L'innovazione nella pubblica amministrazione: tra gerarchia e contratto

Written by Giuseppe Della Rocca Tuesday, 16 March 2010 19:07 Print

La riflessione sull’innovazione nella pubblica amministrazione prende le mosse da una serie di mutamenti importanti: tra questi, ricopre una importanza particolare il fenomeno che è definito come “contrattualizzazione dell’azione amministrativa” e che ha portato all’affermarsi di una concezione bilaterale, in luogo della tradizionale unilateralità, nei rapporti, ad esempio, tra Stato e dipendenti pubblici. Il dibattito sulle conseguenze di tali mutamenti è ancora in corso e ha dato adito a interpretazioni divergenti.

 

L’innovazione

Negli ultimi decenni del secolo scorso vi è stato in tutti i paesi occidentali un ripensamento sul ruolo dello Stato e della burocrazia. I fattori che hanno indotto a cercare un modo diverso di interpretare e far funzionare l’amministrazione pubblica possono così essere riassunti: competizione internazionale; difficoltà degli Stati nazionali nel governo dell’economia e delle risorse pubbliche; domanda di qualità ed efficacia dei servizi in società in cui si è raggiunto comunque un certo grado di benessere e di protezione sociale dei cittadini; influenza dell’identità post materialista1 per cui i cittadini si preoccupano della qualità della loro vita e non solo di questioni economiche; nuovo individualismo e pressione verso una maggiore partecipazione alle decisioni e ad una democratizzazione dello Stato; persistente insoddisfazione verso progressivi incrementi del prelievo fiscale e apprensione per la crescita della spesa pubblica.
Tutti questi fattori hanno portato a concepire l’azione del governo e dell’amministrazione come una rete di transazioni e di accordi con l’intento di dare maggior spazio alla responsabilità e all’autonomia dei soggetti: individui, amministrazioni, parti sociali. Questo fenomeno è stato chiamato “contrattualizzazione dell’azione amministrativa”, espressione che afferma il principio dei rapporti di scambio e di responsabilità dei soggetti che si affianca (e in alcuni casi si sostituisce) ad una dimensione gerarchica per norme e procedure, sia per quanto riguarda la decisione che la realizzazione del bene pubblico. Tale processo viene oggi discusso da più parti: da un lato ne viene messa in dubbio la validità come espediente per la razionalizzazione e l’efficacia dell’organizzazione pubblica; e, dall’altro, è invece indicato come unica strada che consenta una innovazione effettiva non solo per quanto riguarda l’efficienza delle amministrazioni, ma anche per quanto riguarda il rapporto con i cittadini.
Le prassi che hanno cercato di promuovere questo tipo di cambiamento sono più di una. Tra queste, vi è quella del “nuovo management pubblico” come tentativo di innovazione promosso da agenzie internazionali, per reinventare alcuni meccanismi interni della gestione (management) degli apparati pubblici in tutti i paesi occidentali. Con il modello del nuovo management pubblico, l’amministrazione non è più considerata come un’organizzazione omogenea, con strutture, regole e metodi di direzione e conduzione identiche e uniformi, ma piuttosto come un arcipelago di amministrazioni con strategie e strutture tra loro diverse, con servizi e prodotti, anche in competizione tra loro e di conseguenza anche con problemi di razionalizzazione organizzativa per poter competere e affermarsi.2
In questo tipo di lettura sono in primo luogo esplicitate le indicazioni che riguardano la struttura della pubblica amministrazione per ridurre le grandi amministrazioni, ad esempio i ministeri, in unità autonome dimensionate su un solo tipo di servizio e prodotto, onde cercare di evitare sovrapposizione di responsabilità e di compiti e di realizzare una maggiore trasparenza sui costi e sui risultati. La seconda è data dalla formula del “quasi mercato” per cambiare le relazioni tra il decisore politico e l’amministrazione, tra le stesse amministrazioni, tra queste ultime e i cittadini e le imprese private nell’implementazione delle politiche pubbliche e nella valutazione dei risultati. Si estende in questo modo la pratica dell’appalto o della concessione per l’esercizio di un servizio pubblico, si cerca di porre le condizioni per una possibile competizione tra unità pubbliche, o tra queste ultime e le imprese private, o tra le imprese private stesse, per acquisire progetti o concessioni di servizi pubblici. La terza indicazione, logica conseguenza delle prime due, si basa sulla diffusione, nel settore pubblico, di tecniche di gestione derivate dal mondo imprenditoriale privato e utilizzate per la verifica dei risultati e l’efficienza delle organizzazioni. Il termine, utilizzato da alcuni autori, è quello di “professional manager” per indicare e privilegiare una cultura aziendale di gestione dei bilanci, delle risorse, di responsabilità del dirigente pubblico nel conseguimento dei risultati, rispetto ad una di tipo giuridico legale.
Una prassi in parte diversa da quella del nuovo management pubblico, ma con dimensioni istituzionali più ampie, è quella della governance. Il concetto di governance viene a coincidere con quello di coordinamento tra le diverse forme di organizzazione del potere politico decisionale. Con riferimento alle riforme amministrative il termine è utilizzato in contrapposizione a quello di government e si riferisce al superamento o alla dissoluzione delle forme dirigistiche e verticali con l’emergere di relazioni orizzontali e cooperative tra Stato e società.
Mentre le indicazioni del nuovo management sono condizionate da una cultura organizzativa di tipo aziendale e più in generale da una di tipo individualistico competitiva, l’approccio della governance fornisce una prospettiva non solo fondata sull’efficienza ma anche sulla legittimità dell’azione pubblica, sulla comunità e sull’equità dei servizi erogati. Questa scelta per l’innovazione dell’organizzazione pubblica è stata molto enfatizzata anche grazie a nuove forme di solidarietà tra amministrazioni e di reti di collaborazione con associazioni e imprese private per costruire e realizzare politiche pubbliche che il singolo ente da solo non riuscirebbe a conseguire. Sono consorzi tra amministrazioni, associazioni o imprese che agiscono con finanziamenti pubblici, ma in parte al di fuori della sfera del pubblico impiego. Queste associazioni costituiscono una costellazione variegata di gruppi di interesse, di self help, di reti di cooperazione, di attività di volontariato, di imprese che integrano l’intervento pubblico o colmano le insufficienze o il vuoto lasciato dal progressivo ritiro del welfare State. Agiscono in tutti questi casi non in alternativa all’organizzazione pubblica ma ne sono, spesso, complementari.
Complementare e parte integrante sia del nuovo management sia dell’indirizzo della governance è l’estendersi di una prassi di ascolto, di comunicazione, di discussione e in alcuni casi di decisione con i cittadini. Tale prassi si articola in più metodologie operative e risponde in alcuni casi ad una evoluzione della scienza politica come: la customer satisfaction sperimentata in più paesi (per i sostenitori del nuovo management rappresenta un surrogato del mercato, mentre per altri non è solo uno strumento di management e di simulazione di un mercato, ma uno strumento di ascolto per una verifica di come i cittadini qualificano l’amministrazione); oppure il “bilancio sociale” come documento pubblico, annuale e pluriennale, che rende leggibile ai cittadini il valore aggiunto promosso dal lavoro dell’amministrazione. Tutte queste esperienze si riallacciano al tema ben più ampio, della “democrazia deliberativa” come prassi che nasce e si sviluppa a rafforzamento della democrazia rappresentativa e si riferisce in generale ad un processo basato sulla discussione pubblica sulle decisioni inerenti il governo di una comunità tra individui liberi e uguali.3

