La frustrazione del parlamentare. La rappresentanza politica vista dagli eletti

Written by Guido Legnante Monday, 02 June 2003 02:00 Print

Studiare gli elettori visti dai politici Il voto, un meccanismo molto semplice, è un modo estremamente sintetico per esprimere le preferenze politiche dei cittadini. Nell’analizzare i comportamenti elettorali è spesso difficile già ricostruire che cosa sia successo in termini di flussi di voto. Ancora più difficile, e oggetto di accanite controversie, è chiedersi perché gli elettori abbiano votato in un modo piuttosto che in un altro. È chiaro, dal risultato, quali élite siano state selezionate per i ruoli di governo, ma i contenuti di tale mandato a governare possono solo essere ipotizzati sulla base di altri strumenti, come i sondaggi, i programmi dei partiti e le dichiarazioni dei leader o anche, ex post, le decisioni di governo.

 

Studiare gli elettori visti dai politici Il voto, un meccanismo molto semplice, è un modo estremamente sintetico per esprimere le preferenze politiche dei cittadini. Nell’analizzare i comportamenti elettorali è spesso difficile già ricostruire che cosa sia successo in termini di flussi di voto. Ancora più difficile, e oggetto di accanite controversie, è chiedersi perché gli elettori abbiano votato in un modo piuttosto che in un altro. È chiaro, dal risultato, quali élite siano state selezionate per i ruoli di governo, ma i contenuti di tale mandato a governare possono solo essere ipotizzati sulla base di altri strumenti, come i sondaggi, i programmi dei partiti e le dichiarazioni dei leader o anche, ex post, le decisioni di governo. Anche per questa ragione, il ruolo delle elezioni nel processo democratico è un punto controverso. Nel dibattito corrente si confrontano varie concezioni, che chiamano in causa ipotesi ben diverse sulle caratteristiche dei cittadini e degli attori di élite: da un lato si riconosce il potere della maggioranza (anche quando «silenziosa»), dall’altro lato si sottolinea il ruolo delle minoranze (più o meno esigue, più o meno rumorose) che si attivano per condizionare l’agenda e le decisioni politiche. Il momento elettorale è comunque il perno della democrazia rappresentativa, e una delle principali bussole che orientano i comportamenti degli attori in gioco. In larga misura sono proprio questi comportamenti a definire le caratteristiche del «mercato elettorale», e non è difficile ipotizzare che in questo gli attori politici di massa e di élite si influenzino a vicenda. Le élite politiche compiono le loro scelte tenendo conto delle caratteristiche e delle preferenze degli elettori, e questi ultimi fanno i conti con la struttura e i contenuti dell’offerta.

Vi è certo un complesso gioco di specchi fra la realtà fattuale e come gli attori la vedono. Tuttavia vari studi hanno mostrato la (complessa) connessione che esiste a livello di massa fra atteggiamenti e comportamenti. Anche gli studi sugli orientamenti delle élite hanno mostrato che le definizioni che i politici danno della propria attività hanno conseguenze comportamentali.1 In particolare nelle fasi di cambiamento, gli orientamenti degli attori possono risultare una guida decisiva ai comportamenti. È quindi importante studiare quali concezioni gli attori politici, di élite e di massa, hanno del mercato elettorale. Mentre ciò è stato spesso fatto per il livello di massa, sappiamo molto meno su cosa le élite pensino dell’ambiente in cui operano. Eppure varie ragioni contribuiscono a fare sì che di questi tempi sia aumentato l’interesse dei politici per vari aspetti delle caratteristiche dell’elettorato: la maggiore autonomia delle forze sociali, la «nuova politica», il calo della partecipazione nei partiti e di quella elettorale, l’incremento della mobilità elettorale, il successo dei «partiti anti-partito», la sempre maggiore rilevanza dei mass media e della personalizzazione della politica, e così via. Questo articolo affronta tre aspetti di questa tematica: le concezioni ideali della democrazia, la descrizione di come essa è nella realtà, i modelli di rappresentanza che definiscono il ruolo del parlamentare.2

 

