La politica e la bioetica

Written by Ignazio R. Marino Friday, 01 September 2006 02:00 Print

Da molti anni illustri studiosi si occupano di studiare le questioni legate alla bioetica, ovvero alla scienza che si occupa dell’approfondimento e della definizione dell’etica della vita umana. In tempi molto recenti si riscontra tuttavia un significativo aumento dell’attenzione rivolta a questi temi, non solo nell’ambito intellettuale, ma anche da parte dell’opinione pubblica più in generale e, come diretta conseguenza, dei mass media. La bioetica resta un campo di studi molto complesso, difficile da definire entro precisi limiti e tanto più vasto quanto più la conoscenza scientifica si avvicina allo studio della vita stessa, delle sue origini, della sua essenza.

 

Da molti anni illustri studiosi si occupano di studiare le questioni legate alla bioetica, ovvero alla scienza che si occupa dell’approfondimento e della definizione dell’etica della vita umana. In tempi molto recenti si riscontra tuttavia un significativo aumento dell’attenzione rivolta a questi temi, non solo nell’ambito intellettuale, ma anche da parte dell’opinione pubblica più in generale e, come diretta conseguenza, dei mass media. La bioetica resta un campo di studi molto complesso, difficile da definire entro precisi limiti e tanto più vasto quanto più la conoscenza scientifica si avvicina allo studio della vita stessa, delle sue origini, della sua essenza. È una disciplina che si è sviluppata in parallelo al sorprendente progresso scientifico e tecnologico che ha caratterizzato la storia dell’uomo dell’ultimo secolo, non tanto per delimitare il campo delle ricerche condotte nel rispetto della libertà necessaria al progresso della scienza, ma piuttosto per capire quali applicazioni e quali conseguenze si potranno verificare a partire dai risultati ottenuti dagli studi scientifici. La bioetica si è poi sviluppata come etica della scienza dal momento che quest’ultima non può, per definizione, fissare autonomamente i confini entro cui agire e quindi in qualche modo autolimitarsi.

 

La politica di fronte alla bioetica

In questi ultimi anni, in Italia come in molti altri paesi del mondo, la bioetica e i temi eticamente sensibili sono usciti dal ristretto circolo di discussione di specialisti e accademici e hanno progressivamente occupato uno spazio sempre più ampio, sia nel dibattito pubblico che nell’agenda della politica. Il motivo di tanta attenzione non va ricondotto, a mio modo di vedere, ad un nuovo approccio della politica verso temi delicati che riguardano la vita dei cittadini. Non si tratta, come a volte è stato detto e scritto, di una «invasione» dello Stato nella sfera della coscienza individuale dei cittadini, quanto di una vera e propria necessità, anche dal punto di vista legislativo, di individuare delle regole che siano valide per tutti, se possibile non solo nell’ambito dei singoli Stati nazionali ma a livello internazionale. Nel momento, infatti, in cui emergono nuovi problemi che influiscono direttamente sulla vita sociale del paese e di ogni singolo cittadino, si richiede da parte del legislatore e di chi ha la responsabilità di amministrare e governare un paese, la definizione di un quadro di regole senza il quale, in certe materie, non avrebbe il sopravvento la libertà della scienza ma il caos.

Nello stabilire i principi che sovrintendono le questioni eticamente rilevanti, da parte della politica non è sufficiente il richiamo alla libertà di coscienza, che non va negata e va sempre rispettata, ma non può finire col diventare un alibi, una via di fuga dal dovere di affrontare in maniera approfondita e rappresentativa delle differenti sensibilità, i temi che si pongono all’attenzione di noi tutti.

È inoltre importante sottolineare che le questioni eticamente sensibili sono nella maggior parte dei casi talmente complesse da rendere difficile, se non impossibile, una contrapposizione netta tra due modi di vedere e giudicare le cose, e di conseguenza risulta semplicistica e non adatta una divisione tra conservatori contro riformisti, credenti contro laici, destra contro sinistra. Tra coloro che intellettualmente e sinceramente si impegnano in questo dibattito, non valgono più le regole stabilite all’epoca delle battaglie cosiddette «storiche», condotte per esempio sul divorzio e sull’aborto. Allora gli schieramenti erano molto più netti e, benché anche all’epoca esistesse il rispetto della libertà di coscienza del singolo, le bandiere sotto cui riconoscersi erano chiaramente contrapposte ed evidenti. Oggi questa barriera si è dissolta sotto il peso di questioni ancora più cruciali di quelle affrontate in passato, che riguardano ogni essere umano non solo nella sua sfera privata, ma nella sua stessa essenza.