Il contratto

Nuovo management pubblico, governance, partecipazione dei cittadini conducono ad un mutamento del processo decisionale con il ricorso al “contratto” e ad un negoziato che dà luogo ad accordi bilaterali o plurilaterali, in sostituzione della gerarchia e della unilateralità sia nelle decisioni sia nell’implementazione delle politiche pubbliche. Con questa prassi contrattuale si indebolisce alquanto la distinzione tra atti di diritto pubblico (che sono unilaterali e hanno un contenuto imperativo in quanto regolano interessi pubblici) e atti di diritto privato (contratti bilaterali a cui si applicano le norme di diritto comune).
Tuttavia il ricorso al contratto può assumere diverse forme. Quella più classica e nota è di fatto una transazione di mercato tra un attore pubblico e uno privato, come l’appalto, utilizzata in tutti i paesi, ma segnatamente nel Regno Unito. Il pubblico in questo caso vende servizi in concessione per un periodo di tempo, a uno o più potenziali acquirenti (tra questi ultimi si possono includere anche altre amministrazioni o enti pubblici). Oppure quelle forme ispirate da una logica di governance che poco hanno a che vedere con l’acquisto o la vendita di un servizio sul mercato, ma che hanno la finalità innanzitutto di regolare, in modo contrattuale, questioni tipicamente pubbliche come ad esempio una delega operativa tra un agente pubblico principale e una seconda istituzione pubblica; o diversamente contratti di cooperazione con la formazione e la gestione operativa di consorzi per la tutela dell’ambiente, l’ordine pubblico, la politica delle infrastrutture, la fornitura di servizi.4 Molta letteratura sul nuovo management si è focalizzata sul primo tipo di contratti, ma è il secondo tipo, quello dei contratti di cooperazione, ad avere avuto una diffusione altrettanto consistente specialmente nei paesi scandinavi e anche in parte in Italia come nel caso dei patti territoriali e dei contratti di area.5
Un altro fenomeno, anch’esso di vaste dimensioni, che ha modificato non solo i rapporti tra amministrazione e personale, ma anche lo status giuridico del dipendente pubblico, è quello dell’esplosione della contrattazione collettiva. Mentre, in generale, nell’ultima parte del secolo scorso si è registrato un declino della contrattazione collettiva nel settore privato (dove aveva avuto origine), nel settore pubblico si è assistito invece al fenomeno inverso. Anche in questo caso, la gestione attraverso l’accordo, il contratto collettivo tra Stato e organizzazioni sindacali, subentra all’unilateralità nelle decisioni per la regolazione dei rapporti di lavoro dei pubblici dipendenti. Fenomeno che si è diffuso un po’ ovunque anche se in modo discontinuo e seguendo le diverse originalità dei modelli nazionali di amministrazione.6
Per unilateralità si intende, in questo caso, che soltanto il datore di lavoro, cioè lo Stato attraverso l’atto legislativo, è titolato, nell’interesse generale del paese, a definire i salari, gli orari, le condizioni e la stessa disciplina del lavoro (e, di conseguenza, i dirigenti sono titolati a procedere all’assegnazione di compiti, incarichi, mobilità, trasferimenti, orari ecc). Procedura da sempre giustificata dal fine di evitare il diffondersi, nell’organizzazione burocratica, di interessi di parte, di gruppi, che per quanto estesi non saranno mai in grado di rappresentare l’intera collettività alla quale lo Stato nazionale deve rendere conto. Il diffondersi della contrattazione collettiva ha introdotto un metodo di decisione bilaterale, le condizioni di lavoro sono definite non solo dal governo e dall’amministrazione, ma anche dalle rappresentanze dei lavoratori pubblici, i sindacati, attraverso contratto e non per legge o procedimento amministrativo imposto dall’alto con decisione unilaterale. Questo processo non è di poco conto, se si considera il cambiamento di status del dipendente pubblico e la rottura della dimensione gerarchica che questo passaggio ha provocato in alcuni paesi. La bilateralità presuppone infatti, nei paesi in cui il diritto amministrativo definisce lo status pubblico del rapporto di impiego, il passaggio al diritto comune, a quella che è stata chiamata, in Italia, la “privatizzazione” del rapporto di lavoro.7