Ideali e realtà

Cominciamo dagli obiettivi ideali. I dati della tabella 1 confermano quanto già mostrato in passato,3 cioè la prevalenza in Italia di una concezione «sostantiva» della democrazia, in cui sono centrali partecipazione e giustizia sociale e sono invece in secondo piano le semplici procedure indipendentemente dai contenuti delle decisioni a cui pervengono. Partecipazione e giustizia sociale sono più centrali nella visione dei parlamentari di centrosinistra, mentre coerenza, rapidità delle decisioni e parlamentarismo vengono sottolineati dai parlamentari di centrodestra. Queste differenze sono riconducibili in parte all’ideologia e in parte al ruolo istituzionale. Partecipazione e difesa dei poveri hanno tradizionalmente fatto parte della cultura politica del centrosinistra. La rilevanza attribuita da parte dei parlamentari del centrodestra all’origine parlamentare delle decisioni, alla loro rapidità e alla coerenza con quanto detto in campagna elettorale può essere riconducibile al ruolo di opposizione da essi ricoperto al momento in cui si è distribuito il questionario, un ruolo da cui appare decisamente più semplice perseguire questi obiettivi rispetto a chi è al governo.

Tabella 1 

La seconda domanda sulla concezione «ideale» della democrazia chiedeva verso chi i parlamentari si sentissero più responsabili, rispetto a due dimensioni: il collegio rispetto all’intero paese e l’elettorato del proprio partito rispetto all’intero elettorato. La tabella 2 mostra che gran parte dei rispondenti (il 72,7%) afferma di sentirsi responsabile soprattutto rispetto all’«intero paese»: di nuovo, il fatto che ciò sia più frequente nel centrosinistra può essere ricondotto al ruolo di governo. Non mancano però i punti di vista di chi considera rilevante rappresentare anzitutto gli elettori del proprio collegio e/o del proprio partito.5

Tabella 2

 

Passiamo ora dalle concezioni astratte ai contenuti fattuali. Le risposte alla domanda aperta che chiedeva ai parlamentari quali fossero le differenze fra come la politica è vista da loro e dai cittadini («A suo giudizio quali sono le differenze più significative fra come lei vede la politica e l’immagine che ne hanno i cittadini?») sono illuminanti: gli elettori sono descritti come particolaristici, disinformati, impazienti, mentre i parlamentari presentano se stessi come consapevoli della necessità di mediare e perseguire il «bene comune»:

«Maggiore coscienza del limite del potere d’intervento. Maggiore coscienza dei livelli di competenza istituzionale» (questionario n. 26, centrodestra);

«In genere, i cittadini sono portati ad attribuire alla politica più peso e più possibilità di quanto ne abbia davvero» (n. 85, centrosinistra);

«I cittadini hanno un’idea piuttosto fantastica. Io molto più concreta» (n. 23, centrodestra);

«I cittadini considerano la politica come potere quasi illimitato; non credo sia così» (n. 27, centrosinistra);

«I cittadini erano e sono degli illusi. Io ero e non sono più illuso» (n. 78, centrodestra).

«Essenzialmente la politica come impegno e soluzione di problemi generali da una parte; il continuo riemergere di spinte localistiche e particolaristiche (dall’altra)» (n. 111, centrosinistra);

«Il conflitto tra una visione generale e globale e aspetti ed esigenze spesso molto particolari e con poca disponibilità a collocare tali esigenze in un quadro più vasto» (n. 114, centrosinistra);

«La politica è una mediazione continua tra l’obiettivo che si vuole raggiungere e ciò che il paese in quel momento è in grado di affrontare. Il cittadino vuole vedere realizzato immediatamente ciò che si ritiene necessario senza fasi intermedie» (n. 81, centrodestra).

Mentre i parlamentari sono oggetto di molte richieste degli elettori, la politica è però nazionale ed essenzialmente televisiva. L’attività del parlamento è molto meno accessibile agli elettori-telespettatori di quanto non sia il dibattito fra i leader. I parlamentari sottolineano come i cittadini abbiano «un’immagine distorta» (n. 80, centrosinistra), che «è certamente diffusa una cattiva opinione della politica, in parte giustificata» (n. 15, centrosinistra), e si lamentano del fatto che, a causa dei mass media e della televisione:

«I cittadini (per mancanza di reali canali di informazione/comunicazione) vedono prevalentemente il potere più che il servizio» (n. 42, centrosinistra);

