al numero delle persone di 65 anni e oltre, e numero di persone di età compresa tra 20 e 64 anni. Esso presume di descrivere le proporzioni esistenti tra popolazione in condizione produttiva e popolazione «dipendente» e, quindi, il carico sociale che pesa sulle forze produttive, e si basa sull’assunto che tutte le persone di età compresa tra 20 e 64 anni abbiano un impiego, mentre tutte le restanti persone non lo abbiano.

Quest’ultimo elemento, il cui andamento, ovviamente, preoccupa chi vede il progressivo invecchiamento della popolazione come una catastrofe, è largamente fuorviante. In Italia, in base all’unico dato disponibile, che descrive come tra il 1980 e il 2002 il tasso di dipendenza sia passato da 77,0 a 61,5, pare difficile concludere che la popolazione in (apparente) condizione produttiva è incrementata in misura decisiva. Ed esistono almeno tre ragioni, valide anche per il nostro paese, per cui si deve dubitare del valore dell’informazione che esso fornisce.28 Innanzitutto, il tasso definisce il grado di dipendenza in termini assoluti, per cui risulta totalmente a carico dei lavoratori anche l’anziano di 70 anni che guida l’automobile, si gestisce autonomamente, assiste la famiglia nelle faccende quotidiane (ad esempio, si prende cura di un nipote, mentre i genitori sono assenti, o di un altro familiare disabile) o svolge attività di volontariato. È poi difficile sostenere che al di sopra dei 19 anni tutte le persone siano in condizione lavorativa, e quindi indipendenti, mentre al di sotto dei 19 anni siano tutte dipendenti. E infine, allo stesso modo, risulta difficile sostenere che tutte le persone di età compresa tra 19 e 64 anni siano economicamente attive.

Informazioni analoghe si possono ottenere calcolando il rapporto di dipendenza della popolazione basato sulla condizione lavorativa, che si ottiene dividendo il numero delle persone occupate per il numero delle persone non occupate.29

Sebbene non siano disponibili dati attendibili per l’Italia, non pare vi siano segnali indiretti di modificazione sostanziale della situazione e, visto l’imponente incremento delle persone in età avanzata già verificatosi, è probabile, in analogia con paesi simili al nostro, che problemi critici sul versante del carico sostenuto dalle forze produttive si potranno creare eventualmente non prima dei prossimi 20-30 anni.

In ogni caso, se è del tutto giustificata la preoccupazione per l’attuale insufficienza delle pensioni, appare anche chiaro che la vita lavorativa si dovrà necessariamente allungare nei prossimi decenni fino almeno ai 70 anni, dal momento che non c’è nessuno che non sia consapevole del fatto che è irragionevole aspettarsi che una solida pensione e/o adeguati risparmi possano sostenere una persona che cominci a lavorare a 20 anni, smetta di lavorare a 60 e debba essere in grado di mantenersi per altri 20-30.

La terza falsa convinzione30 è che i lavoratori anziani siano meno produttivi di quelli giovani.

Se questa convinzione può avere qualche fondamento nel caso di coloro che svolgono attività usuranti, specialmente sul piano fisico, essa pare decisamente confutabile quando si considerino attività di tipo intellettuale, peraltro destinate a coinvolgere un numero sempre maggiore di persone, stante il progressivo, quanto inarrestabile processo di sostituzione del lavoro manuale da parte di tecnologie a elevato grado di automazione.

È indispensabile sottolineare che le nuove acquisizioni maturate nel campo della gerontologia dimostrano chiaramente come l’impegno mentale (il cosiddetto memory jogging) consenta non solo di prolungare nel tempo le facoltà intellettive, ma anche di conservare più a lungo condizioni di migliore efficienza fisica. E, d’altra parte, non sono chiare le relazioni tra la cessazione delle attività abituali, che si verifica nelle persone che si ritirano dal lavoro in età avanzata, e l’inizio del decadimento delle facoltà mentali spesso concomitante. Ovvero non è possibile chiarire se è il momento del pensionamento, che si verifica quando le facoltà intellettive cominciano a ridursi, o è il pensionamento, come rappresentazione della perdita di importanza, che innesca meccanismi irreversibili al loro livello.