Le interpretazioni

Il tema della contrattualizzazione dell’organizzazione dà adito a diverse interpretazioni sul futuro della burocrazia. Una, quella auspicata da molti governi e da alcuni referenti internazionali come l’OCSE, ritiene che nonostante le difficoltà sia in corso un processo irreversibile, seppure lento, verso una “aziendalizzazione” e “professionalizzazione” del servizio pubblico. Una seconda interpretazione, invece più pessimistica, vede una disintegrazione dello Stato legale con un’immagine della pubblica amministrazione come un nuovo e grande mercato e la rinascita di un assai florido nuovo “patrimonialismo”. Una terza interpretazione, proprio sulla base degli stessi fenomeni, vede una continuità con il passato e una propria inerzia istituzionale della burocrazia. Per i sostenitori di questa terza interpretazione, seppure in crisi, lo Stato non cambia, le diverse tradizioni e modelli di burocrazia possono stare tranquilli, troveranno nel tempo una loro continuità e una loro legittimazione.
In favore dell’aziendalizzazione e dell’efficienza ed efficacia dei servizi si può ritenere che la svolta contrattuale nei processi decisionali consenta di realizzare obiettivi di spesa senza incorrere in asperità procedurali. Secondo i sostenitori di questa tesi gli accordi, come quelli che intercorrono tra ministeri e agenzie operative pubbliche, nei casi dei paesi anglosassoni e di quelli scandinavi, contribuiscono a rendere più trasparente le responsabilità specifiche di entrambi gli interlocutori. Oppure, più in generale, tali accordi sono utilizzati per ragioni di efficacia funzionale e in risposta ad una pressione della società civile, come ricerca di maggiore partecipazione anche attraverso costanti accomodamenti tra diversi interessi. Il contratto quindi non come scelta non razionale, al di fuori del procedimento legale e amministrativo, ma come essenza stessa della democrazia. Le stesse argomentazioni possono essere utilizzate per quanto riguarda la contrattazione collettiva. Questa ultima è da considerarsi come il risultato di un processo di democratizzazione rispetto ad una sfida unilaterale dell’amministrazione nello stabilire le condizioni di lavoro dei propri dipendenti e allo stesso tempo come strumento in grado di consentire maggiore efficacia alla stipula dei rapporti di lavoro e al management del personale.
L’immagine che viene richiamata non è quindi solo quella dell’efficienza, ma anche del pluralismo e della governance. L’intervento dello Stato oggi, con la presenza nella società di interessi, associazioni diverse, non può essere governato solo attraverso la gerarchia bensì, anche se non essenzialmente, attraverso quello del contratto.
La maggiore efficienza delle amministrazioni e dei provvedimenti attraverso la logica del contratto, l’introduzione di logiche di mercato, lo stesso pluralismo creano le condizioni per nuove forme di patrimonialismo. Se si chiede alle strutture pubbliche, ad esempio alle agenzie, di comportarsi come aziende, si ha una distorsione del bene pubblico. In questo caso il servizio è fornito nell’intensità e nella qualità richiesta, ma avviene non attraverso il principio universalistico di solidarietà bensì attraverso l’ability to pay del governo e dell’ente pubblico o privato delegato a svolgere tale funzione. Secondo alcuni autori viene così leso il diritto fondamentale della democrazia. Se gli individui, infatti, hanno acquisito il diritto a questi beni e servizi, così come il diritto di voto, in virtù del proprio status di cittadini, e se questi sono messi sul mercato, o sono vincolati a logiche di questo tipo, si assiste ad un declino del valore della cittadinanza. Declino che è, a maggior ragione evidente, se il cittadino non esercita a sua volta alcun tipo di controllo.8 L’ascolto dei cittadini e la loro partecipazione alla discussione e alle decisioni, come previsto dai fautori della democrazia deliberativa, sono, infatti, a tutt’oggi piuttosto deboli nella modernizzazione in atto. La partecipazione è data nel migliore dei casi ad agenti pubblici e privati organizzati come le imprese, ma le possibilità di scelta e di contare a titolo individuale, anche attraverso meccanismi di quasi mercato o di voice, come è stato auspicato da alcuni autori,9 è molto ridotta.
