Il futuro della democrazia in Europa: tendenze, analisi e riforme

Di Philippe C. Schmitter Martedì 01 Marzo 2005 02:00 Stampa

Per essere qualcosa che non esiste, di democrazia si è parlato molto in tempi recenti. Almeno in Europa, la democrazia «reale» sembra avere un futuro promettente, nonostante il fatto che si trovi di fronte una varietà senza precedenti di sfide, così come di opportunità. Il problema non sta tanto nel fatto che le politiche nazionali, subnazionali e sopranazionali che configurano l’Europa divengano o rimangano democratiche, bensì se la qualità di questa rete regionale di democrazie sarà sufficiente ad assicurare il sostegno volontario e la legittima ottemperanza dei suoi cittadini.

«Democrazia è la parola per qualcosa che non esiste»

Karl Popper

 

 

Per essere qualcosa che non esiste, di democrazia si è parlato molto in tempi recenti. Almeno in Europa, la democrazia «reale» sembra avere un futuro promettente, nonostante il fatto che si trovi di fronte una varietà senza precedenti di sfide, così come di opportunità. Il problema non sta tanto nel fatto che le politiche nazionali, subnazionali e sopranazionali che configurano l’Europa divengano o rimangano democratiche, bensì se la qualità di questa rete regionale di democrazie sarà sufficiente ad assicurare il sostegno volontario e la legittima ottemperanza dei suoi cittadini.1

La ragione fondamentale di questo ottimismo è semplice: la democratizzazione degli «stranieri prossimi» d’Europa e la loro conseguente incorporazione nell’insieme della regione. Con il successo di questi sforzi nazionali tesi a un cambio di regime ad Est, l’Europa è divenuta e dovrebbe rimanere un zona ampliata di «pace perpetua», in seno alla quale tutte le tendenze politiche possano risolvere le proprie inevitabili divergenze di interessi in modo pacifico, attraverso il negoziato, il compromesso e la decisione. Esiste oltretutto in Europa un’elaborata rete di istituzioni transnazionali, intergovernative e non governative, che possono contribuire a risolvere tali eventuali conflitti e a stilare norme per scongiurare che si ripresentino in futuro. Ironicamente, questo contesto regionale così favorevole presenta dilemmi impliciti per la democrazia. Molti (se non la maggior parte) dei maggiori progressi storici nel campo delle istituzioni e delle pratiche democratiche si sono prodotti in congiunzione con situazioni di guerra a livello internazionale, di rivoluzione di portata nazionale o di guerra civile. Fortunatamente nessuna di queste invenzioni degne di Archimede, così propizie a stimolare cambiamenti su vasta scala, sembra essere disponibile nell’Europa pacificata dei nostri giorni. Presumiamo comunque che la democrazia non possa solo convivere con la pace, ma possa prosperare in tempo di pace se, però, è in grado di imparare a riformare le istituzioni e le pratiche in modo tempestivo e concertato.

Cerchiamo dunque di trarre alcune conclusioni ipotetiche da questo stato di cose senza precedenti. Primo, le democrazie consolidate dell’Europa occidentale e meridionale troveranno sempre più difficile legittimare le proprie prestazioni mettendole a confronto con quelle attuate sotto regimi di dominio alternativi, tanto reali quanto immaginari. Ora che la liberal-democrazia è diventata la norma in tutta Europa e che l’autocrazia dichiarata persiste unicamente in paesi contrassegnati da culture e strutture sociali molto diverse, i parametri utilizzati per valutare l’operato dei governi (e il loro modo di metterlo in pratica) sono destinati a divenire sempre più «interni» al discorso della teoria democratica normativa, ossia a essere applicati alle diverse concezioni di democrazia promesse dai governi stessi nel corso degli anni e per cui i cittadini si sono tanto duramente battuti in passato. Per cui si osserverà una tendenza a convergere nell’ambito delle istituzioni formali e delle pratiche informali in seno all’Europa, il che, a sua volta, avrà l’effetto di restringere e nel contempo di elevare la gamma di standard politici utilizzati.

Secondo, le nuove democrazie dell’Europa centrale e orientale e la parte occidentale dell’ex Unione Sovietica avranno sempre più difficoltà a legittimarsi basandosi sul puro e semplice assunto che sono tanto oberate dalle eredità lasciate loro dai propri rispettivi regimi autocratici del passato da non essere in grado di rispettare le norme di comportamento e di raggiungere i livelli di prestazione stabiliti dalle democrazie consolidate. Gli standard che i loro cittadini di recente liberati applicheranno nel giudicare coloro che li governano convergeranno rapidamente con quelli già in uso nel resto d’Europa.2 I sistemi politici che si dimostreranno inadatti a raggiungere determinati livelli subiranno ai propri vertici avvicendamenti elettorali più frequenti e potranno addirittura trovarsi minacciati da moti di ribellione popolare, a meno che i loro nuovi governanti non rispettino le regole stabilite dalle democrazie «reali» a Ovest.