Da questo punto di vista, è significativa la constatazione che le persone anziane mostrano una riduzione della mortalità a ridosso dei periodi precedenti il compleanno o in occasione delle tornate elettorali e quando siano coinvolte in attività produttive e socialmente utili. Riduzione che si mostra molto più consistente di quella prodotta nel caso di coinvolgimento in attività destinate a migliorare il grado di fitness (in altri termini, per la sopravvivenza è molto più importante essere coinvolti attivamente nella società come membri di club o associazioni, che non fare esercizi all’aperto).31

In ogni caso, posto che l’allungamento della vita lavorativa nell’età avanzata, che andrà a compensare quasi perfettamente la prevista riduzione della capacità produttiva della popolazione più giovane, sarà prima o poi inevitabile, il problema tenderà a risolversi attraverso vie «naturali». Studi condotti dall’Oxford Institute of Ageing32 dimostrano infatti i benefici effetti derivanti dall’integrazione nella forza lavoro tra lavoratori di età diversa e dalla combinazione delle energie dei giovani con l’esperienza dei più anziani, capace di determinare una maggiore produttività da cui possono trarre vantaggio tanto i primi quanto i secondi. E ancora il positivo riscontro dell’offerta di opportunità formative e di training, destinata a incoraggiare uomini e donne in età avanzata a rimanere economicamente attivi.

Un’ultima falsa convinzione33 è che i nuclei familiari si disgregheranno a causa della distanza generazionale tra i congiunti. Evidenze prodotte da studi nei paesi sviluppati mostrano, invece, che la famiglia moderna sta diventando molto più unita e che le relazioni familiari hanno molto più valore di quanto non succedesse in passato. Gli obblighi della famiglia verso i membri più anziani potranno cambiare nei prossimi 20 anni, ma ciò che si osserva allo stato attuale è che le famiglie si assumono la responsabilità dell’assistenza ai propri componenti in misura estremamente consistente.

Risulterà evidente che chi scrive propende decisamente per la visione «possibilista» che pare preferibile, se non altro, perché induce ad analizzare i problemi con prudenza e ragionevolezza e a non escludere che vi siano opportunità di soluzione individuabili sulla base di astrazioni, altrettanto prudenti e ragionevoli, che derivano dalle evidenze disponibili.

 

Invecchiamento della popolazione: elementi di riferimento per il concepimento e la realizzazione di politiche sociali e sanitarie razionali

Il tema dell’impatto dell’invecchiamento sul sistema sanitario italiano, come su quelli della maggioranza degli altri paesi sviluppati, non può limitarsi a chiarire quali effetti si produrranno sulla spesa e sull’organizzazione dei servizi, da un lato, e quali scenari futuri ci si potrà attendere di osservare in base alle diverse visioni che gli esperti hanno del problema, dall’altro. È indispensabile chiarire anche i possibili criteri da cui sembra consigliabile procedere per concepire le politiche sociali e sanitarie e assumere fin da ora le opportune, tempestive decisioni. Non essendo ammissibile la pretesa di sostituire il giudizio di coloro che hanno la responsabilità delle decisioni di governo del sistema complessivo, ci si limita qui alla definizione di alcuni criteri che paiono fondamentali dal punto di vista tecnico.

È necessario, innanzitutto, sottolineare che appare preliminare la definizione consensuale, da parte dei paesi membri dell’UE, delle aree che richiedono un impegno concreto, specifico e coordinato della stessa UE e delle aree che, invece, devono essere oggetto di intervento concepito, deciso e realizzato a livello nazionale o locale.34 In particolare, si avverte l’esigenza indifferibile che il coordinamento europeo non si limiti al campo previdenziale e al campo della sanità e della prevenzione, ma si estenda anche alle aree dei diritti umani, dell’educazione, della mobilità, della cittadinanza, della cultura, dell’ICT, della ricerca, delle abitazioni e della pianificazione urbanistica, dei trasporti, dei servizi di interesse economico generale.35

