Contenere l’estremismo. Le misure dell’UE contro la minaccia dei foreign fighters

Written by Sandro Menichelli Friday, 10 October 2014 11:17 Print

Alle molte minacce del terrorismo internazionale si aggiunge ora quella rappresentata dai foreign fighters. Per contrastarla occorre un’azione coordinata e decisa di tutti i paesi membri dell’UE sulla quale, da ultimo, si è concentrato il Consiglio dei ministri degli Affari interni dell’UE tenutosi il 9 ottobre scorso.


Nel maggio del 2014 Mehdi Nemmouche, un giovane di origine francese che pare aver passato più di un anno a combattere in Siria con i gruppi radicali islamici, è entrato nel museo ebraico di Bruxelles e ha sparato a quattro persone, uccidendole sul colpo. Questo episodio, insieme ai barbari omicidi, avvenuti di recente, dei giornalisti statunitensi James Foley e Steven Sotloff e del cittadino inglese David Haines e di altri ostaggi ancora da parte di un uomo ritenuto provenire dal Regno Unito sono solo gli ultimi di una lunga serie di eventi che dimostrano come la minaccia dei cosiddetti “combattenti stranieri” (foreign fighters) sia presente in Europa. Si tratta soprattutto di giovani che, dopo aver lasciato l’Europa per i paesi in cui sono andati a combattere (in particolare la Siria e l’Iraq), sono rientrati con una adeguata preparazione militare e talvolta con l’intenzione di compiere atti terroristici all’interno del territorio dell’UE, pronti ad agire contro chiunque rappresenti la civiltà occidentale o quella ebraica.

Il fenomeno dei foreign fighters non è nuovo, purtroppo. Un trend analogo si è registrato a cavallo degli anni Ottanta e Novanta in occasione dei conflitti in Algeria, Bosnia, Iraq e Afghanistan, quando molti giovani musulmani hanno lasciato i propri paesi per andare a combattere quella che essi consideravano una guerra contro i nemici dell’Islam, rappresentati dai cristiani occidentali, dagli ebrei, da governanti solo formalmente musulmani ma sostanzialmente empi, dagli ulema corrotti, dagli apostati e persino da coloro che nutrivano una sorta di indifferenza verso il sentimento religioso.

Queste persone costituiscono una seria minaccia per l’Europa, ed è chiaro che il fenomeno persisterà negli anni a venire. Una risposta efficace e completa da parte dell’Unione europea e dei suoi Stati membri è dunque necessaria. Essa richiede però un impegno sia immediato che di medio-lungo termine, attraverso un approccio bilanciato tra misure strettamente di sicurezza e misure che intervengano su quei fattori che possono incoraggiare lo sviluppo di un ambiente favorevole alla radicalizzazione.

A fronte di questa minaccia, gli Stati membri dell’Unione europea hanno in animo di attuare una serie di misure che si inseriscono nel quadro di una più ampia strategia antiterrorismo rivista e modificata rispetto a quella originaria del 2005. Ridurre il flusso di combattenti stranieri verso la Siria e l’Iraq, intervenendo da subito per evitarne o comunque controllarne il ritorno in Europa, costituisce una grande sfida. Ma allo stesso tempo rappresenta anche una priorità che può essere raggiunta mediante uno sforzo congiunto dei governi, delle forze di polizia, delle agenzie di intelligence e della società civile europei. L’obiettivo è quello di contenere i processi di radicalizzazione e di reclutamento, seguendo al contempo, ove possibile, mirati programmi di contrasto alla radicalizzazione. Questo significa che sono richieste azioni immediate, come indicato anche dal Consiglio europeo di dicembre 2013 e dello scorso agosto nell’ambito della prevenzione, dell’identificazione e della cooperazione sia giudiziaria che con i paesi terzi.

Secondo le linee strategiche dell’Unione, per prevenire la radicalizzazione e il conseguente flusso di combattenti verso le diverse aree interessate da conflitti si dovranno lanciare specifiche campagne dirette a fornire motivazioni alternative e diverse rispetto a quelle che spingono i giovani a partire come volontari per andare a combattere. In questo ambito, nel contesto europeo, un ruolo essenziale potrà essere assicurato dal Radicalisation Awareness Network (RAN), costituito dalla Commissione europea sulla consapevolezza tanto dei rischi derivanti dalla radicalizzazione, quanto della necessità di coinvolgere in questo processo tutte le energie nazionali e locali delle nostre società. Chiaramente, se l’obiettivo è quello di ridurre l’interesse dei cittadini europei a divenire militanti e combattenti, gli strumenti e i messaggi che questi strumenti portano con sé dovranno essere modulati in base ai diversi contesti sociali. In quest’area, in particolare, la cooperazione tra i governi e i diversi attori della società civile potrà giocare un ruolo fondamentale. Ciascuno di questi attori, infatti, potrà condividere le proprie esperienze al fine di sviluppare una risposta comune, intesa a individuare e contrastare in anticipo i processi di radicalizzazione e di reclutamento.

