L’Europa dopo Cipro. Chi sarà il prossimo?

Written by Philippos Savvides Tuesday, 30 April 2013 13:54 Print

Le decisioni prese dall’Eurogruppo per porre rimedio alla crisi cipriota hanno creato un precedente che potrebbe ripetersi in un’Europa nella quale i valori di solidarietà e coesione trovano sempre meno spazio e il progetto di integrazione ha perso credibilità, mentre le forze populiste ed euroscettiche si diffondono. A un anno dalle elezioni europee, si tratta di una situazione drammatica.


La decisione relativa alla crisi cipriota, presa dall’Eurogruppo lo scorso 25 marzo, ha creato un nuovo precedente per quel che concerne il modo in cui l’Unione europea, d’ora in poi, tratterà con banche in crisi o in difficoltà negli Stati membri. Sin dal momento in cui la decisione è stata annunciata, alcuni figure istituzionali dell’UE, dal presidente della Commissione Manuel Barroso al presidente dello stesso Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, si sono affrettati a rassicurare i governi, i mercati e l’opinione pubblica europea che si trattava di un atto “unico” in quanto Cipro costituiva un “caso speciale”. Un atto, hanno sottolineato, che non si ripeterà.

Gli sviluppi successivi, tuttavia, suggerirebbero ben altro. Le ultime dichiarazioni da parte di rappresentanti dei governi europei mostrano che il metodo del bail in sarà la direzione da prendere in futuro. Il 20 aprile, ad esempio, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha chiarito, in un’intervista con il settimanale economico “Wirtschaftswoche”, che: «Il coinvolgimento di proprietari, detentori di titoli e correntisti non assicurati deve diventare la norma nel caso in cui un istituto finanziario si trovi in difficoltà (…) Altrimenti non riusciremo mai a esercitare un controllo sull’azzardo morale in base al quale banche che conducono affari rischiosi ottengono ampi profitti, lasciando che il peso dei loro fallimenti venga scaricato sul pubblico». Dopo tutto, come questa dichiarazione evidenzia, Cipro non è un caso così “unico” o “speciale”. Evidentemente, Cipro è diventata la “cavia” di questo nuovo approccio. Le domande, a questo punto, sono: chi sarà il prossimo? E quali saranno le conseguenze politiche per il futuro dell’Europa?

Non esistono risposte definitive a queste domande. Comunque, i segnali sono lampanti. Inoltre il caso di Cipro e il modo in cui le istituzioni europee hanno trattato questo Stato membro sottolineano non solo il grado di deficit democratico che caratterizza oggi l’Europa, ma il livello del suo deficit di solidarietà. Dallo scoppio della crisi, l’Unione non è stata in grado di sviluppare una strategia esauriente per affrontare i problemi economici dei suoi Stati membri in un modo costruttivo ed efficiente. L’UE ha fatto troppo poco, troppo tardi e ha mostrato interesse a punire che ad aiutare. L’Unione non è stata propositiva. Ha piuttosto reagito alla crisi. E ha finito per assumere un atteggiamento punitivo. Spagna, Grecia, Portogallo, persino l’Italia, e ora Cipro sono state trattate quasi come reiette piuttosto che come membri della stessa famiglia. Sono stati descritti come “corrotti”, “irresponsabili”, “buchi neri”, “pigri”.

Nessuno nega il fatto che le principali responsabilità per i problemi di questi paesi siano da attribuire a loro stessi e alla mala gestione delle loro economie da parte dei rispettivi sistemi politici. E infatti, essi hanno l’obbligo di riordinare i loro conti con urgenza. Tuttavia, questa non è una ragione sufficiente per negare loro la solidarietà o per costringerli ad adottare politiche che, alla fin fine, sono fortemente controproducenti e danneggiano lo stesso progetto europeo. La solidarietà è stata il principio attorno al quale l’Unione europea è stata fondata ed è la base della sua esistenza. È stato il principio che ha portato alla “pace perpetua”. Quali sono le implicazioni, allora, dell’attuale miopia europea, del cieco approccio e della mancanza di solidarietà che sono stati mostrati nel caso di Cipro così come in altri casi?

