Una prospettiva di futuro alla parola “sinistra”

Written by Roberto Speranza Tuesday, 19 December 2017 16:35 Print


È ora di costruire un tempo nuovo per la sinistra. I valori per cui siamo nati, oggi più che mai, chiedono rappresentanza. Cresce ovun­que la domanda di eguaglianza, libertà, democrazia, allargamento dei diritti, pace, legalità, tutela dell’ambiente. Eppure, per paradosso, proprio chi dovrebbe essere ispirato da questi principi, oggi appare debole, frammentato e, troppo spesso, senza parole.

Noi siamo nati prima di tutto per questo. Per riaffermare un sistema di valori democratici e progressisti di cui le nostre società hanno bi­sogno, oggi più di ieri. Per sanare la rottura consumatasi fra milioni di elettori di sinistra e di centrosinistra e il loro principale partito di riferimento, il PD, purtroppo inesorabilmente trasformatosi nell’ap­pendice personalistica di un capo e divenuto, di fatto, il PdR.

La sofferta e dolorosa scelta di andar via da una comunità che aveva­mo contribuito a fondare, alla quale ciascuno di noi ha dedicato una parte importante della propria vita, non è legata agli episodi contin­genti, offerti da una cronaca politica sempre più distante dalle con­crete esigenze degli italiani, ma scaturisce dalla necessità di riafferma­re un sistema di valori. Il popolo cui intendiamo restituire una casa, nella quale ci si senta felici di abitare, è stato tradito dalle politiche e dalle leggi su lavoro, scuola, ambiente e fisco varate negli ultimi anni e si è indignato di fronte alla narrazione virtuale di un’Italia tutta rose e fiori, che stride con la drammatica realtà del peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle persone, in modo particolare delle generazioni più giovani.

Vogliamo porre fine agli errori di un centrosinistra che – non solo in Italia, ma in gran parte del mondo – ha scimmiottato la destra, mo­strandosi subalterno rispetto alle nefaste scelte economiche e sociali imposte dall’establishment internazionale. La lettura della globaliz­zazione, anche nel nostro campo, è stata troppo ottimista e non si sono viste le spine che, a poco a poco, ci hanno ferito: l’esplosione delle diseguaglianze, l’indebolimento dei ceti medi e la precarizza­zione delle esistenze dei giovani. In questo quadro, sono cresciute la paura del futuro e la domanda di protezione proveniente dal pro­fondo delle nostre società. La sinistra purtroppo è apparsa sorda e distante e nuove forze hanno fatto irruzione nella scena politica, ri­spondendo a quella domanda al posto nostro.

Le dissennate scelte compiute nel governo del paese, calate dall’al­to senza costruire il preventivo consenso dei corpi intermedi e dei soggetti sociali, all’insegna di un avventuroso riformismo contro il popolo, hanno accentuato la sfiducia dei citta­dini nei confronti della politica, come certificato dalla costante crescita dell’astensionismo in tut­te le circostanze elettorali (l’ultimo illuminante esempio è fornito dal voto in Sicilia e a Ostia).

La nostra sfida ha l’ambizione di offrire un anti­doto all’apatia e alla disperazione, rivitalizzando la passione e l’entusiasmo per la politica nelle tantissime persone che si sono allontanate dopo aver visto, con rassegnazione e disincanto, la mutazione genetica del partito che doveva fondere, contaminare e oltrepassare le principali culture politiche riformiste italiane che han­no liberato l’Italia dal nazifascismo, scritto insieme la Costituzione e varato leggi che hanno modernizzato e civilizzato il nostro paese. Abbiamo promosso la costruzione di un soggetto politico che ridefi­nisca le ragioni e i valori della sinistra del Terzo millennio. Una forza che offra una prospettiva politica all’altezza delle aspettative e dei bisogni delle persone, dei lavoratori autonomi e dipendenti, di ge­nerazioni intere che stanno invecchiando senza avere avuto l’oppor­tunità di un lavoro stabile, di quanti sono stati esclusi o espulsi dal mondo del lavoro. Un soggetto che decide di stare dalla parte di tutti coloro che in questi anni sono stati costretti dalla crisi ad affrontare insicurezze e condizioni di vita instabili e precarie.