Le decisioni, ad esempio, su quali limiti porre all’utilizzo e alla manipolazione degli embrioni, che potrebbero risultare molto utili ai fini della ricerca scientifica, non possono essere considerate un affare privato, tanto meno religioso (come se la tutela e la protezione dell’embrione fosse un principio che appartiene ad una sola parte e non a tutti gli esseri umani) e a mio avviso non dovrebbero essere nemmeno affrontate come questioni nazionali, che ogni singolo paese porta avanti in maniera indipendente. Si tratta, evidentemente, di temi che valicano i confini e le frontiere ma che, purtroppo, finiscono per essere affrontati in maniera frammentaria e spesso non coerente.

D’altra parte, è comprensibile che quando i parlamenti si trovano a legiferare su questioni che riguardano la vita, la famiglia, l’organizzazione della società, entrino in gioco le differenti visioni del mondo. E in un sistema politico bipolare questo atteggiamento, come abbiamo avuto modo di notare recentemente in occasione della discussione sulla legge per la fecondazione medicalmente assistita, porta ad una polarizzazione e ad una contrapposizione anche sui temi eticamente sensibili. Ma anche ad una variegata trasversalità all’interno delle varie componenti dei due poli. L’Italia di oggi si presta molto bene a rappresentare questo tipo di difficoltà della politica: la necessità di regolamentare materie come la fecondazione assistita, l’uso delle cellule staminali embrionali a favore della ricerca scientifica, le unioni civili, le leggi sulla fine della vita hanno messo in evidenza una diversa e opposta visione tra il centrodestra e il centrosinistra, ma con molti distinguo e difficoltà di dialogo all’interno dei due schieramenti. Fatta questa necessaria premessa, è tuttavia utile chiarire che molte delle difficoltà con cui la politica si trova oggi a confrontarsi sono da attribuire alla scarsa conoscenza degli argomenti scientifici, spesso molto complessi e articolati, e al mancato approfondimento dei dettagli tecnici. Così la politica, occupandosi di temi eticamente sensibili, assume troppo spesso comportamenti che vanno nella direzione diametralmente opposta da quella indicata dalla bioetica.

 

Il programma del centrosinistra alla prova dei fatti

«Bioetica e temi eticamente sensibili: nuovi diritti e nuove responsabilità. Sui temi eticamente sensibili come quelli della bioetica la politica si trova oggi su una nuova frontiera. Essa è chiamata a pronunciarsi con gli atti legislativi richiesti per regolare fenomeni che pongono problemi nuovi alla società e interpellano le coscienze. Su questi temi, l’Unione si impegna a legiferare con attenzione, fedele al principio della laicità dello Stato, attenta all’equilibrio tra le libertà e le responsabilità delle persone, nel rispetto dei convincimenti etici e religiosi di ciascuno, aperta all’ascolto e al dialogo. Sul tema dei nuovi diritti e delle nuove responsabilità che emergono in una società che cambia, l’Unione si impegna a promuovere strumenti giuridici capaci di offrire adeguata e giusta tutela alle esigenze della comunità e ai diritti civili e sociali delle persone».1 Le dichiarazioni di intenti contenute nel vasto programma messo a punto dall’Unione in occasione della campagna elettorale per le scorse elezioni politiche, sono state ben presto messe sul banco di prova su una delle questioni più spinose e complesse: quella relativa all’utilizzo delle cellule staminali di origine embrionale da destinare alla ricerca. Il tema, già ampiamente e animatamente dibattuto nel nostro paese, ha assunto il carattere di urgenza nel momento in cui è stato affrontato in sede europea. Lo scorso 24 luglio si è infatti riunito a Bruxelles il Consiglio europeo, rappresentato dai ministri della ricerca di tutti i paesi membri; all’ordine del giorno dei lavori il Settimo programma quadro per la ricerca, ovvero quale destinazione dare ai finanziamenti (50,4 miliardi di euro per il periodo 2007-2013) che l’Europa ha deciso di mettere a disposizione dei progetti scientifici. Fra i numerosi programmi da finanziare, che spaziano dall’energia ai trasporti, dall’ambiente all’aerospaziale ecc., la maggiore attenzione è stata dedicata alla ricerca sulle cellule staminali. In merito a questo argomento, complesso per le implicazioni etiche, i ministri riuniti a Bruxelles hanno deciso che l’Unione europea sosterrà i progetti che utilizzano le cellule staminali adulte e quelle del cordone ombelicale, mentre non sosterrà la ricerca sulla clonazione né quella che prevede di utilizzare cellule staminali embrionali ottenute dalla distruzione di embrioni umani. I fondi europei non andranno quindi in nessun modo finalizzati alla distruzione di embrioni a scopo di ricerca. Gli unici studi che potranno essere portati avanti con finanziamenti europei saranno quelli che utilizzano linee cellulari già esistenti.

