La Revolución Ciudadana si apre agli investimenti privati

Written by Gianandrea Rossi Monday, 01 July 2013 16:12 Print
La Revolución Ciudadana si apre agli investimenti privati Foto: Presidencia de la República del Ecuador

Ha da poco avuto inizio il terzo mandato di Rafael Correa, dal 2006 presidente dell’Ecuador impegnato nella realizzazione della Revolución Ciudadana. La governabilità del paese, che la schiacciante vittoria elettorale gli regala, e l’affrancamento dagli alleati più radicali permetteranno a Correa una svolta importante della sua strategia politica, in particolare per quel che concerne la politica degli investimenti e lo sfruttamento delle risorse minerarie del paese.


Lo scorso 24 maggio si è svolta la cerimonia di insediamento del presidente eletto dell’Ecuador, Rafael Correa, confermato, dopo il successo elettorale di febbraio, per il suo terzo mandato (2013-2017). La cerimonia ha avuto luogo alla presenza di circa novanta delegazioni internazionali, fra le quali diversi capi di Stato, come Ollanta Humala (Perú), Sebastián Piñera (Chile), Michel Martelly (Haiti), Laura Chinchilla (Costa Rica), Porfirio Lobo (Honduras), Mahmud Ahmadinejad (Iran), Nicolás Maduro (Venezuela), Evo Morales (Bolivia), Danilo Medina (Repubblica Dominicana), Juan Manuel Santos (Colombia) e Mikheil Saakashvili (Georgia). Erano inoltre presenti l’erede al trono di Spagna, e per l’Italia, il sottosegretario agli Esteri Mario Giro.

Dopo aver vinto nel 2006 (al secondo turno, con il 56,6% e circa 3,5 milioni di voti), nel 2009, dopo la riforma costituzionale del 2008 (51,99% e 3,5 milioni di voti conquistati al primo turno), Rafael Correa torna a vincere al primo turno ottenendo il 57,1% dei consensi e un netto incremento di voti, circa 4,9 milioni. Il suo principale contendente, Guillermo Lasso, si è fermato al 22,7%, sotto quota due milioni di voti (1,95). A seguire, si sono classificati l’ex presidente Lucio Gutiérrez, che ha preso il 6,7% dei voti, Mauricio Rodas, che ha raggiunto il 3,9% e l’imprenditore Álvaro Noboa, fermatosi ad appena il 3,7%. L’ex alleato di Correa, Alberto Acosta, si è invece fermato al terz’ultimo posto con il 3,2%, davanti a Norman Wray (1,31%) e al pastore evangelico Nelson Zavala (1,23%).

L’altra importante vittoria del presidente ha riguardato il posizionamento delle forze parlamentari: la coalizione di governo ha conquistato, infatti, una maggioranza netta all’Asamblea Nacional. Il partito del presidente, Alianza PAIS, si è aggiudicato con il suo 54,2% dei consensi la maggioranza assoluta dei seggi (ovvero 100 dei 137 dell’Asamblea Nacional); Avanza, piccolo partito alleato di Correa, ha conquistato 5 seggi. Sconfitta invece per il partito CREO di Guillermo Lasso, che ottiene 12 seggi (diventando però la seconda forza parlamentare), seguito dal Partido Social Cristiano, con 6 seggi. Netta la sconfitta di Lucio Gutiérrez, il cui partito scende da 19 seggi a 6. Stesso numero di seggi anche per la formazione politica di sinistra e “indigenista” formata da Unidad Plurinacional de las izquierdas di Alberto Acosta e dal Movimiento Popular Democrático dell’indigeno Pachakutik.

Il risultato delle elezioni garantisce la piena governabilità (a differenza del precedente mandato) e Correa si avvia a governare per i prossimi quattro anni l’Ecuador, con l’idea di lasciare la presidenza al momento della sua scadenza naturale nel 2017.

La riconferma di Correa coincide con la maturazione di un’istanza, già da tempo presente nell’esecutivo, di progressivo orientamento agli investimenti dell’agenda della “Revolución Ciudadana”, la rivoluzione dei cittadini. Tale mutamento ha determinato l’allontanamento di alcune componenti più radicali e indigeniste, come il Movimento Popular Democratico, in passato alleato di Correa e oggi suo rivale, che però non si sono tradotte in un’erosione dei consensi elettorali del presidente. Sin dalle prime mosse del nuovo mandato di Correa, sembra che la questione degli investimenti sarà destinata a orientare i prossimi anni di governo.

