Innovazione e tecnologia al servizio della biomedicina

Written by Ignazio R. Marino e Nicoletta Rossi Tuesday, 16 March 2010 19:11 Print
Le significative scoperte biologiche applicate alla medicina degli ultimi vent’anni, prima tra tutte il se­quenziamento del genoma umano, sono state re­se possibili da importanti innovazioni biotecnologi­che. La terapia genica e gli studi sulle cellule stami­nali, tecniche grazie alle quali la medicina si prefigge di sconfiggere alcune delle malattie più gravi, han­no già raggiunto ottimi risultati a livello sperimen­tale, e non va dimenticato che le innovazioni tec­nologiche potrebbero essere in grado di fornire un fondamentale aiuto ai paesi in via di sviluppo.

 Negli ultimi vent’anni i progressi della biologia hanno influito grandemente sulla medicina applicata; la conoscenza a livello molecolare dei meccanismi della trasmissione del materiale ereditario e del funzionamento della cellula ha consentito di individuare le cause alla base di molte malattie, e le biotecnologie hanno reso possibile lo sviluppo di diagnosi e terapie innovative. Grazie al completamento del Progetto genoma umano (Human Genome Project, HGP), tra il 2001 e il 2003 è stata resa disponibile al pubblico l’intera sequenza di Homo sapiens, costituita da tre miliardi di coppie di basi. Lo scopo principale di questo progetto, frutto di un’ampia collaborazione internazionale tuttora in corso, è quello di identificare il ruolo dei vari geni nella fisiologia e nella patologia, e di studiare i meccanismi che regolano il funzionamento dell’informazione genetica, della sua trascrizione e traduzione in proteine. L’accesso a questa nuova risorsa è reso possibile dall’allestimento di banche dati e metodologie informatiche per l’analisi delle sequenze di DNA, RNA e proteine. La più notevole applicazione derivante dal sequenziamento del genoma è l’opportunità di acquisire per ogni paziente un profilo genetico personale riguardante il suo stato di salute, che comprenda la valutazione del rischio di predisposizione a specifiche malattie, la diagnosi precoce di esse e l’individuazione delle possibili risposte individuali a determinati farmaci. Grazie alla “medicina personalizzata” sarà possibile mettere a punto cure mediche mirate per i singoli pazienti sulla base delle loro caratteristiche genetiche. Oggi è possibile identificare la predisposizione a sviluppare una malattia su base genetica, mediante l’identificazione di fattori detti “di suscettibilità”, per poter prevenire o ritardare l’insorgenza della patologia, intervenendo con approcci terapeutici più razionali e meglio indirizzati, o semplicemente con l’adozione di uno stile di vita più consono e atto a diminuire il rischio della comparsa della malattia. Storicamente, la genetica medica si è occupata di un gruppo di malattie ereditarie relativamente rare, causate da mutazioni in un singolo gene, come la fibrosi cistica, la fenilchetonuria, alcune distrofie. Successivamente, l’analisi sistematica delle malattie umane ha dimostrato che anche nelle patologie più complesse è presente una componente genetica, dovuta all’effetto combinato di vari geni, come pure all’interazione fra i geni e l’ambiente. Le malattie più frequenti sono infatti multifattoriali, ed è estremamente difficile individuare i geni implicati. Mentre nel caso di molte malattie monogeniche sono noti sia il gene associato alla malattia sia le mutazioni che ne costituiscono la causa, la caratterizzazione delle malattie multifattoriali si basa sull’individuazione di particolari sequenze di DNA, dette “determinanti genetici”, correlate alla patologia e significative dal punto di vista statistico. Gli studi detti “di associazione su tutto il genoma”, o GWA (Genome Wide Association), vengono effettuati analizzando particolari sequenze geniche, dette marcatori, localizzate sul DNA di gruppi di popolazioni, per identificare quali siano le differenze genetiche che possono rendere alcune popolazioni più suscettibili, o più protette, rispetto a particolari malattie.
Esempi di analisi genetica di malattie complesse sono lo studio del carcinoma della mammella (identificazione di mutazioni sui geni BRCA1 e 2, responsabili del 20% dell’insorgenza delle forme familiari; l’identificazione di un locus di suscettibilità per la malattia di Alzheimer con esordio tardivo (allele ApoE), e di un gene (CARD15) le cui mutazioni sono associate al rischio di contrarre il diabete insulino- resistente. Molte aziende private offrono già al pubblico la possibilità di avere la caratterizzazione del proprio genotipo personale, con il calcolo del rischio di contrarre un certo numero di malattie tra le più diffuse, anche se allo stato attuale delle conoscenze i geni associati alle malattie multifattoriali rendono conto solo di una piccola percentuale dell’insorgenza dei casi. Presto si potrà avere al costo di circa 1000 dollari la sequenza completa del proprio genoma. Anche per la diagnosi dei tumori si stanno mettendo a punto dei test personalizzati basati sull’individuazione dei biomarkers (specifici riarrangiamenti cromosomici dovuti alla progressione della malattia) oppure sulla caratterizzazione delle alterazioni dell’espressione genica nel singolo paziente su microchip (tecnica dei microarrays).