Oltre a ciò, molti Stati membri dell’UE sono impegnati sul tema della sostenibilità finanziaria e dell’efficienza del loro sistema sanitario, e si trovano a dover fronteggiare, non solo gli effetti dell’aumento dell’età media della popolazione e dell’adozione di sempre nuove e costose tecnologie in campo medico, ma anche gli effetti delle crescenti aspettative dei cittadini relative a qualità, disponibilità e modalità di fornitura di servizi sanitari. Essi sono coscienti del rischio di compromissione della capacità stessa di permettersi di erogare prestazioni cliniche e assistenziali, rischio legato al fatto che la spesa sanitaria sta crescendo più rapidamente del PIL e che è prevedibile che tale andamento si manterrà nei prossimi decenni. Proprio per tale ragione, il Patto di stabilità sottoscritto dagli Stati membri prevede che lo spazio concesso all’incremento della spesa sanitaria sia limitato. Inoltre, poiché come stabilito nel Trattato istitutivo della UE, il principio di solidarietà deve governare, in ogni caso, il finanziamento e l’organizzazione del sistema sanitario, è inevitabile la decisione di mettere in comune i progetti che ogni Stato membro sta predisponendo e porre le basi perché gli Stati membri possano supportarsi reciprocamente per far fronte all’imponente fattore critico dell’age shift.36

Anche l’OMS, che ha avviato l’Active Ageing Programme, concorda sulla necessità di orientare gli interventi sulla globalità dei fattori sanitari, sociali, economici e culturali che influenzano la salute delle persone anziane e di promuovere la realizzazione di una organizzazione economicamente sostenibile dell’assistenza di primo livello e l’adeguamento del grado di preparazione degli staff geriatrici.37

Tale premessa, basata sul contenuto di documenti prodotti da soggetti istituzionali di rilevanza europea, risulta utile perché consente di individuare quattro criteri di approccio primario: 1) il principio di cooperazione stretta tra i paesi membri è fondamentale; 2) la cooperazione, tuttavia, deve realizzarsi mantenendo netta la distinzione tra interventi che è opportuno condurre a livello comunitario e interventi di competenza nazionale o regionale; 3) è in ogni caso indispensabile un approccio globale, per manifesta insufficienza degli interventi che si pongono solamente il problema previdenziale e, in totale analogia, degli interventi che si propongono di agire solamente sul versante sanitario; 4) la sostenibilità finanziaria di sistemi sanitari comunitari, univocamente basati sul principio di solidarietà, deve essere l’elemento portante del Patto di stabilità economica firmato dagli Stati membri.

Posto che le politiche di livello comunitario risentono del complesso dei contributi delle diverse realtà comprese nell’UE – realtà anche molto diverse da quella italiana e, per questo, meno facilmente decifrabili – sembra necessario concentrare l’attenzione sui criteri che dovrebbero guidare gli interventi di competenza del nostro governo nazionale o di quelli regionali.

I punti fermi sono pochi e precisi.

In Italia e nella maggior parte delle regioni si rilevano: una disponibilità largamente insufficiente di dati o, per lo meno, una mancanza di coordinamento nella loro raccolta e diffusione; una totale carenza di organismi di coordinamento scientifico e di coordinamento operativo specificamente destinati a sostenere sul versante tecnico il concepimento delle strategie necessarie per prevenire o far fronte ai probabili rischi determinati dall’incremento della quota di popolazione anziana; una forte carenza di progetti orientati alla soluzione di problemi afferenti ad aree specifiche (riorganizzazione dei servizi, ICT e tecnologie, abitazione, trasporti ecc.); un ritardo presumibilmente già maturato rispetto a decisioni che devono essere assunte oggi per evitare problemi che si manifesteranno tra 20 anni o più; una diluizione nel tempo delle soluzioni destinate alla concreta integrazione organizzativa e operativa tra servizi sociali e servizi sanitari; una perpetuazione di stili di pianificazione che assumono il problema degli anziani come area speciale di intervento e non come area di intervento di rilevanza generale; una mancanza di indirizzi e di progetti adeguati sul versante della formazione.

