– Riceviamo e volentieri pubblichiamo –
La rivoluzione in Egitto è definitivamente fallita? Gli uomini di Mubarak sono stati scagionati, le prigioni si riempiono degli attivisti che affollarono piazza Tahrir e al governo c’è un regime che trae la sua legittimazione internazionale anche dalla lotta al terrorismo.
La deposizione di Morsi, esito tanto dello strappo operato con il varo di una nuova Costituzione dalla marcata impronta islamista quanto della fallimentare prova di governo del partito Libertà e giustizia, segna un passaggio cruciale nel complesso processo di transizione delle primavere arabe, rimettendo in discussione ogni precedente considerazione circa il rapporto fra democrazia e Stato islamico.
Resistendo ai generali nelle convulse ore della deposizione, Morsi ha invocato la legittimità democratica della sua elezione, a cui gli oppositori rispondevano con la legittimità della protesta. In questo quadro, gli islamisti sono apparsi come i cantori della democrazia mentre i contestatori, che hanno salutato con gioia l’arrivo dei cingoli nelle strade, hanno loro contrapposto il primato della politica. È un golpe, quello egiziano, che rimette in discussione ogni considerazione circa il rapporto fra democrazia e Stato islamico e che è destinato ad avere ampie ripercussioni sugli equilibri politici dell’area.
I decreti recentemente promulgati dal presidente Morsi, per essere poi ritirati sotto la spinta delle rivendicazioni popolari, hanno rivelato la natura fondamentalmente conservatrice del regime dei Fratelli Musulmani e la sua mancata osservanza dei principi della rivoluzione.
L’elezione di Mohammed Morsi ha effettivamente messo la parola fine alla rivoluzione egiziana? La crisi economica attanaglia il paese e la popolazione sembra al momento più interessata a questa che al cambiamento politico. Eppure la transizione verso la democrazia è ancora lontana dal suo completamento. È possibile che ci si debba aspettare qualche altra mossa da Piazza Tahrir?
Il 23 e 24 maggio si è tenuto in Egitto il primo turno delle elezioni presidenziali dell’era post Mubarak. Sebbene le elezioni siano state dichiarate regolari, la situazione del paese – ancora scosso dagli scontri di piazza e da attacchi contro i copti – rimane critica, sia per la mancanza di una nuova Carta costituzionale, sia per le incertezze sul ruolo che i partiti islamisti e l’esercito giocheranno in futuro.
Le prime elezioni politiche dopo la caduta dei regimi autoritari di Tunisia ed Egitto hanno portato alla ribalta esponenti dell’Islam politico, quali Ennahda e il partito Libertà e giustizia, braccio politico dei Fratelli Musulmani. Queste formazioni sono state premiate per la loro costante opposizione alle dittature, per il loro impegno sociale e per la loro capacità di parlare trasversalmente a classi sociali diverse. La transizione democratica in corso sarà il banco di prova della loro volontà e capacità di coniugare Islam e democrazia.
All’inizio dello scorso anno l’anelito verso la dignità e la giustizia sociale aveva fatto riversare centinaia di migliaia di egiziani per le strade. Oggi l’Egitto ha un Parlamento democraticamente eletto, ma è lecito chiedersi se gli obiettivi della rivoluzione siano stati effettivamente raggiunti. Le elezioni hanno realmente sancito la fine del regime e la fine della rivoluzione?
L’anima e il motore della recente rivolta egiziana sono stati i giovani. Giovani istruiti, organizzati in movimenti nati o ampliatisi grazie a internet e ai social network, in grado di coinvolgere nella lotta l’intera popolazione e di negoziare con le forze armate. Giovani oggi chiamati a “inventare” e incarnare la leadership di domani.