Con Monti, oltre Monti - di Massimo D'Alema

Written by Massimo D'Alema Thursday, 09 February 2012 13:35 Print

Pubblichiamo l'editoriale di Massimo D'Alema del numero 2/2012 di Italianieuropei, in edicola e in libreria dal 14 febbraio.


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Con contributi di:
Giuliano Amato
Susanna Camusso
Emma Bonino

In edicola e in libreria
dal 14 febbraio

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Una pagina nuova si è aperta nella vita politica italiana. Il mutamento è stato rapido e radicale non solo nella realtà delle istituzioni e nei rapporti fra i soggetti politici, ma anche nel senso comune e nello spirito pubblico dei cittadini. Al punto quasi da far dimenticare l’estremo degrado cui si era giunti nel periodo conclusivo del decennio berlusconiano: uno dei momenti più oscuri della vicenda italiana, uno dei punti più bassi di discredito del paese nel contesto europeo e in quello internazionale.

Con Monti l’Italia è tornata ad avere credibilità. Non siamo ancora fuori dalla crisi né da una condizione di pericolo che minaccia non solo il nostro paese, ma l’euro e l’intera costruzione economica del continente europeo. Ma quanto meno non è più sulle spalle del nostro paese l’eventuale responsabilità del crollo. L’Europa non deve avere paura dell’Italia, come dice Mario Monti. E il nostro paese torna ad avere voce in capitolo nel confronto sulle scelte fondamentali che l’Unione deve compiere se vuole essere all’altezza della sfida. È interesse dell’Italia che il governo possa operare fino alla conclusione naturale della legislatura; affrontare l’emergenza con misure eque; cercare di rimettere in moto l’economia; esercitare il suo ruolo a Bruxelles e nelle relazioni con le principali cancellerie europee, come ha cominciato a fare. Il Partito Democratico sosterrà il governo e opererà per realizzare le necessarie riforme, a cominciare da quella della legge elettorale, e per ridefinire il ruolo di istituzioni più efficaci e più sobrie. Nello stesso tempo si tratta di costruire una nuova prospettiva politica e una proposta di governo per l’Italia a partire dalla primavera del 2013.

Non avrebbe senso né ragione, è necessario ribadirlo, una qualche diffidenza nel nostro campo verso il governo presieduto da Mario Monti. D’altro canto questo governo non nasce da un sussulto della società civile contro la politica: non è il frutto del “fallimento dei partiti”, semmai l’approdo del fallimento del berlusconismo e di una destra che è stata incapace di governare il paese e lo ha condotto ad affrontare nel modo peggiore una drammatica crisi internazionale. Il “governo tecnico” è il frutto di una lunga e coerente azione politica che ha costruito con pazienza le condizioni per superare il governo Berlusconi. Non sarebbe stata possibile la svolta che oggi suscita nuove speranze nel paese se l’opposizione non avesse lavorato a un governo di responsabilità nazionale. Ed è stato merito del PD aver operato per una collaborazione con il Terzo polo offrendo a una maggioranza parlamentare fragile ma arroccata la possibilità e la garanzia di una continuazione della legislatura in un quadro di comune assunzione di responsabilità, oltre il governo Berlusconi.

Sono state questa azione politica intelligente e questa scelta responsabile che hanno creato le condizioni per una erosione della maggioranza e, alla fine, per un cambiamento politico così profondo come quello che si è determinato. È importante ristabilire questa verità nel momento in cui intorno al governo Monti si definisce un nuovo scenario. Tutto il quadro politico del paese si è rimesso in movimento oltre gli schemi della contrapposizione che ha animato sin qui il bipolarismo italiano. Diventa più che mai decisiva la visione politica del futuro e la capacità di progettarlo senza smarrire il filo del percorso che ci ha portato fin qui.

