I social network. Luoghi di concentrazione d’anime perse o nuovi luoghi di aggregazione sociale?

Written by Antonio Menniti Ippolito Tuesday, 21 June 2011 16:15 Print
I social network. Luoghi di concentrazione d’anime perse o nuovi luoghi di aggregazione sociale? Illustrazione di Guilherme Kramer

Nel giro di poco tempo i social network sono diventati una realtà concreta e irrinunciabile per molti, anche in Italia. Nel mondo, poi, hanno dato prova di essere uno strumento di aggregazione estremamente efficace. La politica italiana non sembra averne compreso appieno il potenziale, e continua a usarli come strumento di mera propaganda. Nonostante l’impossibilità di prevederne le direzioni di sviluppo, quello dei social network è senz’altro un fenomeno rivoluzionario per la vita dei singoli individui e, forse, per quella dell’intera società.


Cosa sono i social network? Cosa Twitter, cosa Facebook (più rilevante in Italia e su cui soprattutto qui ci si soffermerà)? Sono – ci si vergogna a dirlo, perché cosa altro si può affermare di una realtà che tiene collegati virtualmente mezzo miliardo di individui – già tantissimo, e ancor più, è facile immaginarlo, diventeranno (impossibile o quasi però immaginare che cosa).

Sono tantissimo, insomma, ma cosa? Anzitutto una realtà economica incredibile. Il loro valore è astronomico, gli interessi che si esercitano su di essi smisurati, le operazioni di controllo che si compiono sugli utenti, probabilmente non solo per accertarne le propensioni al consumo, sono senz’altro rischiosissime e, diciamo così, sommariamente regolamentate. Sono insomma innanzitutto luoghi di aggregazione di interessi assai pratici e non solo limitati alla sfera del portafoglio, ma anche del controllo sociale e, potenzialmente, della repressione. Siamo sempre più liberi di comunicare, del tutto agevolati nel farlo in maniera impensabile fino a poco tempo fa, simultaneamente siamo tutti intenti a dire a qualcuno chi siamo, cosa vogliamo, in cosa spendiamo. Da questo punto di vista, va detto, il futuro appare nero e sempre, in ogni aspetto dell’attività di questi network, dietro il bello, addirittura il fantastico, si annida un pericolo, un aspetto meno brillante. Ci stiamo liberando, oppure seppellendo la nostra autonomia, il nostro diritto a non essere monitorati passo passo in tutto quel che facciamo? Ciò peraltro non solo per effetto di sofisticate centrali di analisi del traffico comunicativo: adolescenti e non, incauti si espongono a ricatti e condizionamenti impropri (e nello stesso tempo vengono magari controllati dai genitori o da conoscenti); interventi su Facebook cominciano a essere utilizzati nelle cause di divorzio e a volte rompono più amicizie di quante non riescano a crearne.

Ma pensiamo positivo, fingiamo di farlo e pure con impronta minimalista. Facebook e Twitter sono in certo modo una sorta di posta elettronica potenziata. Qualsiasi messaggio arrivi sulla pagina personale del sito può giungere anche sull’applicazione dello smartphone o, appunto, sulla posta elettronica personale. Messaggi di testo, ma anche immagini, filmati, suoni, link. L’utente si trasforma in una lumaca virtuale che si porta dietro in un computer o in un cellulare un guscio-casa che ospita la tribù frutto del proprio networking, della propria capacità di creare relazioni. Da una parte all’altra del mondo ci si può relazionare in tempo reale aggirando anche l’imbarazzo di reperire indirizzi mail e semplicemente inserendo – con Facebook – un nome in una casella di ricerca.

Nato, come ha ben testimoniato il film “The Social Network”, come idea per mettere in comunicazione chi frequentava la rete universitaria americana, Facebook è lo strumento ideale per muoversi in un gruppo ristretto, una comunità di conoscenti che su quel mezzo scambia di tutto e si organizza la vita, anche giorno per giorno. Un metodo d’utilizzo diffuso. C’è un altro uso, però, tendente, al contrario, a travolgere i confini ristretti delle proprie relazioni, e che porta a estendere la propria comunità in una dimensione universale. Non esistono limiti per ciò, se non la capacità di stabilire relazioni e la possibilità di comunicare, essendo questa non solo legata alla lingua, ma anche alla pubblicazione di link, materiale audio-video, immagini fotografiche originali o di repertorio. La qualità dei contenuti e il livello della comunicazione dipendono ovviamente dalle capacità/volontà/disponibilità di mettere qualcosa in più. Si crea una grande piazza dove ci si aggrega o ci si disgrega su temi leggeri o più impegnativi, dove ci si sofferma talvolta su riflessioni politiche, con l’inconveniente che all’interno di questi “luoghi” virtuali ognuno, anche un disturbatore, ha diritto di starci.

Questa grande piazza – sarebbe meglio dire questo grande mall, dove a spazi aperti se ne affiancano altri chiusi, sostanzialmente all’infinito – dove l’utente-lumaca porta il proprio bagaglio, individuale o tribale che sia, costituisce una realtà concreta per una quota discreta dell’umanità. La nostra “lumaca” può strisciarci attraverso come meglio crede, conservando o rafforzando i propri convincimenti, oppure trasformandoli o diluendoli nella realtà globale. È evidente che tutto ciò è politica, così come lo era, e forse oggi lo è assai meno, la televisione tradizionale, che perde colpi di fronte a tutto questo nuovo che incombe e che soprattutto monopolizza gli interessi dei giovani. Ma in che senso va intesa l’essenza politica di questi nuovi strumenti di comunicazione?