Per identificare criteri che è consigliabile adottare al fine di risolvere dignitosamente i problemi descritti, non è necessario ricorrere a complesse attività di ideazione, ma risulta sufficiente osservare quanto di normale è stato realizzato in realtà a cui l’Italia fa frequentemente riferimento. Si richiama, nella fattispecie, quanto messo a punto in Gran Bretagna dall’Ageing Population Panel, organismo di studio attivato dall’Office for science and technology e dal ministero del commercio e dell’industria, che hanno ritenuto di affidare a una commissione tecnica la predisposizione di un documento destinato a suggerire elementi utili per il concepimento di politiche innovative dirette a gestire adeguatamente l’age shift.

Tale documento,38 completato e reso ufficiale nel 2000, parte dal presupposto che la rivoluzione demografica in atto sta trasformando l’economia e la società e richiede una risposta molto più ampia di quella che può dare il mondo degli affari e della produzione. Una risposta che deve essere data attraverso: politiche pubbliche efficaci, cambiamenti culturali e innovazione nelle modalità di concezione e di realizzazione degli interventi.

Il primo principio che si ritiene debba essere posto alla base delle strategie pubbliche concepite per risolvere al meglio i problemi connessi all’invecchiamento demografico è costituito dalla «inclusività» degli obiettivi delle politiche pubbliche. Esse devono fornire ogni garanzia che l’età non diventi una linea di demarcazione sociale, assicurare giustizia inter-generazionale attraverso il bilanciamento di bisogni, diritti e doveri degli anziani rispetto a quelli dei giovani che, peraltro, dovranno risparmiare di più e aggiornare le capacità con maggiore regolarità nel corso della loro lunga vita, e offrire a tutti la qualità di vita più elevata possibile, mentre l’intera popolazione (giovani e meno giovani) invecchia.

Il principio di inclusività impone di considerare che le indispensabili riforme trasversali (lavoro, scuola e università, riforma delle pensioni, invecchiamento in salute) devono essere pensate ciascuna come parte costituente di una più ampia visione politica che si proponga di «assicurare che una popolazione che sta invecchiando sia mantenuta unita e compatta economicamente, socialmente e culturalmente».

A questo consegue che ogni componente governativa deve dare un esempio concreto che le politiche sono inclusive. In particolare rispetto a: progettazione, ICT, infrastrutture, affari, impiego, educazione, salute, servizi sociali, ricerca. Inoltre, i media e l’industria pubblicitaria devono svolgere un ruolo estremamente significativo nella lotta a stereotipi fuori moda e avvilenti come la dipendenza e l’infermità, che affliggono solamente una minoranza delle persone anziane, e nella proposizione di immagini più positive e realistiche.

Il secondo principio è costituito dalla «neutralità generazionale», che prevede che le politiche pubbliche siano neutre rispetto all’età. Da questo punto di vista, è condivisa la necessità di uniformare le azioni di governo alla direttiva del Consiglio dell’UE prodotta nel 2000. La direttiva indica agli Stati membri la necessità di legiferare per: garantire, a partire dalla fine del 2006, un trattamento di lavoro senza discriminazioni dirette o indirette determinate da origine etnica, religione, disabilità, età o orientamento sessuale; permettere, in ogni caso, differenze di trattamento in base all’età giustificate da politiche di impiego, dal mercato del lavoro e dal training e dall’esperienza professionale; indurre i datori di lavoro a ripensare le strategie di reclutamento e avanzamento di carriera, di aggiornamento e training, di sviluppo professionale, di disegno del ruolo operativo e dei criteri ergonomici.

Il terzo principio è costituito dalla «inversione del trend al pensionamento precoce». La considerazione che l’age shift rende economicamente insostenibile il pensionamento precoce deve indurre a mettere a punto meccanismi virtuosi che spingano i lavoratori anziani a continuare a far parte della forza produttiva, perché chi conserva la propria attività continua a pagare le tasse, non gode di benefici gratuiti e non pesa sui fondi pensionistici statali. Le riforme devono proporsi di incoraggiare le scelte in condizioni di giustizia e di trattamento degli anziani in base alle loro competenze, piuttosto che alla loro età.

Il quarto principio è costituito dalla «rifondazione della formazione e del training». Se la popolazione anziana deve rimanere economicamente attiva, i suoi membri hanno necessità di mantenere e adattare capacità e competenze attraverso l’apprendimento, realizzato «vita natural durante».