Siamo nati per voltare pagina, dunque, da una stagione caratterizzata dalla rottamazione, dai toni sguaiati, dall’arroganza del potere, da un dibattito pubblico francamente deprimente, dalla deriva perso­nalistica dell’uomo solo al comando. Siamo nati per costruire una nuova stagione di partecipazione politica all’insegna dell’umiltà, in cui ognuno si senta al servizio della ricostruzione collettiva di un progetto politico alternativo alle destre che avanzano.

Per fare questo serve ripartire dalla vita delle persone: occupazione, ambiente, sanità, istruzione, energia. Su queste decisive tematiche si può rinnovare la sfida socialista e progressista, restituendo dignità e sostanza a parole antiche ma oggi più attuali che mai.

Esattamente un anno fa, con l’esito del referendum del 4 dicembre, un mondo largo ha deciso di prendersi per mano, una comunità si è stretta intorno ai valori della Carta costituzionale e si è fieramente opposta a un disegno oligarchico. Il voto referendario, come mi disse Alfredo Reichlin in una delle nostre ultime conversazioni, ha assunto le dimensioni di un vero e proprio “voto di classe” con il Sud con­trapposto al Nord, i giovani ai meno giovani, le periferie urbane ai quartieri residenziali, gli ultimi ai benestanti.

Di queste fratture nessuno si è fatto carico e il paese, sfibrato dalla lunga crisi economica e sociale, è fragile come non mai. La destra e i cinque stelle non hanno interesse a farlo perché è proprio da queste fratture che traggono la loro forza. Il PD invece continua a vivere in una dimensione parallela, in cui il divario tra la comunicazione e la realtà cresce ogni giorno di più e, nonostante le sonore sconfitte elettorali, non sembra in grado di cambiare strada.

Per questo serve un’alternativa, qui e ora, una nuova grande forza, fiera dei suoi valori democratici e capace di difendere l’interesse del paese.

L’asse fondamentale è la lotta alle diseguaglianze. Nel momento in cui otto persone hanno la stessa ricchezza della metà più povera del mondo e in Italia l’1% della popolazione possiede oltre un quarto della ricchezza nazionale, è ineludibile provare a ricostruire un pro­getto di sinistra che si ponga l’obiettivo di contrastare le ingiustizie e le iniquità. Penso ad esempio alle politiche fiscali e al rilancio del principio costituzionale della progressività, ossia “chi ha di più paga di più, chi ha di meno paga di meno”.

Il nostro compito storico è quello di evitare che la parola “sinistra” scompaia dal vocabolario politico italiano e che le forze che a essa si richiamano restino seppellite sotto le macerie della torsione persona­listica impressa alla politica e delle errate politiche di governo. Non possiamo consentire che ciò accada. Non è in gioco solo un interesse politico di parte, ma la qualità del nostro sistema democratico.

Il nostro orizzonte non deve limitarsi alle vicende prettamente italiane, ma deve chiamare in causa le responsabilità della sinistra mondiale, nell’ultimo ventennio apparsa sorda e silente rispetto alle enormi diseguaglianze planetarie ed eccessiva­mente appiattita nella difesa delle compatibilità di sistema, anche quando queste infierivano sul­le periferie sociali, economiche e geografiche del mondo.

Questo orizzonte passa anche dall’ormai indi­spensabile rilancio del progetto europeo, oggi feri­to dalla debolezza dei processi democratici e dal pensiero neoliberista dominante che ha prodot­to una stagione di austerità le cui conseguenze sociali hanno rafforzato le forze antieuropeiste.

In tale ambito si è assistito, in particolare, alla crisi profonda del PSE e dell’Internazionale so­cialista, con i leader che troppo spesso nell’azione di governo, anziché la legittimazione popolare, hanno cercato quella dei salotti buoni e dei circuiti finanziari internazionali, incuranti del fatto che talune scellerate politiche hanno peggiorato le condizioni di vita e di lavoro dei ceti più deboli e hanno compresso fondamentali diritti sociali e di cittadinanza.

Questi atteggiamenti hanno aperto varchi notevoli alle forze populi­ste, che sono riuscite a catturare elettoralmente consistenti fasce dei ceti più deboli e indifesi, spesso spaventati dal mancato governo dei fenomeni migratori, come accaduto col voto operaio statunitense a favore di Trump o con la schiacciante affermazione del Movimento 5 Stelle nelle periferie di Roma e Torino.

