Vittorio Emanuele Parsi

Vittorio Emanuele Parsi

è direttore della Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali (ASERI) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Gli Stati Uniti in cerca di una nuova egemonia

Quello degli Stati Uniti non è un semplice ritorno sulla scena politica globale, ma un vero e proprio rilancio dell’ordine liberale internazionale, dei suoi principi, dei suoi metodi e dei suoi obiettivi. Più precisamente, è l’annuncio del varo di un progetto di ordine internazionale all’altezza delle sfide contemporanee e future. Il contesto è sicuramente diverso da quello che, a metà del Novecento, segnò l’avvento del “secolo americano”. In questo caso nessuna distruttiva e tremenda guerra è stata vinta, nessun nemico annichilito, e sono innanzitutto moltissimi americani ad aver perso la loro incondizionata fiducia nella “grande nazione”. Joe Biden eredita dal suo predecessore un paese lacerato, polarizzato in termini politici, economici e sociali che, di fronte alla prospettiva di perdere la propria leadership, ha reagito rudemente nei confronti non solo dei rivali e degli sfidanti, ma persino degli amici e degli alleati, mentre si rinchiudeva sempre più in se stesso.

Riconquistare il centro del campo di battaglia culturale e politico

L’Europa non è (più) “naturalmente” popolare. È questo il dato di cui occorre prendere atto per apprezzare la gravità della situazione, che cosa è in gioco alle prossime elezioni europee, dove abbiamo sbagliato e in che modo possiamo partire per risalire la corrente. Di­ciamocelo con chiarezza: lo squilibrio dell’Unione attuale è frutto in buona parte del suo successo, la realizzazione del mercato unico, che era il compito assegnato innanzitutto alle istituzioni comunitarie dal Trattato di Maastricht. Per quanto paradossale possa apparire, è proprio il conseguimento di questo storico traguardo – dal quale il consumatore europeo ha tratto più benefici che svantaggi – ad aver progressivamente messo in difficoltà il cittadino europeo. Se per il primo le opportunità di acquisto a prezzi vantaggiosi soprattutto di beni non durevoli e semidurevoli sono sostanzialmente cresciute, per il secondo la tutela e l’implementazione dei diritti sociali sono pro­gressivamente divenute più difficili.

Porre fine al “grande gioco” per risolvere la guerra del Levante

L’universalizzazione dell’ostracismo contro l’Iran e la crescita dell’influenza regionale sia di Teheran che di Riyad hanno esacerbato in questi anni la rivalità originaria tra Arabia Saudita e Repubblica Islamica: un conflitto innanzitutto ideologico, e poi strategico ed economico. Ma non si può pensare ad alcuna stabilità nella regione escludendo l’Iran e le sue legittime ambizioni di sicurezza.

Interessi e valori: l'Occidente di fronte all'islamismo politico

La destituzione del presidente egiziano Morsi mette ancora una volta in crisi il tentativo, compiuto a più riprese dai governi occidentali, di sdoganare l’islamismo politico moderato e di avallare la tesi della plausibilità delle relazioni tra islamismo e democrazia. Tentativo condotto non sulla base di una riflessione di carattere teorico, ma dettato essenzialmente dalla necessità di trovare praticabili exit strategies politiche all’interventismo occidentale in Medio Oriente riacutizzatosi dopo la fi ne della guerra fredda.

Il nuovo protagonismo internazionale del Mediterraneo

Con la crisi libica e le rivolte scoppiate in Egitto e in Tunisia il Mediterraneo è tornato al centro della scena geopolitica mondiale, configurandosi come un’area strategica per i rapporti di forza tra Stati Uniti, Unione europea e Medio Oriente. Da un’analisi delle dinamiche sottese all’intervento militare in Libia emergono con chiarezza le divergenze tra Italia, Francia e Germania, l’inedita cautela degli Stati Uniti, l’ambiguità di Mosca e Pechino e quella dei rapporti dell’Occidente con la Lega araba.

La crisi di Gaza: quale ruolo per Stati Uniti e Unione europea

Il nuovo capitolo del conflitto arabo-israeliano scop­piato a Gaza lo scorso dicembre costituisce un altro estremo tentativo da parte sia di Hamas che di Israe­le di provocare un radicale cambiamento dello sta­tus quo nella regione. La natura di questo scontro rende però più difficile l’intervento di attori esterni per consentire il raggiungimento di una tregua. La relativa assenza degli Stati Uniti, impegnati nella tran­sizione fra l’Amministrazione Bush e quella Obama, offre all’Unione europea un’imperdibile occasione per giocare un ruolo di mediatore, sempre che si su­perino le tradizionali divisioni fra gli Stati membri.

Democrazia come religione politica

Durante i mesi che hanno preceduto e accompagnato la guerra in Iraq, e ancor più nel turbolento «dopoguerra» che si è sviluppato a partire dalla caduta del dispotico regime di Saddam Hussein, il dibattito intorno alla possibilità di esportare la democrazia è stato particolarmente acceso. Un fronte assai composito di intellettuali ha sostenuto che fosse implausibile l’idea di imporre manu militari la democrazia a un popolo che non ne aveva mai potuto godere. Che difficilmente istituzioni democratiche paracadutate dall’alto avrebbero potuto radicarsi in assenza di una pregressa cultura democratica.

 

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