«Attualmente coincide: un vero schifo anche per la presenza sempre maggiore di filtri decisamente importanti come i mass-media» (n. 52, centrodestra);

«La grande politica la fanno i leader nazionali; il lavoro prezioso ed irto di mille difficoltà del parlamentare è ignorato, poiché lo stesso non ha adeguati mezzi per comunicare in modo completo, corretto, esauriente» (n. 16, centrosinistra);

«Il rumore introdotto dal sistema dei media» (n. 33, centrodestra);

«La distorsione della realtà che i mezzi di informazione attuano» (n. 47, centrodestra);

«I mass-media svalorizzano il ruolo dei partiti; la gente se ne sta lontana; comunicare con gli elettori è difficile e costoso; i giornali sono di parte; la TV è poco accessibile; stipendi e pensioni degli eletti fanno pensare che un politico sia un furbastro approfittatore» (n. 64, centrodestra).  

 

Il significato della rappresentanza

Gli elettori vogliono troppo e subito; ma la politica richiede mediazione, attenzione agli interessi collettivi e prospettiva di lungo periodo; inoltre nell’ambiente generato dal sistema dei media i politici sono posti sotto la peggiore luce possibile. In conseguenza di come gli attori politici rispondono a questo tipo di tensioni, i sistemi politici possono oscillare fra due modelli di relazione fra rappresentanti e rappresentati: da un lato il modello della semplice responsabilità (accountability), dall’altro quello della responsività (responsiveness). Il primo, tipicamente europeo, è caratterizzato dalla «divisione del lavoro» tra governanti e governati: la responsabilità politica ha quindi a che fare con l’insieme degli obiettivi che i rappresentanti perseguono nel corso del loro mandato e non con le loro singole azioni (che talvolta possono confliggere con le preferenze dei cittadini). Nel secondo, invece, di stampo statunitense, il rappresentante è visto come un «agente» di chi lo ha eletto e deve quindi rifletterne le preferenze con più immediatezza.7

Nel questionario sono state inserite due domande che chiedevano di scegliere fra l’opzione «responsabile» (modello della divisione del lavoro) e quella «responsiva» (modello dell’agente) sia in astratto sia in concreto. Come è mostrato dalla distribuzione dei marginali nella tabella 3, rispetto a ciascuna delle due domande oltre l’80% dei rispondenti sceglie l’opzione «responsabile». Ma non tutti i rimanenti scelgono l’opzione «responsiva»: alcuni si rifiutano di scegliere, indicando entrambe le opzioni (anche se il questionario chiedeva di sceglierne una sola), e spiegando così la propria incertezza:

«Decidere secondo gli impegni presi e sottoporre le proprie decisioni al giudizio degli elettori» (n. 102, centrosinistra);

«Informarsi sulle preferenze e decidere secondo le proprie convinzioni» (n. 112, anonimo);

«Mediare tra le esigenze generali e la propria coscienza individuale» (n. 32, centrosinistra);

«Discutere con i propri elettori, cercando di convincerli sulla base di dati reali e non ideologici» (n. 86, centrosinistra);

«Fare ciò che si ritiene giusto e dichiararlo» (n. 19, centrosinistra);

«Non trovo la risposta: mettere a confronto il proprio giudizio e quello degli elettori: se si armonizzano, bene; altrimenti si fa prevalere il primo» (n. 85, centrosinistra).

La combinazione delle risposte alle due domande consente di costruire una tipologia dei parlamentari a seconda dei loro atteggiamenti verso la rappresentanza. Per il 70,2% dei rispondenti prevale il modello della divisione del lavoro che vede il rappresentante nel ruolo di «fiduciario» degli elettori. Solo l’1,5% dei rispondenti, al contrario, esprime la rappresentanza in un modo pienamente in linea con il modello dell’«agente». Un altro 13,0% rappresenta casi genuinamente misti o tendenti al modello dell’«agente», e un altro 15,3% tende invece al modello «fiduciario». Anche la stima più prudente, che attribuisce al modello dell’«agente» tutti i casi genuinamente misti, indica quindi che almeno l’85,5% dei rispondenti è più vicino al modello «fiduciario».