Nuove generazioni di lavoratori anziani stanno già traendo beneficio dall’innalzamento dei livelli formativi di base realizzatosi negli ultimi decenni che, per di più, rende probabilmente più ricettivi al bisogno di aggiornare le conoscenze e le capacità. In ogni caso, tutto ciò costituisce una sfida di importanza decisiva soprattutto per il settore dell’educazione. Mentre per il governo è una priorità critica assumere iniziative per elevare il profilo dei programmi formativi e rendere possibile l’apprendimento lungo l’intero arco della vita.

Il quinto principio è costituito dall’«invecchiamento in salute». Per avere anziani più sani è fondamentale che tutti i membri della popolazione si preparino in giovane età, dal momento che l’aspettativa di vita è fortemente influenzata dalle esperienze vissute nell’età infantile, se non, addirittura, nell’utero materno. Di conseguenza, le donne in età fertile sono un gruppo sociale di rilevanza cruciale per promuovere azioni prioritarie dirette a favorire l’invecchiamento in salute.

Un esempio della necessità di avere comportamenti precocemente orientati al mantenimento della prestanza fisica è costituito dall’osteoporosi, che può essere ritardata o prevenuta se si favorisce la massimizzazione della densità ossea nelle giovani adolescenti attraverso l’esercizio fisico e l’alimentazione adeguata.

Il sesto e ultimo principio è costituito dalla «protezione della quarta età». Con l’avvicinarsi dei membri di una popolazione alla fine della vita, diviene una pressante priorità l’erogazione di prestazioni assistenziali sanitarie in condizioni acute o a lungo termine. Allo stato attuale, poiché in ogni realtà si rilevano incrinature nelle strutture istituzionali che forniscono tali prestazioni, non è rimandabile, in particolare per le persone che appartengono a quella che ormai si può indicare come «quarta età», l’eliminazione dei confini artificiali che sono presenti tra l’erogazione di cure sanitarie, di assistenza infermieristica e di servizi sociali. Un approccio integrato è la premessa necessaria e sufficiente per fare in modo che i bisogni dei pazienti reclutino vero aiuto, piuttosto che budget istituzionali.

A corollario di molti dei principi descritti sta la promozione del progresso tecnologico (telemonitoraggio, telecomunicazioni, telemedicina), che mostra le maggiori potenzialità rispetto alla capacità di concepire modalità più efficienti e maggiormente in grado di risparmiare il lavoro diretto a migliorare la qualità dell’esistenza delle persone anziane e di permettere ad esse di mantenere il controllo sulla propria vita molto più a lungo di quanto non succeda oggi.

Le nuove tecnologie, impiegate per elevare la capacità di gestire autonomamente tanto ambienti di vita protetti, quanto residenze assistenziali comuni, non solo si dovranno integrare perfettamente ed essere invisibili nel punto di erogazione del servizio, ma potranno mantenere presenti e attivi gli anziani nei flussi del mercato. Tali considerazioni hanno indotto a dare vita in Gran Bretagna alla Third Age Technology Iniziative, i cui obiettivi appaiono chiari.

La raccomandazione che dà in calce al suo documento l’Ageing Population Panel è di tenere ben presente che, se i risultati che si prevede di raggiungere a seguito dell’applicazione dei principi messi a punto dovranno essere rilevabili concretamente a partire dal 2020, è indispensabile cominciare a pianificare ora. E questo deve essere il punto di partenza anche per il nostro paese.

 

 

Bibliografia

1 Sebbene molti aspetti impongano di prendere atto che, attualmente, è preponderante la tendenza a porre in discussione la sopravvivenza del Servizio sanitario nazionale pubblico, si da qui per scontato che nessuna modificazione della base universalistica e solidaristica del sistema di erogazione delle prestazioni sanitarie possa ragionevolmente essere concepita come alternativa reale nel prossimo futuro, a breve come a lungo termine. È del tutto scontato sottolineare che la maggior parte delle riflessioni sviluppate in questo lavoro corrono il rischio di non poter essere condivise, qualora questo assunto iniziale dovesse rivelarsi sbagliato in un prossimo futuro, non importa se a breve o a lungo termine.

2 S. Harper, Ageing Society, in «the Oxford Magazine», Marzo 2004; https://www.globalaging.org/e