Obama, s’è scritto, ha costruito parte del suo successo elettorale sfruttando efficacemente questi media; le recenti rivolte del Nord Africa se ne sono servite in un modo che è stato ben descritto. Qui i social network hanno infiammato il dibattito e consentito rapide mobilitazioni delle masse insoddisfatte. E l’efficacia del mezzo è pure testimoniata direttamente dalla inaccessibilità sostanziale (fino ad ora almeno, perché qualcosa, ma chissà come, pare muoversi) di questa piattaforma in Cina e ciò potrebbe costituire un indizio che la capacità di coinvolgimento e di mobilitazione dello strumento sia più rilevante della possibilità di utilizzarlo per il controllo e la repressione.

E in Italia? L’impressione è che si faccia poco, con scarsa costanza, con mediocre progettualità e impegno. Fiammate di adesione a campagne spesso sabotate dai concorrenti politici oppure create artificialmente per rafforzare una tesi o una immagine personale, ma è sforzo di ricerca arduo quello condotto per rinvenire un politico o un gruppo che utilizzi un mezzo come Facebook per tenersi in rapporto in modo animato e significativo con militanti e simpatizzanti (e neppure “Italianieuropei” dimostra di credere ancora in questa piazza). Il Partito Democratico ha una pagina ufficiale che sembra più simile a un web site che ad altro, il Popolo della Libertà neppure quella, e appare a suo nome solo una grande giungla di iniziative private che sembrano non particolarmente significative. A partire dal profilo di Silvio Berlusconi, ma anche da quello di Nichi Vendola, con rare eccezioni, ad esempio quella di Matteo Renzi, che interviene sovente con riflessioni sulla propria pagina (ma anche Pierluigi Bersani ha assestato lì qualche buon colpo), l’utilità della piattaforma pare soprattutto intesa quale modo semplice di diffondere comunicati. Facebook pare ancora inteso come uno strumento di propaganda e non come un luogo di dibattito e di formazione politica. La qualità degli apporti ai profili pubblici dei partiti o degli uomini politici appare insomma limitata: anche foto e video messi a disposizione risultano in gran parte mediocri. Si dice ciò sapendo di generalizzare e di ignorare una molteplicità di casi del tutto diversi, ma la sensazione che si ha, nell’impossibilità del resto di controllare quel mare magnum, è che lo strumento sia sottoutilizzato.

Rispetto a un tradizionale sito web, un profilo Facebook, con utenti che restano collegati anche per ore alla piattaforma, ha del resto bisogno d’essere nutrito di un qualche contenuto con ritmo costante e tutto questo presuppone un impegno non banale. Non solo: c’è la sensazione forte che in una realtà polarizzata ed esasperata come quella italiana, ad alimentare il dibattito anche sui social network sia piuttosto l’invettiva che il ragionamento, il che può anche rendere imbarazzanti certi confronti, rivelando altresì non di rado quanto possa risultare altrettanto indigeribile l’esercizio di vecchie forme di politica pure di fronte a questo nuovo strumento.

Tutto rimarrà così? Probabilmente no. I contenuti che appaiono su Facebook costituiscono in ogni caso il verbale di una colossale sessione di chat che coinvolge, a gennaio 2011, più o meno assiduamente, diciotto milioni di italiani, assai ben distribuiti tra tutte le fasce di età, tranne che per quella superiore ai cinquantacinque anni – qui il coinvolgimento pare di poco superiore al 5% – di importanza peraltro rilevante in un paese “vecchio” quale il nostro. Come è noto, i tassi di crescita degli utenti italiani di Facebook – e l’Italia è, come si sa, ancora non certo in prima fila in quanto a presenza di computer nelle abitazioni ed è pure indietro nella diffusione della banda larga – sono stati di recente assolutamente impressionanti, toccando percentuali del +1500% l’anno. Una moda, un bisogno, un passatempo o che? Senz’altro un fenomeno rilevante, recentissimo e ancora in corso, che non potrà non avere conseguenze sulla nostra società. Un terzo degli italiani, molti dei quali non guardano più la televisione, o almeno non come prima, con il ragionamento, con l’istinto o... con il grugnito (e si perdoni la semplificazione) partecipa a una realtà globale la cui rilevanza le recenti vicende nel Nord Africa hanno clamorosamente dimostrato. Il chiacchiericcio, nella nuova piazza, così come accadeva in quella antica, può tramutarsi in protesta e mobilitazione.

Per concludere, il social network, soprattutto nelle dimensioni raggiunte da Facebook, è uno strumento tanto sorprendente e straordinariamente innovativo quanto difficile, se non impossibile, da controllare. Comprendere cosa produca o possa ancora produrre il formicolare di mezzo miliardo di utenti non è impresa adatta a chi scrive. A questi, ossia a me, è invece possibile testimoniare come un disilluso docente di Storia della tristissima, ormai inutile università italiana abbia potuto in tempi recentissimi, proprio grazie a Facebook, trovarsi nella short list dei premiabili in un ricco concorso fotografico sponsorizzato da un grande paese asiatico (e grazie alla piattaforma saprà un giorno di non essere stato premiato), come sia stato in grado di organizzare una avventura consumatasi ai piedi di una immensa montagna himalayana e di cenare in un esclusivissimo club di Calcutta con due ospiti mai visti prima e che gli sembrava di conoscere da sempre (e così gli affari propri compaiono anche, per una volta, su “Italianieuropei“). Piccole rivoluzioni personali, aspettando che Facebook combini quelle più grandi e generali, magari anche in questo nostro paese stagnante e mortificato.