Terapia genica

Per molte patologie ereditarie determinate dalla mutazione di un unico gene, o monogeniche, l’informazione attualmente a disposizione consente di formulare una diagnosi prima della nascita, oppure prima dell’insorgenza dei sintomi, negli individui a rischio di essere portatori dei geni alterati. Queste malattie costituiscono anche i bersagli più semplici contro cui sviluppare nuove terapie “geniche”, ossia basate su tecniche che consentono di correggere i geni difettivi responsabili dello sviluppo della patologia, mediante l’introduzione di DNA esogeno nel genoma degli individui affetti, modificando cellule e tessuti specifici del paziente. I primi tentativi di terapia genica risalgono agli anni Novanta, quando negli Stati Uniti si provò a introdurre il gene corretto nei linfociti di una bambina affetta da immunodeficienza combinata grave (SCID). Da allora sono stati condotti più di 1300 studi clinici in 28 paesi, rivolti alla cura di molte patologie: oltre alle malattie monogeniche si è tentato di trattare i tumori, le malattie cardiovascolari e le malattie infettive, si è approfondito lo studio dei meccanismi della terapia su modelli animali e sono stati messi a punto dei vettori più sicuri. Dopo un arresto di alcuni anni nell’attuazione dei trials clinici dovuto a dubbi risultati sia dal punto di vista della sicurezza sia dell’efficacia del metodo, recentemente alcune sperimentazioni hanno dato buoni risultati e si è ricominciato a sperare nella terapia genica.
Nel 2002 il primo successo terapeutico a livello mondiale è stato ottenuto dai ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon di Milano, che sono riusciti a curare con la terapia genica due bambini affetti da una forma di SCID dovuta al deficit dell’enzima adenosina deaminasi (ADA). I bambini affetti da questa malattia erano detti “bambini bolla” perché, essendo estremamente vulnerabili a qualsiasi tipo di infezione anche banale, erano co- stretti a vivere in bolle di plastica o in camere sterili, evitando il contatto con il mondo esterno. La terapia genica in questo caso è stata attuata correggendo il gene ADA “sbagliato” in cellule staminali del paziente stesso, che poi sono state reinserite nel midollo osseo; esse, grazie alle loro proprietà rigenerative, hanno prodotto nuove cellule del sangue contenenti l’enzima ADA “normale”. Le condizioni dei bambini che hanno ricevuto questa cura sono migliorate e l’effetto si è rivelato efficace anche a lungo termine. Un altro successo raggiunto negli ultimi mesi con la terapia genica è stato il trattamento della adrenoleucodistrofia (ALD), una malattia infantile molto grave che riguarda il sistema nervoso centrale ed è dovuta a un alterato metabolismo della mielina causato da mutazioni del gene ABCD1. L’unica cura finora disponibile è il trapianto di midollo. In questo trial sperimentale di terapia genica, condotto da un gruppo dell’INSERM di Parigi, il gene corretto è stato introdotto nelle cellule staminali ematopoietiche di due bambini mediante un vettore virale; le cellule così modificate sono state reimpiantate nei pazienti e grazie alla loro diffusione si è avuto l’arresto della malattia. Sebbene molte questioni rimangano aperte (valutazione dei rischi dell’impianto di cellule staminali, incertezze sulla tecnica, uso dei virus come vettori), i risultati delle recenti sperimentazioni in terapia genica sono considerati molto promettenti. Tra le altre malattie genetiche trattate sperimentalmente con terapia genica si annoverano l’ipercolesterolemia familiare, la fibrosi cistica, l’amaurosi di Leber (una forma di cecità ereditaria), la sindrome di Marfan, la malattia di Pompe; in tutti i pazienti si è avuta una correzione completa o parziale del difetto, che in alcuni casi perdura nel tempo. Un altro campo molto importante nell’ambito del quale si tenta di applicare la terapia genica è quello delle malattie neuromuscolari, complesse patologie che colpiscono i muscoli, come le distrofie (di Duchenne, facio-scapolo-omerale, miotoniche ecc.) e l’atrofia muscolare spinale. Negli ultimi anni la comprensione dei meccanismi di base di queste malattie è molto progredita e si spera quindi di poter arrivare all’applicazione di strategie terapeutiche. Un risultato importante è stato raggiunto da un gruppo di ricerca italiano guidato da Giulio Cossu che ha effettuato con successo una terapia cellulare per la distrofia muscolare di Duchenne; nel cane distrofico, il muscolo malato è stato rigenerato mediante l’invio, attraverso i vasi sanguigni, di cellule staminali portatrici del gene corretto della distrofina (proteina la cui alterazione è alla base della malattia). Il risultato è stato un notevole miglioramento clinico e il recupero dell’attività motoria dell’animale. Attualmente è in fase di messa a punto il primo studio clinico di fase I, da attuare sui bambini. In molti laboratori sono in corso esperimenti di terapia genica che hanno come bersaglio i tumori. Si cerca di attuare l’eliminazione mirata di cellule tumorali specifiche, mediante l’espressione in queste cellule stesse di un gene “suicida”, il cui prodotto sia tossico, oppure la produzione di una proteina che renda le cellule vulnerabili all’attacco del sistema immunitario.