Di fronte al peggioramento delle condizioni di vita di milioni di per­sone in nome dell’austerità, le forze che formalmente si richiamano al centrosinistra sono state incapaci di fornire risposte adeguate. In Italia ci si è limitati a elargire bonus e regalie fiscali che, per dirla con don Milani, hanno fatto “parti uguali fra disuguali” avvantaggiando così esclusivamente i ricchi e i potenti.

Dall’Europa – Tsipras in Grecia, Podemos e Sánchez in Spagna,

Mélenchon e Hamon in Francia e, soprattutto, Corbyn nel Regno Unito – negli ultimi tempi sono arrivati importanti segnali politici di un radicale mutamento delle forze della sinistra con programmi chiari e coerenti proiettati a contrastare le diseguaglianze, a ricostrui­re in tutte le nazioni un servizio sanitario universale, a fornire oppor­tunità alle giovani generazioni, dignità e sicurezza alle fasce anziane e deboli della popolazione.

Nell’ambito di questa ricerca mondiale di una nuova sinistra va in­quadrato il nostro lavoro, che trae fondamento dai valori essenziali della nostra Costituzione.

Insieme a uguaglianza e giustizia sociale è essenziale il riferimento alla democrazia. L’articolo 1 della Costituzione affida al popolo la sovra­nità. Democrazia significa che i cittadini partecipano attivamente alla vita pubblica e decidono attraverso il sacro strumento del voto. Per questo l’astensione è il sintomo più visibile della fragilità della democrazia. Essa è minacciata e umiliata quando l’esercizio della li­bera scelta dei cittadini viene indebolito o gravemente alterato, come purtroppo accadrà alle prossime elezioni politiche in virtù di una legge elettorale irresponsabilmente approvata a colpi di voti di fidu­cia, che produrrà un Parlamento di “sudditi” dei capi dei partiti. Un Parlamento di nominati lede il principio della rappresentanza popo­lare perché l’eletto non rappresenterà la propria comunità, ma solo il capo che lo avrà messo in lista in posizione eleggibile.

L’articolo 1 indica il lavoro come elemento fondante della nostra Repub­blica. Il lavoro rappresenta il tratto essenziale della cittadinanza di ognuno e deve essere garantito a tutti. Ma, oggi, con quale credibilità possiamo dire a un ragazzo che è costretto a vivere in casa con la pro­ pria famiglia di origine perché non ha mai conosciuto un’esperienza lavorativa o a un padre disoccupato che l’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro? Istat afferma che in Italia il 75% dei giovani under 35 vive ancora con la famiglia d’origine. Si tratta di un fenomeno destinato a crescere se i contratti continueranno a essere precari. Negli ultimi dodici mesi su 100 nuovi contratti di lavoro firmati, 93 sono precari e 7 a tempo indeterminato. Sono numeri drammatici che mettono in discussione la “civiltà del lavoro” nel no­stro paese. Il nostro obiettivo deve essere elaborare un piano straordi­nario per il lavoro connesso a un piano di investimenti pubblici che rimetta in moto l’economia reale del paese.

Questo si può fare valorizzando le potenzialità della riconversione ecologica e dell’economia circolare. In sintonia con il pensiero di papa Francesco, riteniamo la tutela dell’ambiente un valore fonda­mentale. Essere progressisti significa essere ambientalisti. Significa scegliere la sostenibilità come lente con cui guardare la realtà che ci circonda, partendo dalla consapevolezza che l’at­tuale modello di sviluppo non è più sostenibile e che occorre cambiare radicalmente, a partire dalla logica dei “rifiuti zero”.

Per costruire una società più giusta e, al tem­po stesso, più capace di fronteggiare le sfide del mondo nuovo, è essenziale la funzione educati­va e formativa della scuola pubblica, purtrop­po umiliata dalle ultime riforme. Nella scuola pubblica c’è la leva più efficace per muovere l’ascensore sociale, così come nell’universalismo del sistema sanitario nazionale c’è un elemento redistributivo irri­nunciabile. Scuola e sanità non devono essere considerate solo dei servizi pubblici essenziali, ma i settori su cui investire con coraggio per costruire una società più equa che dia pari opportunità a tutti.

Dare rappresentanza politica ai valori di fondo qui sinteticamente indicati è il senso dell’ardua, ma appassionante impresa politica che abbiamo avviato per restituire una casa a un popolo e attribuire un nuovo valore e una prospettiva di futuro alla parola “sinistra”. Sono sicuro che ce la faremo, insieme.