L’Europa, dunque, ha scelto una linea di prudenza nei confronti di una materia tanto delicata come quella degli embrioni umani, e ha fatto valere il principio generale di precauzione che anche il parlamento italiano aveva raccomandato. Al di là delle valutazioni sulla conclusione della vicenda, vale la pena cercare di capire come si è giunti alla decisione avendo presente in che cosa consiste questa ricerca così importante e al tempo stesso tanto contestata. Cercando di semplificare il più possibile, ricordiamo che attualmente nel mondo esistono all’incirca settanta progetti sperimentali, applicati sull’uomo, che utilizzano le cellule staminali adulte. Alcune di queste sperimentazioni hanno dimostrato risultati positivi, per esempio nella cura della cecità per danni corneali o nel trapianto di midollo per la cura di alcune leucemie e altre malattie del sangue. Si sono poi ottenuti buoni effetti nel trattamento di gravi ustioni, grazie al trapianto di epidermide creata in laboratorio, e alcuni risultati nella cura di malattie del cuore in cui le cellule staminali sono state utilizzate per riparare il tessuto cardiaco. Quanto ottenuto fino ad oggi fa ben comprendere l’importanza di finanziare a livello europeo i progetti di ricerca più promettenti.

Al momento, invece, non esiste alcun protocollo clinico in sperimentazione sull’uomo che utilizzi le cellule staminali di origine embrionale. La ricerca, infatti, non è ancora arrivata allo stadio di poter trasferire sull’uomo le scoperte fatte fino ad ora in laboratorio. Questo non significa che le cellule embrionali non potrebbero dimostrarsi anche più utili di quelle adulte, anzi, i presupposti scientifici fanno supporre che le loro potenzialità siano ancora maggiori, ma è corretto sottolineare che ad oggi non ci sono ancora prove in tal senso.

Ritornando all’Europa, la scelta della prudenza va accettata e rispettata, anche se un peccato di omissione Bruxelles lo ha commesso, indicando che la ricerca può essere condotta sulle linee cellulari di staminali embrionali esistenti, ma non specificando alcuna data entro la quale queste cellule devono essere state prodotte per essere utilizzabili. Questo implicitamente significa che se un paese extra-europeo oggi prelevasse da un embrione le cellule staminali e domani le mettesse in vendita, l’Europa potrebbe acquistarle senza problemi e procedere liberamente nel condurre le ricerche.

L’ambiguità non è molto diversa da quella contenuta nella nostra legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita, che vieta l’utilizzo degli embrioni a scopo di ricerca ma non proibisce la ricerca sulle cellule embrionali. In questo modo nei laboratori italiani le linee cellulari vengono legalmente acquistate dall’estero e poi studiate nei centri specializzati sul territorio nazionale.