Cellule staminali

Per la loro capacità di generare ogni tipo di cellula differenziata, le cellule staminali sono la grande speranza per il futuro della medicina rigenerativa. Negli ultimi vent’anni sono state oggetto di intenso studio nei laboratori di tutto il mondo, sia per l’individuazione dei meccanismi di base dello sviluppo cellulare, sia per la messa a punto di terapie innovative. Mediante la terapia cellulare basata sull’uso di queste cellule o di cellule da esse derivate, è possibile in linea di principio sostituire o riparare i tessuti danneggiati in gravi patologie degenerative quali il morbo di Alzheimer o di Parkinson, il diabete, le malattie cardiovascolari, le lesioni alla colonna vertebrale. Le cellule staminali possono essere reperite da molte fonti, quali i tessuti di individui adulti, il cordone ombelicale, il materiale derivante dagli aborti, la blastocisti embrionale prima dell’impianto nell’utero materno. In generale, le cellule staminali vengono classificate come embrionali (derivanti dall’embrione ai suoi primi stadi) o adulte (derivanti da tessuti completamente sviluppati). Le embrionali vengono considerate pluripotenti, ossia in grado di dare origine a qualsiasi tipo cellulare dell’organismo adulto; le adulte, la cui normale funzione è mantenere e riparare i tessuti lungo il corso della vita, sono considerate multipotenti in quanto possono dare origine solo ad alcuni tipi cellulari, con diversi gradi di efficienza. Finora, molti studi hanno dimostrato il potenziale terapeutico delle cellule staminali nel migliorare i sintomi di una vasta gamma di malattie umane riprodotte in modelli animali (morbo di Parkinson, infarto, malattie degenerative della retina). Per quanto riguarda l’applicazione clinica nell’uomo, da molti anni le cellule staminali ematopoietiche sono utilizzate per curare alcune leucemie. Il loro usonei trapianti di midollo è attualmente l’unica terapia rigenerativa ben consolidata, mentre sono in corso in vari paesi trials clinici autorizzati con derivati delle staminali adulte, ad esempio per il trattamento di ustioni, malattie della cornea, morbo di Crohn, rigenerazione della cartilagine delle giunture. Negli ultimi anni alcuni trials clinici hanno dimostrato che le staminali provenienti dal midollo osseo e dal muscolo scheletrico possono riparare il cuore infartuato. I risultati raggiunti finora sono controversi e sembra che i miglioramenti riscontrati nei pazienti non siano dovuti alla generazione di nuovi cardiomiociti, ma piuttosto alla secrezione di fattori di crescita che favoriscono la formazione di nuovi vasi sanguigni e rafforzano il tessuto già esistente. Nessuna sperimentazione che prevedesse l’utilizzo di staminali embrionali umane è stata approvata, fino al gennaio 2009, periodo in cui la FDA (Food and Drug Administration) negli Stati Uniti ha approvato il primo trial clinico mondiale (fase I) per una terapia con cellule staminali embrionali delle lesioni alla spina dorsale, messa a punto da un’industria californiana specializzata. A dieci pazienti con lesioni alla spina dorsale causate da incidenti vengono praticate iniezioni di precursori degli oligodendrociti, derivati da staminali e considerati cellule di supporto del sistema nervoso centrale in grado di riformare la guaina mielinica intorno ai neuroni lesionati e di stimolare la rigenerazione delle cellule nervose, come già dimostrato in esperimenti sugli animali. Le principali critiche a questo tipo di approccio si riferiscono, oltre che al problema etico dell’utilizzo di cellule embrionali umane, anche al rischio di formazione di tumori. Altri trials clinici in preparazione per una prossima sperimentazione riguardano le patologie della retina, il diabete insulino-resistente, il morbo di Parkinson e altre malattie degenerative del sistema nervoso. In paesi come gli Stati Uniti e il Giappone l’industria ha un ruolo cruciale, costantemente in aumento, nello sviluppo della tecnologia di coltura delle staminali per scopi terapeutici. Le staminali embrionali vengono isolate dalla blastocisti in una fase molto precoce dello sviluppo; ciò comporta inevitabilmente la distruzione dell’embrione, privandolo della sua potenzialità di svilupparsi in un essere umano. Gli oppositori all’impiego delle staminali embrionali affermano che non sia necessario