Tabella 3

La figura 1 mostra che fra i parlamentari di centrodestra chi sceglie il modello dell’«agente» o comunque esprime opinioni «miste» è pari al 28,3%, mentre nel centrosinistra è solo il 6,6%. Nel centrosinistra sono invece più frequenti i casi di parlamentare «misto-fiduciario» (20,0% contro 6,5%) e i casi puri di parlamentare «fiduciario» (73,3% contro 65,2%).

La grande maggioranza dei parlamentari concepisce quindi la rappresentanza come «divisione del lavoro». Questa visione, maggioritaria in entrambi gli schieramenti, è quasi unanimemente condivisa nel centrosinistra, mentre una cospicua minoranza (quasi un terzo) nel centrodestra è su posizioni più vicine al modello dell’«agente». Per riflettere su questa differenza è utile anzitutto ricordare una volta di più che il questionario è stato somministrato quando il centrosinistra era al governo, ruolo dal quale è più facile capire quanto sia complicato soddisfare le richieste dei cittadini. Un’altra possibile spiegazione (ma che poggia su suggestioni del dibattito politico e non su elementi fattuali) potrebbe consistere nell’esistenza di diverse culture politiche dei parlamentari di centrosinistra e di centrodestra: i primi più legati al modello tradizionale della democrazia mediata dai partiti di massa, i secondi più vicini a un modello in cui i partiti sono espressione più diretta delle preferenze della «gente». Se così fosse, però, si tratterebbe di una novità. In passato, infatti, in Italia erano i parlamentari di centrodestra a preferire una visione della politica in cui essa fosse in mano a una saggia élite che bilanciasse l’ignoranza della massa.8 Se le differenze riscontrate in questa ricerca fossero da ricondurre al maturare di una diversa cultura politica fra parlamentari di centrodestra e di centrosinistra, sarebbe interessante chiedersi perché in Italia in questi decenni il centrodestra è diventato più populista e il centrosinistra è invece diventato più elitista.

Ma il dato più sorprendente resta quello complessivo. Non sorprende che fra le élite di un paese europeo prevalga un modello di rappresentanza basato sulla divisione del lavoro fra rappresentanti e rappresentati e sulla mediazione fra interessi diversi e fra obiettivi di breve e di lungo periodo. Ma può sorprendere che ciò avvenga in un contesto in cui gli stessi parlamentari descrivono i partiti come oggetto di sfiducia dei cittadini, spesso lacerati dalle fratture interne e con il fiato corto nei rapporti con i gruppi di interesse. E in cui essi sembrano aspirare a ritagliarsi un ruolo di «parlamentare di collegio» dotato di un certo grado di autonomia.9 Perché il modello della divisione del lavoro possa funzionare nel trasporre la mediazione politica in decisioni efficaci, infatti, servono partiti forti e istituzionalizzati, una condizione che però non è presente nella realtà italiana. I parlamentari sembrano insomma volere giocare un gioco per il quale, in un’epoca di antipartitismo e crisi (finanziaria, organizzativa, ideologica), mancano alcuni degli elementi costitutivi.

 

Un passato irripetibile, un futuro indefinito

Rispetto alle tematiche trattate in questo contributo, nel complesso sembra comunque esserci una common wisdom abbastanza condivisa tra centrosinistra e centrodestra. I parlamentari sembrano oscillare fra una concezione del proprio ruolo per alcuni aspetti più «elitista» e per altri più «populista». Essi sono consapevoli dell’utilità della «divisione del lavoro» fra rappresentanti e rappresentati, e della necessità di un margine di azione che si elevi e si astragga dalla contingenza politica. Ma gli elettori, immersi in un ambiente comunicativo che tende a mettere in cattiva luce il lavoro dei politici, non condividono questa concezione della rappresentanza e si caratterizzano invece per aspettative troppo elevate che fanno sì che la domanda politica risulti espressa in termini particolaristici, o erratica e poggiata sulle fragili basi di promesse irrealizzabili e della delega ai leader, anzi alle loro immagini veicolate dai mass media. Se per gli elettori i polidecenni passati, in cui l’esistenza di relazioni solide di appartenenza consentiva una stabile divisione del lavoro fra rappresentanti e rappresentati, pure se non priva di elementi fideistici nell’adesione alle posizioni del proprio partito. Ma è solo la presenza di allineamenti di lungo periodo fra le forze politiche e la società che può consentire che il modello della «divisione del lavoro» produca anche un certo grado di soddisfazione dei cittadini. Nella politica basata su cleavage strutturati, insomma, vi è una irrazionalità solo apparente. L’adesione degli elettori ad ampi e complessi sistemi di valori e di politiche rende possibile programmare e modulare nel tempo le loro aspettative.