L’offerta d’ottimizzazione delle risorse e dei servizi al cittadino non ha infatti le stesse opportunità di controllo e di verifica da parte dell’utenza di quelle riscontrabili nelle forme di regolazione di mercato.10 L’adozione di metodologie quali quelle della misurazione della produttività o il management-by-objectives, o ancora altre forme di valutazione e individuazione dei risultati, non riesce a trovare un’applicazione diffusa e non dà origine, o contribuisce, a definire standard di prodotto-prestazione universalmente riconosciuti e comprensibili alla gente comune. Nella gran parte dei casi gli utenti non possono sostituire i fornitori, di cui sono eventualmente insoddisfatti, in quanto non esistono alternative all’offerta di beni collettivi. A loro volta procedure di ascolto del cittadino, per verificare il grado di soddisfazione dell’utenza, risultano, rispetto alle regole di mercato, poco efficaci e costose.
Si ricostituisce in questo modo una forma di “neopatrimonialismo”. Il richiamo in questo caso è direttamente riferito al declino del modello dell’autorità legale dello Stato ad opera non del monarca o del decisore assoluto come a suo tempo affermava Weber, ma ad opera di una classe autoreferenziata. Il neopatrimonialismo così definito può affermarsi attraverso il negoziato che favorisce relazioni molto personalizzate, gestite da cerchie chiuse di notabili al vertice delle amministrazioni, in contrasto con il mito dell’impersonalità che domina lo Stato di diritto. Proprio perché non vi è una privatizzazione e un mercato definitivo, sia nei casi di appalto né in quelli di partnership finanziaria, la relazione tra autorità pubblica e fornitore diventa costante per cui il lobbysmo e le tentazioni di mutuo scambio di favori e di rapporti clientelari diventano un fatto permanente.11
Si creerebbe in questo modo una classe speciale con potere su molti aspetti della vita pubblica e direttamente legata al mondo degli affari, non più controllata dalle procedure democratiche, in grado di privilegiare esclusivamente principi aziendali di economicità dei risultati a danno dei diritti comuni. Si avrebbe in questo caso una perdita di identità e di etica collettiva del management pubblico in favore di una personalizzazione dei propri interessi. La contrattazione collettiva, e la difesa dei diritti sindacali dei dipendenti pubblici, può essa stessa introdurre elementi di neopatrimonialismo; secondo una tesi ricorrente, grazie alla stessa pervasività della contrattazione collettiva12 si otterrebbe non un nuovo universalismo, ma un’enfasi eccessiva degli interessi di parte, in palese contrasto con l’esercizio dell’interesse generale e dei cittadini.
Una terza interpretazione sostiene che le istituzioni non cambiano. Difficilmente sono sradicabili e tendono, “per natura”, ad inibire grandi trasformazioni rispetto al loro statu quo. Rimangono importanti nella cultura della burocrazia i codici, i simboli, i fatti cognitivi che determinano i comportamenti e le strategie delle strutture e dei ruoli organizzativi. Selznick nel 1957 e altri recenti autori descrivono però questo fenomeno anche come il modo per cui le organizzazioni perdono di vista gli obiettivi originari e si dedicano al proprio esclusivo mantenimento e agli interessi dei loro occupanti. In questo modo l’organizzazione pubblica è vissuta più come fine che come mezzo.
Sono quindi queste le principali considerazioni a fare discutere, sui valori e sull’importanza dell’innovazione della pubblica amministrazione. Innovazione che non solo non è conclusa, ma è ancora priva di un’ampia legittimazione, sia a livello nazionale sia internazionale, delle sue linee guida, in particolare rispetto a quale spazio lasciare alla legge e al carattere normativo nella gestione del bene pubblico e quale invece al contratto. Come la diffusione del concetto di libertà e autonomia delle amministrazioni e degli stakeholders può essere governata senza ricondurre all’ipotesi della pura e semplice inerzia istituzionale, del semplice ritorno alla gerarchia oppure alla navigazione a vista?