usarle, dal momento che le staminali adulte possono funzionare ugualmente bene allo scopo. Altri sostengono invece che il potenziale di crescita e di differenziamento delle adulte sia troppo limitato per poterle consi-derare un sostituto adeguato delle embrionali. Sono stati ideati vari approcci alternativi per produrre cellule staminali senza distruggere l’embrione; tra questi il più innovativo è senz’altro la riprogrammazione delle cellule iPS (staminali pluripotenti indotte), che consiste nell’esprimere alcuni geni per fattori di trascrizione in grado di riportare allo stadio pluripotente una cellula adulta somatica completamente differenziata, ad esempio una cellula della pelle. Questa metodologia, messa a punto nel 2006 da un gruppo di ricercatori giapponesi, risolve non solo il problema etico ma anche quello della compatibilità immunologica con il donatore. Infatti le cellule iPS possono essere ricavate da ogni singolo paziente e questo comporta che in una eventuale terapia rigenerativa non ci sarebbero problemi di rigetto. I numerosi esperimenti condotti finora hanno dimostrato che queste cellule possono essere riprogrammate e coltivate in vitro dando origine a vari tipi cellulari. Ad esempio sono stati derivati in questo modo dei neuroni motori spinali da un paziente affetto da sclerosi laterale amiotrofica (SLA) e neuroni dopaminergici da pazienti affetti dal morbo di Parkinson; lo stesso è avvenuto per i cardiomiociti e le cellule del pancreas. L’obiettivo per il futuro è che queste cellule possano essere coltivate e reimpiantate nei pazienti per rigenerare i tessuti danneggiati.
Le innovazioni biomediche fin qui descritte sono tutte dovute all’impiego di tecnologie molto avanzate, che spostano il confine delle nostre possibilità di intervento in zone che solo fino a vent’anni fa erano impensabili. Un altro esempio è quello del neuroimaging mediante risonanza magnetica funzionale, una tecnica in grado di evidenziare l’attività di alcune zone distinte del cervello. Lo stato vegetativo è una delle condizioni meno conosciute dalla medicina moderna ed è allo stesso tempo la più problematica dal punto di vista etico. Con l’espressione stato vegetativo si descrive la situazione in cui i pazienti usciti dal coma sono in un apparente stato vigile ma non mostrano segni di coscienza. La diagnosi viene effettuata quando il paziente non mostra di rispondere in nessun modo agli stimoli esterni. Nonostante ciò, alcuni studi recenti di neuroimaging funzionale hanno suggerito la presenza, in alcuni pazienti il cui stato è stato diagnosticato come vegetativo, di “isole” in cui la funzione cerebrale è conservata. In base a ciò, si è ipotizzato che per mezzo di tale tecnica si possa individuare in questi pazienti qualche forma di coscienza. In altre parole, essi sarebbero ancora in possesso di abi-lità cognitive che non possono essere evidenziate dai metodi clinici standard. In particolare, a una paziente in stato vegetativo in seguito a un incidente stradale, sono state date le istruzioni per eseguire mentalmente due compiti immaginari, mentre l’attività mentale veniva seguita con lo scanning della risonanza magnetica funzionale. In uno dei compiti assegnati, la paziente doveva immaginare di giocare una partita a tennis e, nell’altro, doveva immaginare di visitare tutte le stanze della propria casa, a partire dalla porta d’ingresso. Sia nel primo rilevamento sia nel secondo è stato osservato un segnale significativo proprio nelle zone cerebrali la cui attivazione avviene in corrispondenza di tali specifiche attività. La risposta neurologica della ragazza era identica a quella osservata nell’esperimento di controllo (volontari sani che svolgevano gli stessi compiti immaginari). Secondo gli autori dello studio, questi risultati confermano che la paziente aveva conservato la capacità di comprendere comandi vocali e di rispondere ad essi mediante l’attività cerebrale, anziché con le parole o il movimento. Si intravede dunque la possibilità di utilizzare un metodo mediante il quale alcuni pazienti che non riescono a comunicare, compresi quelli con diagnosi di stato vegetativo, o cosciente a livelli minimi, possono utilizzare le residue capacità cognitive per comunicare i pensieri a chi sta loro vicino, mediante la modulazione della propria attività neurologica.