Il governo sta facendo un buon lavoro nonostante le condizioni difficili ereditate e di fronte alla drammatica crisi che investe l’Unione europea. Altra cosa rispetto al governo è il clima ideologico che si cerca di costruire intorno all’esperienza dei tecnici alla guida del paese. Nulla sarà come prima, si dice, non senza naturalmente un elemento di verità. Ma in che senso? L’esaltazione delle competenze tecniche, delle élite, degli “ottimati” contrapposti all’ignoranza, alla corruzione, alla incapacità e alla rissosità della politica e dei partiti raggiunge forme caricaturali di qualunquismo. Sui maggiori quotidiani italiani si possono leggere editoriali nei quali si propone dottamente di abolire le elezioni per sostituirle con l’estrazione a sorte dei parlamentari oppure dove si auspica che il governo tecnico si presenti alle elezioni in quanto tale “spazzando via” i politicanti. I temi e gli argomenti ricordano la crisi dei primi anni Novanta e curiosamente evocano la retorica del primo Berlusconi: il grande imprenditore, l’“uomo del fare” che, appunto, doveva spazzare via il teatrino della politica politicante. È evidente che questa campagna muove dalle debolezze reali del sistema democratico, prende forza dalla fragilità delle culture politiche e dei soggetti protagonisti della cosiddetta Seconda Repubblica. Sono proprio questa fragilità e l’assenza di partiti fortemente organizzati e radicati – e quindi capaci di selezionare e formare classe dirigente – che hanno favorito l’avvento di un ceto “politico” spesso improvvisato, frequentemente privo di una cultura politica, che ha occupato le istituzioni, molte volte solo come forma di promozione sociale o, peggio, per interessi personali. Ma, pur muovendo da una critica non infondata dello stato presente del sistema politico, gli ideologi dell’antipolitica procedono nella direzione esattamente opposta a ciò che sarebbe necessario. Si punta cioè ad accentuare fenomeni di destrutturazione, di improvvisazione e di precarietà, di personalizzazione estrema e distruzione di tutti gli aspetti organizzati e collettivi dell’agire politico nel nome di una esaltazione acritica della società civile. Ciò che torna non è solo la diffidenza antica e radicata di una parte dei ceti economicamente egemoni verso la politica e il fastidio da essi nutrito verso i partiti popolari e il ruolo che essi svolgono. Questi aspetti vi sono certamente e rinviano a una cultura caratterizzata da forme di elitarismo che vengono da lontano e hanno lasciato un segno profondamente negativo nella storia italiana. Ma c’è anche l’espressione del più recente prevalere, non solo in Italia, di un liberismo estremista che ha alimentato la convinzione che il capitalismo possa autogovernarsi riducendo lo spazio della dimensione pubblica e della statualità. Se c’è una verità che, invece, la crisi ha portato alla luce è proprio che all’origine della grave crisi che viviamo vi è esattamente il dominio di questa ideologia. E non a caso appaiono oggi più forti i paesi in cui resistono sistemi politici solidi e partiti in grado di garantire coesione sociale e coerenza di indirizzi.

Anche nella concreta vicenda italiana di questi anni, al di là delle evidenti debolezze del sistema politico, vi sono state, tuttavia, differenze profonde che non possono essere cancellate nel nome di un qualunquismo e di un rancore contro i partiti che finiscono per mettere tutti allo stesso modo nello stesso sacco. L’Italia dell’euro, l’Italia dei governi del centrosinistra in grado di avviare risanamento e riforme, protagonista nei Balcani o in Libano, capace di far nominare Romano Prodi alla guida della Commissione europea – e insieme Mario Monti commissario alla concorrenza – non è stata considerata in Europa nello stesso modo in cui è stata considerata l’Italia di Berlusconi. Riduzione del deficit, liberalizzazioni e spending review sono alcune delle scelte dei governi di centrosinistra. Ma sembra che in questa fase politica sia indubbio il merito dell’attuale governo di aver riportato l’Italia su quella strada, dopo un decennio di populismo berlusconiano e leghista. Anche per questo, per quanto possa dare fastidio la retorica sprezzante contro la politica che accompagna la fase nuova che si è aperta, sarebbe un errore gravissimo venire meno al compito di sostenere e incoraggiare l’attuale governo. Un sostegno leale che si accompagna, naturalmente, all’impegno necessario per avanzare le nostre idee e proposte per rendere più incisive e coerenti le scelte e le azioni da compiere. Il cammino intrapreso è quello giusto. Chi scalpita a sinistra deve capire che nessuna credibile prospettiva politica per il dopo-Monti può essere costruita contro l’attuale governo e cioè contro gli interessi del paese in un passaggio così delicato per l’Italia e per l’Europa. E il centrosinistra, ciascuna forza politica del centrosinistra, deve sapere che nelle scelte che fa mette in gioco oggi la sua credibilità per il governo dell’Italia di domani.