Una certa ambiguità fa sì che sulla carta in Europa non sia permesso di toccare gli embrioni, in nome del principio di precauzione condiviso dalla maggioranza delle sensibilità e per rispetto della sacralità della vita umana, tutti principi assolutamente legittimi e condivisibili. Tuttavia, se qualcun altro, in un paese dove la legislazione è meno restrittiva, fa il lavoro «sporco», per noi allora è tutto a posto e quindi ben vengano le preziose cellule che si possono acquistare dall’estero per fare progredire la scienza. Comunque, polemizzare non serve a nulla, meglio guardare avanti e capire quello che ci aspetta. Oggi, in effetti, la comunità scientifica nel suo complesso concorda nel sostenere che non vadano creati embrioni umani ad hoc con lo scopo di distruggerli per prelevarne cellule staminali. In questo settore i progressi della scienza sono rapidissimi e con molta probabilità in futuro sarà possibile creare in laboratorio delle cellule con la stessa pluripotenzialità delle staminali embrionali senza passare per la creazione o la distruzione di embrioni.

Uno studio pubblicato sulla rivista «Nature»2 lo scorso gennaio ha dimostrato, infatti, negli animali da laboratorio, la possibilità di produrre cellule staminali pluripotenti senza ricorrere agli embrioni. Il metodo sperimentato si basa sull’inibizione di un gene, il «cdx2», quello che rende possibile all’embrione di impiantarsi nell’utero. Private di questo gene le cellule non potranno mai dare origine ad un embrione e poi ad un feto, ma conserveranno tutte le altre caratteristiche. Trattandosi di qualche cosa di assolutamente diverso dall’embrione, gli scienziati hanno coniato il nome di «embrioide», che in futuro potrebbe risultare utile come fonte di cellule staminali. La ricerca in questa direzione, dunque, può essere sostenuta e finanziata senza il rischio di incorrere in problemi di tipo etico.

C’è però un altro punto che il Consiglio europeo non ha affrontato, e cioè la questione delle decine di migliaia di embrioni congelati sparsi nelle cliniche per l’infertilità di tutta Europa, la cui fine è certa, ma il cui destino è assolutamente indefinito. Ed è proprio in merito a questo punto che l’Italia ha dimostrato di essere in grado di superare i blocchi ideologici affrontando la questione etica con serietà e ottenendo di presentare a livello europeo una proposta unitaria frutto di un’ampia discussione avvenuta all’interno delle varie anime dell’Unione. La mozione italiana, che il ministro Mussi ha fatto sua in sede europea, muove dal presupposto che gli embrioni attualmente congelati e abbandonati, e che quindi non hanno alcuna destinazione di tipo riproduttivo, prima o poi moriranno. Abbandonare questi embrioni nei frigoriferi e lasciare che il tempo passi per poi svuotare le provette e buttarle negli inceneritori è semplicemente una non-scelta. Tuttavia, anche se la loro fine è certa, per chi è credente si tratta comunque di vite e come tali non possono essere soppresse, meglio attendere la loro fine naturale, rispettando il principio che di fronte all’inevitabile è comunque meglio lasciare morire piuttosto che uccidere. La proposta italiana chiedeva di seguire una strada alternativa, per evitare di gettare via una risorsa di così grande importanza. Favorire la ricerca non solo sulle cellule staminali adulte, ma anche nella direzione di individuare il momento in cui gli embrioni congelati perdono la capacità riproduttiva e si trasformano in blastocisti non più in grado di dare origine ad un feto e quindi a un bambino. Se si potrà individuare il momento in cui gli embrioni non saranno più impiantabili, potrebbe aprirsi una discussione tra scienziati, politici, giuristi, esperti di bioetica e rappresentanti di diverse religioni e, nel rispetto delle sensibilità di ognuno, valutare la possibilità di donare le loro cellule ai fini della ricerca.