Durante il traspaso de mando presidencial – avvenuto per mano della neoeletta presidente dell’Asamblea Nacional Gabriela Rivadeneira, giovane promettente esponente (ha 29 anni) di Alianza PAIS – Correa ha introdotto alcuni elementi di novità, senza intaccare però l’ispirazione classica del suo governo e ribadendo l’intento di rafforzare la Revolución Ciudadana. Tra le sfide lanciate emergono quella di mantenere il livello di spesa pubblica raggiunto che ha garantito lo sviluppo del paese, «la difesa dei più deboli», l’estensione del «controllo dello Stato a nuovi settori come l’acqua, la terra e la comunicazione». «Dobbiamo ancora fare molta, molta strada – ha detto il presidente – per riuscire a costruire l’Ecuador che sogniamo». Correa ha poi passato in rassegna il successo economico delle due passate gestioni, citando molti dati, come il ritmo della crescita raggiunto (in media il 4,3%) e il livello di investimenti pubblici (11 miliardi di dollari), l’importanza del tema della sovranità energetica e del dialogo politico (annunciando che il suo governo intenderà dialogare con l’opposizione democratica). Correa ha inoltre utilizzato toni molto duri e retorici, contro “l’ordine mondiale” («immorale e ingiusto»), gli organismi internazionali e le associazioni dei diritti umani (come Amnesty International, che mettono in dubbio le capacità di dialogo del governo con le comunità indigene).

A inserire elementi di forte concretezza nella cerimonia (caratterizzata da un’accentuata ritualità), l’intervento del vicepresidente Jorge Glass, che ha giurato congiuntamente al presidente. Nelle sue parole, un richiamo più esplicito alle tematiche dello sviluppo e della crescita economica e soprattutto alla necessità della trasformazione della matrice dello sviluppo economico del paese, con un preciso riferimento al rilancio degli investimenti attraverso un nuova politica mineraria. L’importanza di varare una nuova legge mineraria è stata poi ribadita, a pochi giorni dal suo insediamento, da Correa. E il provvedimento, approvato pochi giorni dopo dall’Asamblea Nacional, introduce tempi brevi e certi per ottenere le concessioni, fissa un tasso di royalties universale, introduce criteri ambientali generali (fra i quali il divieto di utilizzo del mercurio) e tutela i produttori artigianali di oro che diventeranno piccoli imprenditori, abbandonando un’economia di sussistenza. Secondo le dichiarazioni del nuovo ministro coordinatore per i Settori strategici, Rafael Poveda, la riforma approvata da tutta la maggioranza, mira «a dinamizzare il settore minerario».

Il nodo della riforma mineraria, rivolto ad aumentare gli investimenti nel settore, rappresenta un chiaro elemento di evoluzione nella nuova gestione di Correa, funzionale al sostegno del “modello del buen vivir”, basato su un aumento della spesa pubblica di oltre l’80% (dal 2007 ad oggi). Nonostante le molte difficoltà che hanno caratterizzato gli anni passati, soprattutto a causa del forte contrasto con l’opposizione e con il mondo dell’informazione, (nel settembre 2010 vi fu un tentativo di destituzione di Correa), il risultato elettorale premia la guida di Correa e la sua gestione. Rafforzato dal coraggio di prendere progressivamente le distanze da alcune posizioni più radicali ed ecologiste, per giungere a un approccio più concreto, meno indigenista e aperto all’economia degli investimenti, il governo Correa ha puntato con costanza sulle politiche sociali del buen vivir, ottenendo l’uscita dalla povertà di oltre un milione di persone, la riduzione delle disuguaglianze di oltre il 13%, la realizzazione di infrastrutture stradali per oltre 7000 km e oltre 100 mila nuovi posti di lavoro. Tendenza confermata anche alla vigilia dell’ultima tornata elettorale, quando Correa ha affermato che il tema dell’inclusione sociale «non verrà mai abbandonato» proprio in occasione dell’annuncio dell’aumento del buono per “lo sviluppo” (percepito da 2 milioni di persone e che dal 2013 passa da 35 a 50 dollari). Nelle stesse settimane, il governo ha annunciato un incremento dell’8,8% del salario minimo, fino a 318 dollari mensili, e l’aumento del “buono per la casa” di oltre 1000 dollari.

Al di là del carattere elettorale di queste misure introdotte alla vigilia di una campagna molto serrata, appare chiaro il messaggio di forte continuità e impegno a favore dello sviluppo delle fasce più deboli della popolazione. Tuttavia la nuova attenzione agli investimenti nel settore minerario segna il passaggio da un approccio tipicamente ambientalista della Revolución Ciudadana a una visione più aperta, che, pur senza dimenticare la tutela dell’ambiente, si concentra sull’opportunità di mettere a frutto le risorse naturali del paese per poter continuare a sostenere le politiche sociali che hanno segnato il successo della Revolución Ciudadana (dando seguito peraltro a quanto già fatto in materia petrolifera nel 2009, con la rinegoziazione dei contratti con le compagnie per aumentare i proventi del petrolio per lo Stato). Così, mentre perde di centralità mediatica la campagna per la raccolta fondi per il parco ITT Yasuní, considerata per anni la bandiera di un cambiamento di mentalità in materia di sfruttamento delle risorse naturali (molto affascinante dal punto di vista teorico, ma ben lungi ancora dall’avere una concretezza finanziaria), ha assunto sempre maggiore importanza nell’ultima campagna elettorale il tema del rilancio dello sfruttamento delle risorse naturali come strumento di sviluppo del paese.