Terzo, in entrambi i casi, gli ordinamenti politici in questione potranno migliorare la qualità delle loro rispettive istituzioni e pratiche democratiche attraverso riforme parziali e graduali. Tali riforme, inoltre, dovranno necessariamente essere concepite, approvate e attuate conformemente a regole preesistenti. Raramente, o forse mai, si presenterà l’opportunità di realizzare cambiamenti più capillari, su vasta scala e «fuori dall’ordinario». Dopo tutto, quanti cambiamenti delle regole della democrazia ci si possono aspettare da governanti che hanno essi stessi beneficiato delle norme in vigore? Il normale avvicendamento al potere dei partiti e delle coalizioni politiche potrà, nella migliore delle ipotesi, lasciare uno spiraglio a opportunità di cambiamento di modesta entità.

Quarto, nelle nostre scelte in materia di riforme potenziali delle istituzioni formali e delle pratiche informali dovremo dunque lasciarci guidare da un atteggiamento «possibilista». Ci preoccuperemo meno di ciò che «probabilisticamente» emergerà dalle varie sfide e opportunità che si presentano alle democrazie contemporanee e più di ciò che verosimilmente riteniamo alla portata di suddette democrazie, sempre che i politici «reali» siano in grado di convincere i cittadini «reali» che l’applicazione di queste riforme comporterà un miglioramento significativo della qualità dei loro rispettivi sistemi democratici.

Infine, dovremo prestare estrema attenzione al principio di «trasversalità», il che significa che non ci limiteremo unicamente a valutare i possibili effetti di ogni singola misura di riforma, ma cercheremo di mettere in gioco tutte le nostre capacità collettive e interdisciplinari per individuare le interconnessioni e gli effetti esterni che si verranno a generare se e quando più riforme saranno realizzate tanto simultaneamente che – e questo è più probabile – in sequenza. Il filo conduttore del Libro verde «Il futuro della democrazia in Europa» è rappresentato dall’ipotesi secondo la quale il futuro della democrazia in Europa dipende meno dalla capacità di rafforzare e perpetuare le istituzioni formali e le pratiche informali esistenti che da quella di cambiarle. Come sostiene Robert Dahl, «Qualsiasi forma assuma, la democrazia dei nostri successori non sarà e non potrà essere la democrazia dei nostri predecessori». Non vi è nulla di nuovo in tutto questo. La democrazia ha vissuto in passato molteplici trasformazioni di enorme portata per poter riaffermare i propri principi centrali: la sovranità dei cittadini tra loro eguali e la responsabilità di governanti che eguali non sono. La democrazia è cresciuta in ordine di magnitudine, espandendosi dalla città allo Statonazione; ha ampliato il suo abbraccio nei confronti dei cittadini passando da una ristretta oligarchia maschile a un pubblico di massa di uomini e donne; ha allargato il proprio ambito dalla sfera della difesa contro gli aggressori e dell’amministrazione della giustizia a un vasto ventaglio di politiche associate allo Stato sociale.

Con il Libro verde si è inteso: Identificare le sfide e le opportunità a cui la democrazia europea contemporanea deve far fronte in ragione dei cambiamenti rapidi quanto irrevocabili intervenuti nel contesto democratico nazionale, regionale e globale; specificare i processi e le parti in causa che, sia nelle istituzioni formali sia nelle pratiche informali, subiscono in qualche modo l’impatto tanto delle sfide e opportunità esogene che delle tendenze interne intrinseche alla democrazia stessa; proporre riforme potenziali e auspicabili indirizzate a migliorare la qualità delle istituzioni democratiche in Europa.

 

Sfide e opportunità sono eccezionalmente diversificate e impegnative. Certo, siamo condannati a vivere in «tempi interessanti», tempi in cui il ritmo, la dimensione e la portata dei cambiamenti sembrano davvero essere senza precedenti e, cosa ancor più importante, ben al di là della portata delle unità tradizionali che hanno finora dominato il paesaggio politico. La maggior parte dei problemi odierni sono troppo piccoli o troppo estesi per gli Stati sovrani nazionali di ieri e, di conseguenza, in Europa si è dato vita a un gran numero di esperimenti sia di devoluzione a unità politiche più piccole che di integrazione in entità più grandi. Per la prima volta, la conoscenza del livello di aggregazione a cui le riforme dovrebbero avere luogo è divenuta uasi altrettanto importante che la conoscenza del tenore delle riforme stesse. Il classico interrogativo «che fare?» deve necessariamente avere a corollario il «dove» farlo.