Paesi del Terzo mondo

Per la maggior parte, la ricerca biomedica e lo sviluppo delle nuove tecnologie sono indirizzate a soddisfare i bisogni dei paesi industrializzati. Anche in questo campo viene confermato il “10/90 gap” registrato dagli organismi internazionali, per cui il 90% delle spese per la ricerca biomedica viene destinato ai problemi di salute del 10% della popolazione mondiale. La diffusione della prevenzione e delle terapie necessarie è ancora molto carente nei paesi in via di sviluppo, sebbene in tutto il mondo ci siano gruppi di ricerca che si dedicano all’applicazione delle nuove tecnologie per risolvere i problemi sanitari dei paesi poveri e negli ultimi anni anche in Cina e in India sia stato dato un forte impulso all’avanzamento di biotecnologie e sviluppi terapeutici all’avanguardia per la cura delle malattie. Mentre nei paesi occidentali le malattie più diffuse sono di tipo degenerativo, spesso collegate all’invecchiamento della popolazione (Parkinson, malattie cardiovascolari, diabete, obesità), nei paesi in via di sviluppo sono dovute alle condizioni di vita precarie e alla mancanza di cibo e di acqua. Patologie banali che possono essere prevenute e curate con terapie molto semplici, nelle popolazioni più povere sono spesso causa di morte. A questo proposito le Nazioni Unite hanno fissato tra gli obiettivi da raggiungere entro il 2015 (Millennium Development Goals) per il miglioramento della situazione sanitaria nei paesi poveri, la riduzione della mortalità infantile, la lotta contro l’HIV/AIDS, la malaria, la tubercolosi e le altre malattie infettive, la diffusione dell’acqua potabile e delle medicine essenziali.
Si calcola che ogni anno muoiano a causa delle malattie infettive più di undici milioni di persone, di cui tre milioni per malattie contro le quali esiste già un vaccino efficace (epatite B, influenza, tetano, colera, morbillo). L’OMS ha stilato un elenco delle dieci più importanti biotecnologie utili per migliorare le condizioni sanitarie dei paesi in via di sviluppo; tra queste ci sono i nuovi metodi per la diagnosi delle malattie infettive ed ereditarie e le tecnologie ricombinanti per lo sviluppo di vaccini. Ad esempio, sono stati messi a punto dei test diagnostici per l’HIV basati sull’utilizzo della PCR (reazione a catena della polimerasi), economici e semplici da eseguire su piccolissimi campioni di sangue; oppure, degli stick immunologici predisposti per l’individuazione della Salmonella typhi, da eseguire anche in assenza di laboratori medici. In questo modo si possono eseguire degli screening di popolazioni a costi contenuti. Un altro “obiettivo del millennio” si propone di debellare la tubercolosi mediante l’introduzione di nuovi metodi di screening della malattia, anche allo stadio latente, e di farmaci innovativi. Per quanto riguarda la malaria, non è stato possibile finora produrre un vaccino efficace, mentre si sta studiando una strategia per diffondere una zanzara anofele maschio resa sterile mediante modificazione genica. A tutt’oggi, gli insetticidi sono l’unico deterrente contro questa malattia che uccide due milioni di persone all’anno. Il sequenziamento del genoma delle principali specie di zanzara rende possibile l’individuazione delle mutazioni che rendono questi insetti resistenti agli insetticidi. Negli ultimi anni è stato completato il sequenziamento del genoma di numerosi batteri e virus; grazie a questo tipo di informazione si possono progettare dei farmaci che impediscano l’azione dei patogeni, o che ne colpiscano il metabolismo. Anche diversi vaccini contro l’HIV e l’epatite C sono in fase di trial in vari paesi; poiché l’80% del costo dei vaccini è dovuto al trasporto e alla refrigerazione, si cerca di introdurre vaccini ricombinanti somministrabili per via orale, che non abbiano bisogno di molti richiami successivi, come pure farmaci ricombinanti (insulina, interferone, antivirali), economici e facilmente trasportabili.