Perché il Mezzogiorno è caduto così in basso

Written by Mariano D'Antonio Thursday, 21 October 2010 10:56 Print
Perché il Mezzogiorno è caduto così in basso Foto: Simona Tonna

Mariano D’Antonio commenta le proposte per una nuova politica di sviluppo per il Mezzogiorno pubblicate da “Italianieuropei” lo scorso lunedì.

Come si esce dal baratro in cui è precipitato il Mezzogiorno? Con le ricette che propone “Italianieuropei”? Ne dubito: mi appaiono intenzioni alquanto retro, cariche di buona volontà ma ripetitive di affermazioni già dette e in larga misura finora inascoltate.
Intanto occorre interrogarsi sulle cause e sulle responsabilità della crisi meridionale, altrimenti non ci spieghiamo perché siamo giunti a questo disastro e invochiamo fattori misteriosi (il destino così ha voluto) oppure ricorriamo a tendenze secolari, a motivi antropologici (la diversità delle popolazioni del Sud), a cause naturali (il sole e il clima che fanno i meridionali indolenti).
La mia spiegazione è molto semplice, se si vuole sommaria: il Mezzogiorno è caduto così in basso per responsabilità delle sue classi dirigenti, in primo luogo del ceto politico che finora ha governato le istituzioni e ha manovrato la spesa pubblica per raccattare consensi e voti, molti, benedetti e subito, da chiunque provengano, da gruppi d’imprenditori a caccia di rendite, da sindacati del pubblico impiego tesi a difendere miserabili privilegi (stabilità del posto e aumenti retributivi uniformi per tutti) ma pur sempre privilegi a fronte della diffusa mancanza di lavoro, da intellettuali, in prima fila i professori universitari e i loro rappresentanti, rettori e direttori, che hanno sfasciato, con poche eccezioni, gli atenei meridionali. Il collante che ha tenuto insieme questa variegata coalizione d’interessi è stata la pressione per ottenere dalle esangui casse pubbliche, dal bilancio dello Stato, sempre più risorse finanziarie in nome di una solidarietà nazionale tra privilegiati e diseredati che oggi non incanta più nessuno. Il risultato? Basti leggere le cifre sul flop dei fondi europei per gli anni 2000-2006, che a quattro anni di distanza dal termine della programmazione non sono stati ancora tutti spesi e quelli che lo sono stati si sono dispersi in mille rivoli. Analoga considerazione vale a tutt’oggi per il nuovo ciclo dei fondi europei, quelli per gli anni 2007-2013, che languono nei bilanci delle Regioni meridionali, e vale ugualmente per il FAS (Fondo aree sottoutilizzate). E poi i politici meridionali strillano contro l’egoismo dei cittadini del Nord d’Italia e dei leghisti che ne sono i portabandiera...
Bisogna dunque cambiare strada, presto e radicalmente. Mi sono convinto, come cittadino prima ancora che economista, e pure come sopravvissuto ad una poco esaltante esperienza di assessore alla Regione Campania dal 2008 al 2010, che le misure utili per il risorgimento del Mezzogiorno non sono per niente misure, diciamo, interventiste quali mi appaiono quelle propugnate da “Italianieuropei”, tipo una politica industriale o un grande programma d’investimenti nazionale e regionale, oppure ancora fantomatici tavoli di programmazione per investire in cultura e turismo. Sono utili, a mio avviso, politiche di stampo liberaldemocratico che allentino la manomorta del ceto politico, ridiano fiato a quegli agenti di mercato autenticamente protesi a creare nuove fonti di ricchezza e di lavoro fuori della tutela oppressiva di programmatori a loro dire benevolenti che non hanno competenze né interesse a valutare progetti imprenditoriali.
Per l’industria servono incentivi automatici, non discrezionali (come il credito d’imposta). Altri incentivi sono distorsivi, oppure pretendono di compensare con erogazioni monetarie diseconomie territoriali che frenano le imprese.
C’è poi bisogno d’invocare politiche speciali per il Sud per soddisfare i diritti di cittadinanza (salute, istruzione, assistenza) della popolazione, oppure per politiche attive del lavoro, oppure ancora per irrobustire la difesa dell’ordine pubblico e il contrasto al crimine? Non c’è bisogno di tutele e dunque non servono tutori, men che mai tutori politici famelici percettori d’indennità che, come nel caso di assessori e consiglieri regionali della Campania, superano dieci volte il reddito medio di un cittadino.

Altri interventi:

Gianfranco Viesti commenta le proposte per una nuova politica di sviluppo per il Mezzogiorno pubblicate da Italianieuropei.

 

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Foto: Simona Tonna

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