Innanzitutto, è chiaro che, dopo le decisioni su Cipro, l’UE è entrata in un nuovo territorio sconosciuto. Molti analisti sono giunti alla conclusione che, come risultato di queste decisioni, l’Unione bancaria verrà quanto meno ritardata. È ironico che, sebbene la crisi cipriota abbia messo in evidenza l’importanza di costituire una tale unione, le azioni prese hanno al contrario minato e complicato la sua realizzazione. Dopotutto, la coesione europea e la solidarietà sono i requisiti necessari per il funzionamento stesso dell’Unione bancaria.

In secondo luogo, la stabilità dell’eurozona è stata messa in discussione come risultato delle azioni della stessa leadership europea. La credibilità dell’eurozona è stata ferita. Non sorprende, dunque, che l’uscita dall’area euro, come rimedio ai problemi economici, sia diventata un’opzione. O che paesi come la Romania siano adesso riluttanti ad adottare la moneta comune. L’emergere del partito antieuropeista Alternativa per la Germania (AfD) costituisce un segnale forte di una tendenza a mettere in discussione l’esistenza stessa dell’euro. AfD sostiene che «l’euro è morto» e che si tratta di una divisa fallimentare che minaccia l’integrazione europea. Ne consegue la richiesta di AfD di ritornare al marco. Tutto questo per dimostrare la crisi di credibilità nella quale si trova l’eurozona. Un problema che minaccia l’intero progetto europeo.

Infine, ancora più preoccupante è l’euroscetticismo che i già citati sviluppi hanno alimentato nei paesi membri. Un anno prima delle elezioni europee del 2014, il progetto di unificazione europea si sta affievolendo, è stato fortemente danneggiato. L’Unione come ideale non è più seducente. Tutto ciò è il risultato del modo in cui la maggioranza conservatrice in Europa ha (mal)gestito la crisi, della mancanza di trasparenza nel processo decisionale e dell’incapacità delle istituzioni europee di dare risposte ai bisogni dei cittadini. Le decisioni prese hanno portato alla disintegrazione piuttosto che all’integrazione. Come il fenomeno di Beppe Grillo in Italia ha mostrato all’intero continente europeo, un movimento politico può essere più invitante e di successo se manifesta la propria opposizione all’Europa, piuttosto che dichiarandosi a favore dell’integrazione. Si tratta di un fenomeno pericoloso. È il prodotto di un ambiente che induce al populismo, all’euroscetticismo, alla crescita e all’alimentarsi dell’estremismo di destra. La mancanza di solidarietà, la mancanza di coesione, l’ampliarsi della distanza fra Nord e Sud Europa, combinati con lo scontento sociale, con il degrado sociale, con la delusione e la mancanza di speranza permettono alle forze populiste di ogni tipo a colonizzare il sistema politico e rafforzare i partiti e i movimenti euroscettici europei.

I casi di Cipro, Grecia, Portogallo e gli altri hanno dimostrato con abbondanza di esempi ciò di cui si ha più bisogno in Europa. Non ciò di cui, invece, si ha meno bisogno. Maggiore integrazione – non disintegrazione, rinazionalizzazione – è la risposta. L’Europa ha deluso persino i suoi più fedeli e convinti sostenitori. Nel breve termine, non c’è bisogno di recuperare la visione dei “padri fondatori” per essere certi che di qui a un anno il Parlamento europeo non sia dominato da forze populiste ed euroscettiche. Nel lungo periodo, sarà necessario reclamare l’Europa della solidarietà e del progresso al fine di ricostruire la fiducia sociale e la fede nel progetto europeo, per rendere l’Europa, ancora una volta, la forza trainante della pace, della democrazia, della stabilità.

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