La frustrazione del parlamentare non nasce negli ultimi anni. Anzi, essa è tipica proprio dei partiti di massa. Ma diventa più interessante ora che l’ambiente, soprattutto comunicativo, «sfida» i politici che non trovano più difesa nei partiti di massa. In questo contesto, se solo ve ne fossero le condizioni, vi sarebbe spazio per ridefinire il proprio ruolo, magari in termini di imprenditorialità politica più autonoma che in passato. I parlamentari si attendevano che queste condizioni venissero generate dal sistema elettorale, ma le riforme non hanno fatto che aggravare la loro dipendenza dalle burocrazie centrali dei partiti e dal «teatrino» televisivo della politica dei leader nazionali. La mancata «maturazione», rispetto alle aspettative dei parlamentari, del nuovo sistema elettorale spiega almeno parte dei rimpianti per la politica di massa e delle aspirazioni a un modello di parlamentare di collegio. Un passato irripetibile, ma un futuro che al momento appare improbabile.

 

Bibliografia

1 Ad esempio, chi dichiara di avere delle constituency da difendere tende poi con più frequenza a farlo effettivamente in parlamento. Cfr. P. Esaiasson e S. Holmberg, Representation From Above: Members of Parliament and Representative Democracy in Sweden, Aldershot, Dartmouth 1996.

2 I risultati dell’intera ricerca sono in G. Legnante, Alla ricerca del consenso, Milano, Franco Angeli 2003, in corso di pubblicazione. La ricerca esplora, attraverso un questionario postale inviato nel 1999 ai 943 parlamentari in carica, gli atteggiamenti dei parlamentari su vari temi: la democrazia rappresentativa (obiettivi, tensioni, ruolo nelle relazioni fra politica, cittadini e società), i partiti (trasformazioni, adattamento, relazioni con la società), le caratteristiche degli elettori. Sono pervenute 131 risposte, il 13,9% dell’universo: una quota in linea con altre inchieste analoghe in Italia e che, trattandosi di un questionario lungo (10 facciate a stampa), è soddisfacente anche per l’elevata qualità delle risposte alle numerose domande aperte e l’assenza di «cadute» durante la compilazione. Inoltre 121 intervistati hanno indicato partito e/o coalizione di appartenenza (e 113 il proprio nominativo): su questa base si può affermare che, a parte la sotto-rappresentazione dei ruoli di vertice, i rispondenti sono abbastanza rappresentativi dell’universo per caratteristiche socio-demografiche e di orientamento politico.

3 Il riferimento è alla ricerca di R. Putnam, The Beliefs of Politicians. Ideology, Conflicy, and Democracy in Britain and Italy, London, Yale University Press 1973.

4 Solo item indicati al 1° posto, valori in percentuale; il totale è maggiore di 100 poiché era possibile scegliere più di una risposta.

5 A indicare con più frequenza al primo posto gli elettori del proprio collegio sono i parlamentari eletti all’uninominale (il 47,5%, contro il 18,2% degli eletti al proporzionale) e al Sud (il 47,4%, a fronte del 35,1% nelle altre zone), zona in cui tradizionalmente le organizzazioni partitiche sono più deboli ed è più sviluppato il ruolo del parlamentare come imprenditore politico.

6 Solo prima risposta, valori in percentuale; il totale è maggiore di 100 poiché era possibile scegliere più di una risposta.

7 Su questi punti, anche per la bibliografia di riferimento, si veda S. Bartolini, Che cosa è «competizione » in politica e come va studiata, in «Rivista Italiana di Scienza Politica», 2, 1996, pp. 209-267.

8 Putnam, op. cit, pp. 213-214.

9 Rimando a Legnante, op. cit., capitolo 4 e 6.

10 A King, Running Scared. Why America’ s Politicians Campaign Too Much and Govern Too Little, New York, The Free Press 1997.