Mi pare evidente che la politica non possa esimersi dall’ascoltare gli scienziati nel momento in cui si trova a prendere delle decisioni in ambiti complessi ed eticamente sensibili. Per questo sarebbe auspicabile aprire a livello europeo dei tavoli di discussione, non solo sulle cellule staminali, ma in generale sulle tematiche etiche che giustamente agitano anime e coscienze. Le informazioni scientifiche e le posizioni individuali dovrebbero incontrarsi e trovare dei punti di contatto. Dal recente dibattito avvenuto all’interno dell’Unione proprio a proposito della ricerca sulle cellule staminali abbiamo imparato un metodo straordinariamente efficace. È stata la prova che il confronto su temi eticamente delicati tra forze politiche di diversa origine e orientamento è possibile e che, attraverso un dibattito basato sul reciproco rispetto, si può arrivare ad una sintesi costruttiva. Il metodo basato sul confronto e sulla condivisione è a mio avviso l’unico praticabile se si vuole giungere ad un risultato accettato da tutti. Il punto di partenza imprescindibile è però la volontà di dialogare, di ascoltare le ragioni altrui e di non sentirsi a priori dalla parte giusta.

Un secondo appuntamento che a breve metterà alla prova la politica italiana si presenterà con la discussione della legge sulle direttive anticipate di volontà, meglio conosciuta come «testamento biologico», in cui il percorso auspicabile sarà quello di cercare un accordo non solo interno alla maggioranza di centrosinistra, ma di allargare il consenso anche all’opposizione, in modo da ottenere un accordo quanto più ampio possibile su un provvedimento che riguarderà tutti i cittadini italiani e non solo la metà che si riconosce in una determinata maggioranza politica in questo momento al governo.

Il dibattito su questi temi si è sviluppato dalla fine degli anni Sessanta, nel periodo in cui il mutamento del clima sociale e culturale favoriva l’approfondimento delle problematiche relative all’aborto, alla fecondazione artificiale, al diritto a rifiutare le cure e a rinunciare all’accanimento terapeutico. Sono arrivate dall’America le prime pronunce giurisprudenziali relative al diritto di morire con dignità e al ruolo da attribuire alla volontà del soggetto non più capace di intendere e di volere a causa della malattia. Il primo caso famoso fu quello di Ann Quinlan, una ragazza ricoverata in coma in seguito ad un incidente stradale. La Corte del New Jersey, alla quale i genitori si rivolsero dato il rifiuto dei medici di spegnere gli apparecchi che la tenevano in vita artificialmente, per il timore di essere accusati di omicidio volontario, stabilì che il rifiuto dei trattamenti terapeutici rientrava nel più ampio diritto alla privacy, escludendo l’intromissione dello Stato nelle decisioni del singolo, e che, essendo Ann Quinlan non più consapevole, si doveva consentire ai genitori di esercitare tale diritto.

Sono passati più di trent’anni dal quel primo caso che fece scalpore e obbligò molti a interrogare la propria coscienza, e oggi ciò di cui dobbiamo prendere atto è che lo sviluppo delle scienze biologiche, delle rispettive applicazioni tecnologiche e delle ricadute sulla medicina è andato di pari passo con la crescita della coscienza individuale dei malati rispetto alla propria condizione e alla rivendicazioni dei propri diritti, primo fra tutti quello di fornire personalmente al medico il consenso ai trattamenti sanitari. Il consenso informato non deve essere visto come una formalità, perché rientra a pieno titolo in quei progressi culturali che influenzano i comportamenti delle persone, sempre più consapevoli nel partecipare alle decisioni che riguardano la propria salute e la malattia. Nasce di qui, anche in Italia, la necessità di dotarsi di strumenti legali che tutelino le esigenze di autodeterminazione dei cittadini. Un sentimento giusto e sempre più diffuso. Nel nostro paese il dibattito sul testamento biologico prosegue da molti anni senza che si sia mai arrivati a formulare le riposte che i cittadini attendono, alcuni in modo drammatico. Basti pensare a Eluana Englaro, in stato vegetativo permanente dal 1992 e in attesa di poter porre fine alla tragica esistenza di un corpo ormai abbandonato da ciò che intendiamo come vita. Fino ad oggi non sono valsi a nulla i ripetuti sforzi della famiglia per fare rimuovere il tubo dell’alimentazione e sospendere le altre terapie, non giustificabili data l’impossibilità di guarigione o di un miglioramento della ragazza. Essere contrari all’accanimento terapeutico non significa essere favorevoli all’eutanasia: chiunque abbia esperienza di questi malati, sa bene che per mantenere in condizioni vitali un essere umano devastato da una malattia gravemente invalidante, la tecnologia che viene utilizzata è fuori dall’ordinario. Mantenere un paziente libero da infezioni, da embolie polmonari, da decubiti, da alterazioni metaboliche che ne possano determinare la morte, necessita uno sforzo quotidiano straordinario. La sospensione di tutti questi atti porta inevitabilmente alla fine di quella esistenza mantenuta artificialmente in vita, ma è una cosa assolutamente diversa dall’eutanasia, cioè dal procurare la morte volontariamente attraverso l’iniezione di un farmaco letale.