 


 

Note

[1] La definizione è di R. Inglehart, La società postmoderna: mutamento, ideologie e valori in 43 paesi, Editori Riuniti, Roma 1998.

[2] Questo modello lo si ritrova in OECD, Governement in Transition, the Public Management Rreform in the OECD Countries, Parigi 1995 e in E. Ferlie, L. Ashburner, L. Fitzgerald, A. Pettigrew, The New Public Management in Action, Oxford University Press, Oxford 1996.

[3] L. Pellizzoni, La deliberazione pubblica, Meltemi, Roma 2005.

[4] L. Bobbio, Produzione di politiche a mezzo di contratti nella P.A. italiana, in “Stato e mercato”, 58/2000.

[5] Sono, ad esempio per l’Italia, gli accordi di programma (1985-90), in cui le amministrazioni contraenti assumono impegni reciproci per il futuro; le conferenze dei servizi (1987), in cui le amministrazioni si limitano a consentire uno specifico intervento; la programmazione negoziata (1995), che ripropone un ripensamento complessivo delle leve e delle procedure per lo sviluppo dopo il venir meno dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno; i patti territoriali, che prevedono accordi comuni tra enti locali e privati per lo sviluppo di un’area territoriale. Sono formule quadro per un’attività contrattuale inerente: insediamenti industriali, opere pubbliche e infrastrutture, sviluppo economico locale, politiche ambientali, politiche di sicurezza, riqualificazione urbana, relazioni tra Stato e Regioni, relazioni tra enti locali (utilizzo congiunto di personale e di mezzi, di competenze, di progetti, di servizi, di atti amministrativi). Si veda D. Cersosimo, G. Wolleb, Economie dal basso. Un itinerario nell’Italia locale, Donzelli, Roma 2006.

[6] S. Bach, L. Bordogna, G. Della Rocca, D. Winchester (a cura di), Public Service Employment Relations in Europe, Routeledge, Londra 1999.

[7] P. Alleva, G. D’Alessio, M. D’Antona (a cura di), Nuovo rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, Ediesse, Roma 1995.

[8] C. Crouch, Postdemocrazia, Laterza, Bari-Roma 2003.

[9] A. Giddens, La terza via, manifesto per la rifondazione della socialdemocrazia, Il Saggiatore, Milano 1999.

[10] C. Pollitt, G. Bouckaert, La riforma del management pubblico, Egea, Milano 2002.

[11] Crouch, op. cit.

[12] C. Dell’Aringa, G. Della Rocca (a cura di), Pubblici dipendenti; una nuova riforma? Rubbettino, Soveria Mannelli 2007.