Il governo, attraverso Rafael Poveda, ha rimarcato il carattere strategico di questa inversione di tendenza: «In Ecuador l’attività mineraria non è un’opzione, è una necessità indispensabile. Dobbiamo approfittare delle nostre risorse naturali. Dobbiamo capire come questi investimenti possano essere più efficienti, possano generare più lavoro indotto di quanto accade oggi». Secondo le stime del governo, le risorse minerarie dell’Ecuador ammontano a circa 217 miliardi di dollari (di cui 167 di rame, 22 di oro, quasi 2 di argento).

Il nuovo modello “estrattivista” dovrà affrontare nuove massicce proteste. Il presidente della Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador (Conaie) [Confederación de Nacionalidades Indígenas de Ecuador], Humberto Cholango, ha dichiarato con forza la contrarietà del movimento indigeno a questo provvedimento: «Noi ci opponiamo alla riforma e alla legge mineraria», che beneficia solo le imprese multinazionali, visto che le royalties verranno applicate «solo dopo il recupero degli investimenti». Inoltre, secondo Cholango «la nuova legge danneggerà l’ambiente e le comunità indigene, e va a distruggere gran parte della nostra biodiversità».

Così, la Revolución Ciudadana, proprio in un momento di rilancio delle sue sfide sociali (come recentemente dichiarato dal presidente che, in occasione dell’insediamento del nuovo governo, ha incitato «A revolucionarnos cada día»), si apre completamente alla priorità degli investimenti: viene abbattuto il tabù ecologico dei primi anni segnando un profondo distanziamento dal modello nazionalista bolivariano (ormai in piena crisi) del vicino Nicolás Maduro, erede dell’amico Chávez – dal quale Correa, senza allontanarsi, ha pur sempre voluto mantenere una propria autonomia. In effetti, dopo anni di crescita sostenuta, Correa ha forse rivalutato l’effetto che un più completo e sistematico sfruttamento delle risorse naturali, senza tuttavia rinunciare ai valori della tutela ambientale e sociale, avrebbe sulle potenzialità di slancio dell’economia del paese (precipitata dal +8% del 2011 al +4,7% del 2012 per effetto della crisi internazionale) e sulla piena realizzazione della Revolución Ciudadana. Secondo alcune stime, un aumento dell’attività mineraria, in pochi anni, potrebbe spingere il piccolo paese sudamericano a un pieno sviluppo, ovvero a raggiungere l’obiettivo “de la Patria chica en la Patria grande”.

La riforma mineraria, sommata al lancio della XI rodada petrolifera (anch’essa fortemente contestata dai settori indigeni con una campagna molto agguerrita, anche a livello internazionale), apre dunque la strada a imponenti investimenti (probabilmente aumenteranno i già consistenti flussi cinesi: pochi mesi fa il governo ha chiuso un accordo di sfruttamento minerario, per un valore di 1,4 miliardi di dollari, con Ecuacorriente, compagnia controllata dai cinesi) e la ricerca di una certa sovranità energetica. In tal senso uno degli obiettivi del governo è mettere insieme la liquidità sufficiente per finanziare il progetto della Rafineria del Pacifico (progetto condiviso con il Venezuela, il cui costo è stimato in oltre 10 miliardi di dollari) per garantire al paese una certa autonomia nel settore della petrolchimica e dei combustibili. Come ha sottolineato Simón Pachano,ricercatore della FLACSO (Facultad Latinoamericana de Ciencias Sociales), questa nuova tendenza lascia «in secondo piano gli obiettivi iniziali di costruire le basi di un’economia post petrolifera, ovvero post estrattivista», basata sull’esportazione di beni con valore aggregato, e piuttosto, mira allo stesso obiettivo proprio attraverso l’aumento degli investimenti: «nel nuovo modello economico l’estrattivismo servirà ad abbandonare… l’estrattivismo», sottolinea Pachano rimarcando come gli investimenti nel settore minerario rappresentino una concreta molla di sviluppo per il paese.

Proprio questo aspetto aumenta il livello di interesse internazionale verso un paese che, per quanto piccolo, sembra destinato a giocare un ruolo nell’imminente futuro delle dinamiche regionali. Dopo la scomparsa di Chávez, infatti, l’Ecuador di Correa, che ha già guidato l’Unasur (l’Unione delle Nazioni Sudamericane) – l’Ecuador peraltro ospita la sede del segretariato nei pressi di Quito –, che si candida a entrare nel Mercosur e che si trova nel pieno delle trattative per un accordo di associazione con l’UE, sembra ambire a potenziare il proprio ruolo nell’area, senza però rinunciare alla peculiarità data dall’ispirazione del buen vivir. Correa si distingue così per la sua autonomia da un modello che, pur mantenendo alcuni “dossier” classici della retorica bolivariana, come l’antimperialismo, la polemica contro il Fondo Monetario Internazionale e la campagna per la cancellazione del debito, si candida oggi a continuare a sostenere il modello sociale del buen vivir riformulando però la visione dello sviluppo “pachamamista” ed ecologica della Costituzione del 2008, e riorientandola verso una forte penetrazione, seppur in un quadro normativo rigido e chiaro, degli investimenti privati nel paese, a costo di mettere da parte il tradizionale radicalismo di alcuni settori indigeni.

 

 


Foto: Presidencia de la República del Ecuador