L’obiettivo a cui mirano le proposte di legge già presentate e all’ordine del giorno dei lavori del senato è che ognuno possa avere la possibilità di maturare individualmente la propria scelta, nella serenità di valutazioni personali, e ciò costituirebbe un notevole passo avanti rispetto a decisioni prese paternalisticamente da medici o familiari. Inoltre, se è auspicabile che il nostro paese si doti in tempi rapidi di uno strumento che consenta legalmente di interrompere cure non necessarie o contrarie alla volontà espressa dal paziente, è altrettanto importante che questo non divenga mai un automatismo. È fondamentale introdurre anche la figura di un fiduciario, in grado di adattare ed interpretare quanto indicato nel testamento biologico ai tempi e ai continui progressi della medicina. Ma non solo. Il fiduciario è una figura chiave nel quadro delle direttive anticipate di volontà, dal momento che è tenuto ad agire in nome della persona in stato di incapacità, nel suo migliore interesse, tenendo conto della sua volontà, dei valori e delle convinzioni espresse nel corso della vita.

Infine, per creare una seria consapevolezza del significato del testamento biologico non basterà una buona legge, saranno fondamentali campagne di informazione corrette e capillari, che prendano spunto, anche in maniera critica, da operazioni simili promosse in passato.

Per questo è auspicabile una discussione serena e ragionata nelle nostre aule parlamentari, al di fuori delle logiche di appartenenza politica, affinché il testamento biologico venga introdotto pensando prima di tutto all’interesse di ogni cittadino italiano libero e responsabile.

La condivisione degli obiettivi e la discussione senza pregiudizi dettati dall’appartenenza ad un partito è a mio avviso il metodo migliore per poter procedere e ottenere, in settori che riguardano la vita di ognuno di noi, risultati che vadano nell’interesse di tutti i cittadini. Nel campo della bioetica è necessario dunque uno sforzo in più da parte della politica per affrontare la discussione prima di tutto sulla base dell’ascolto delle ragioni del mondo scientifico; sarebbe poi utile guardare all’esperienza di altri paesi che si sono già trovati a confrontarsi con le stesse problematiche (in particolare nel caso del testamento biologico l’Italia soffre per un grave ritardo rispetto agli Stati Uniti e a molti paesi europei). Infine, per arrivare a definire dal punto di vista legislativo dei percorsi utili ed efficaci, non potremo esimerci dall’ascoltare anche le opinioni dei rappresentanti del mondo religioso, della filosofia, della morale, gli esperti di bioetica e via di seguito, in modo che il dibattito sia arricchito da approcci differenti e punti di vista non sempre concordi. La politica deve poi avviare la discussione all’interno della maggioranza, ma alimentare costantemente il dialogo con l’opposizione, in modo da arrivare ad una sintesi costruttiva, logica dal punto di vista del rispetto delle esigenze del progresso scientifico, ma anche di tutte le sensibilità di tipo morale, religioso, filosofico che rappresentano le varie anime della nostra complessa società. È evidente che un processo di questo tipo sarà più impegnativo e complesso, richiederà più sforzi e costanza nel portare avanti la discussione, ma il risultato sarà certamente più vicino alla sensibilità di tutti i cittadini e il percorso per arrivare alle leggi che il parlamento si troverà a discutere nei prossimi anni sarà meno costellato di ostacoli, trabocchetti politici e polemiche, a tutto vantaggio del reale progresso del nostro paese.

 

 

Bibliografia

1 Cfr. «Per il bene dell’Italia. Programma di Governo 2006-2011» e www.unioneweb.it.

2 I. L. Weissman, Politic stem cell, in «Nature», 12 gennaio 2006, pp. 145-148.