Quanto invece all’obiettivo di identificare e individuare le persone che vanno all’estero per combattere, la sfida principale è rappresentata dall’esigenza di assicurare, il più possibile in tempo reale, un costante e mirato scambio di informazioni tra le competenti autorità degli Stati dell’UE, il controllo e la messa in sicurezza delle frontiere che circondano la Siria e l’Iraq e di quelle esterne dell’Unione, oltre al blocco del flusso di finanziamenti alle organizzazioni terroristiche. In particolare, la raccolta efficace e lo scambio effettivo delle informazioni su queste persone da parte degli Stati membri sono infatti la chiave per individuare movimenti da e verso le zone di guerra. Tra gli strumenti disponibili a livello europeo e internazionale per contrastare la minaccia posta dal terrorismo internazionale abbiamo la nuova generazione del Sistema Informativo Schengen (SIS II) e l’utilizzo del sistema informativo sui visti (VIS), il database dell’Interpol (in particolare la sezione riguardante i documenti persi o rubati), il nuovo punto di contatto a fini di analisi costituito in seno all’Europol e denominato Travellers, il programma di tracciatura finanziaria per seguire le transazioni effettuate dai terroristi e il regime di sanzioni applicabili sulla base delle vigenti risoluzioni delle Nazioni Unite. All’interno di questo quadro il ricorso a un eventuale futuro EU-PNR (registro dei nomi dei passeggeri dei voli da e per i paesi dell’Unione europea), dove tutti i dati disponibili potranno essere sistematicamente confrontati con quelli presenti in altri database nazionali e internazionali – nel completo rispetto del diritto alla riservatezza dei dati personali – rappresenterà di certo un valore aggiunto.

Gli Stati europei stanno progressivamente imparando dall’esperienza ormai maturata, investigando e perseguendo i combattenti prima della loro partenza oppure dopo il loro rientro dalle diverse zone di guerra. In questo contesto, un ruolo assolutamente prioritario e in linea con il principio di sussidiarietà sancito dai Trattati sarà quello che potrà essere svolto, da un lato, sia da Eurojust che da Europol e, per la parte di sua competenza, da Frontex, nonché, sotto un punto di vista più investigativo, dalle cosiddette squadre investigative comuni che, composte da rappresentanti di diversi Stati membri, dovrebbero essere costituite nei casi in cui ciò si ritenesse necessario.

Anche per quel che riguarda la cooperazione con i paesi mediterranei esterni all’Unione europea, la possibilità di utilizzare le potenzialità offerte dalle agenzie UE come Frontex e Europol si affianca a questo lavoro, dando la possibilità di finalizzare per il loro tramite specifici accordi con le autorità di diversi paesi terzi.

La presidenza italiana dell’Unione europea ha pienamente colto il senso profondo di questa minaccia per le nostre società, promuovendo e facendo approvare in occasione del Consiglio dei ministri degli Affari interni dello scorso 9 ottobre una serie di iniziative concrete, come ad esempio la possibilità di costituire squadre multinazionali ad hoc contro il fenomeno dei foreign fighters, le quali, ponendosi sulla scia degli indirizzi politico-strategici formulati dal Consiglio europeo dello scorso 30 agosto, assicureranno una risposta unitaria dell’Unione e dei suoi ventotto Stati membri a un fenomeno nei cui confronti le risposte dei singoli paesi corrono il rischio di essere del tutto insufficienti.

Sarà un percorso probabilmente lungo e articolato, che dovrà tenere conto del contributo di ogni membro dell’Unione e, all’interno di questi, di ogni componente delle nostre società, soprattutto in un’ottica di prevenzione, raccogliendo la sfida posta da queste persone alla sicurezza dei cittadini dell’Unione per depotenziarla comunque sempre secondo le regole dello Stato di diritto.

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