Tuttavia il governo Monti non è la fine della storia. Lo stesso scenario europeo ripropone alternative di grande portata che fanno apparire più che mai attuale il confronto fra politiche conservatrici e necessarie scelte di rinnovamento politico e sociale. Come uscire dalla crisi europea senza una strategia per crescita, lavoro e innovazione? Come porre rimedio ai guasti di questi anni senza regole in grado di contrastare la speculazione finanziaria, senza una più forte solidarietà e misure capaci di ridurre le diseguaglianze sociali? Di fronte agli europei c’è la necessità, nello stesso tempo, di un salto di qualità nella integrazione politica e di un mutamento profondo nei contenuti dell’azione dell’Unione e dei governi nazionali.

È necessario voltare pagina: ridimensionare il potere della finanza; restituire dignità e centralità al lavoro e alla cultura, promuovere uno sviluppo compatibile con l’ambiente e la qualità della vita delle persone. L’esperienza ha dimostrato che il mercato lasciato a se stesso ha prodotto squilibri e diseguaglianze che hanno inceppato lo stesso meccanismo della crescita. Nessuno pensa che si debba tornare a una concezione statalista o a un compromesso socialdemocratico di stampo keynesiano. È evidente che le nostre società – penso in particolare all’Italia – hanno anche bisogno di riforme liberali volte a rimuovere rendite corporative e aprire opportunità soprattutto alle nuove generazioni. Tuttavia, nello stesso tempo, occorre rilanciare e qualificare l’azione pubblica non solo per promuovere coesione sociale, ma anche per sostenere lo sviluppo attraverso investimenti innovativi nella ricerca e nelle infrastrutture. E perché questa azione sia efficace non può essere affidata soltanto alla volontà dei singoli governi nazionali, ma deve essere sostenuta dall’Europa nel suo insieme e finanziata attraverso strumenti innovativi come la tassa sulle transazioni finanziarie o gli eurobond. Occorre, insomma, una svolta politica sostenuta da una coalizione progressista ed europeista, in grado di imprimere un nuovo corso in Europa e in Italia non contro l’attuale governo del nostro paese, ma rispetto a una lunga stagione politica dominata dalle destre conservatrici o populiste.

Un progetto per l’Italia che tenga insieme crescita e giustizia sociale, opportunità per le nuove generazioni, innovazione e competitività non può che essere concepito in una visione europea. Il centrosinistra italiano, dentro una nuova coalizione progressista ed europeista, può candidarsi a interpretare e guidare questa fase. È molto importante riavvicinare la politica e i cittadini anche attraverso riforme (a cominciare

dalla legge elettorale) in grado di ridurre il distacco e la sfiducia. È ineludibile rinnovare la classe dirigente, puntando sulla qualità e sul talento che non mancano nelle nuove generazioni, e ritengo che occorra investire molte energie nella loro formazione per riuscire a far emergere sempre di più chi lo merita. Ma la fondamentale “rilegittimazione” della politica sta nella capacità di proporre un progetto, una visione del futuro che rispondano alla incertezza e alla decadenza sociale, che riaccendano la speranza, che sappiano dare risposte al bisogno di “riappropriarsi” della propria vita – come ha scritto Alfredo Reichlin – di tanti cittadini italiani ed europei. Non ci interessa la politica intesa come un ceto che rivendica di tornare alla gestione del potere dopo la parentesi del governo tecnico: in questa veste sarebbe irrimediabilmente perdente o subalterna. Ci interessa un’altra politica: la capacità di anticipare, interpretare e dare senso ai processi sociali; la politica come necessaria e appassionante dimensione dell’agire umano collettivo. Per questo stiamo lavorando per ricostruire un partito e, nello stesso tempo, per elaborare un progetto e una proposta di governo che vada oltre la transizione che stiamo vivendo.

Trovare le soluzioni non è e non sarà facile. Riavvicinare i cittadini alla politica vuol dire essere capaci di individuare gli errori commessi dalla politica in questi anni; vuol dire saper leggere il mondo che abbiamo

di fronte e le sfide del prossimo futuro; vuol dire generosità nell’accompagnare quel ricambio generazionale che è ormai condizione necessaria per rendere competitiva l’Italia e dare ai nostri figli la possibilità di esprimere la propria personalità. Una nuova frontiera quindi, per definire le risposte che dovremo saper dare alle sfide che avremo di fronte.