Inoltre, poiché appartengono a un «ambiente relativamente pacifico», le democrazie in questione avranno qualche difficoltà a ricorrere a misure «d’emergenza» o a sospensioni «temporanee» per riuscire a far passare misure di riforma che incontrino una forte opposizione. Diamo per scontato che i governanti saranno tentati di fomentare il senso di urgenza mettendo in rilievo la presenza di nuove minacce e la necessità di avversarle (come «la guerra alla droga», o «la guerra al terrorismo» o ancora «la paura degli stranieri»), così come saranno tentati di sfruttare queste minacce per introdurre riforme antidemocratiche, ma la pluralità delle fonti d’informazione e la concorrenza tra politici dovrebbe limitare questa eventualità nella maggior parte di quei sistemi democratici che possono dirsi ben funzionanti. Il problema cruciale sarà quello di trovare la volontà di riformare le regole esistenti tra quegli stessi governanti che di tali regole hanno beneficiato e che generalmente non sono costretti a realizzare riforme da un’impellente minaccia alla propria sicurezza o al mantenimento del proprio incarico.

Vi è una problematica di natura generica che domina tutte le speculazioni relative al futuro della democrazia: fino a che punto le istituzioni formali e le pratiche informali democratiche ben consolidate si accordano con le condizioni sociali, economiche, culturali e tecnologiche che cambiano ben più rapidamente dei sistemi democratici, ma che a questi fanno da sfondo e dalle quali la stessa democrazia di fatto dipende sia sul piano materiale che sul piano normativo?

Nel Libro verde si identificano le fonti generiche di cambiamento presenti nei vari ambienti della democrazia europea (globalizzazione, integrazione europea, migrazione interculturale, andamenti demografici, prestazioni economiche, cambiamento tecnologico, capacità dell’apparato statale, individualizzazione, mediatizzazione, senso d’insicurezza). Ognuna di queste comporta una sfida, nel senso che rappresenta una minaccia alla sopravvivenza delle norme e delle prassi esistenti, ma comporta anche un’opportunità, poiché genera la possibilità di attuare riforme creative e immaginative che possono realmente migliorare le prestazioni delle liberal-democrazie «reali».

 

Processi e parti in causa

Allo scopo di guidare i nostri sforzi verso un comune obiettivo, è stata utilizzata una definizione di lavoro generica del concetto di democrazia: una democrazia politica moderna è un regime o un sistema di governo in seno al quale i governanti sono ritenuti responsabili delle loro azioni nella sfera pubblica dall’insieme dei cittadini, che agiscono indirettamente attraverso le dinamiche di concorrenza e cooperazione tra i propri rappresentanti. Tale dichiarazione di fatto non «impegna» nei confronti di nessun modello, formato istituzionale o norma decisionale. Lasciando aperta la questione di come i cittadini scelgano i propri governanti, di quali siano i meccanismi più efficaci per garantire l’attribuzione di responsabilità, di come le decisioni collettive vincolanti siano adottate, questa definizione non preclude la validità di quei sistemi democratici che in seguito discuteremo denominandoli «numerici», «negoziali» o «deliberativi».

Tale definizione consente inoltre una divisione tripartitica del lavoro. Tre tipi di interlocutori si combinano infatti attraverso una varietà di processi per produrre la massima espressione della democrazia politica, ovverosia, l’assunzione di responsabilità. Da qui l’analisi delle trasformazioni contemporanee e delle risposte che a queste si danno vengono divise sulla base di quei fattori che influiscono principalmente sulla cittadinanza, sulla rappresentanza e sull’iter decisionale.

In termini più concreti, verrà analizzato l’effetto delle sfide e delle opportunità sopra citate sugli elementi che seguono:

  1. cittadinanza, insoddisfazione verso la politica, identità culturale e protesta;
  2. rappresentanza, partiti politici, società civile; 
  3. iter decisionale, «controllare i controllori», assunzione di responsabilità tra livelli, meccanismi per la consultazione diretta dei cittadini.

Una conclusione generica per ognuna di queste categorie è che le democrazie «reali» in Europa hanno reagito ai cambiamenti intervenuti nel loro ambiente con scarso vigore o tentando di rafforzare le norme e le prassi esistenti. In taluni casi abbiamo riscontrato sforzi estremamente innovativi tesi a trasformare le sfide in opportunità, ma generalmente questi si sono prodotti a livello locale, o comunque non sono riusciti a scongiurare un deterioramento della qualità delle rispettive istituzioni nazionali. I cittadini sono sempre più consci di tale stato di cose e hanno concentrato gran parte del proprio malcontento sui rappresentanti, cioè sui politici in quanto individui e sui partiti in quanto organizzazioni.

 

Raccomandazioni di riforma

Dalla ricerca sulle «parti in causa e i processi» relativi a «sfide e opportunità», è emerso che non solo politici e cittadini sono consapevoli dell’impellente necessità di attuare riforme, ma che reagiscono anche a tale necessità. Contrariamente all’impressione prevalente, secondo la quale le democrazie consolidate dell’Ovest sono eccessivamente sclerotizzate per apportare trasformazioni sostanziali alle proprie norme e prassi, mentre quelle dell’Est si preoccupano unicamente di imitare le norme e prassi occidentali, sono stati rilevati molti esempi di innovazione e sperimentazione. Non è necessario precisare che questi sforzi sono stati molto spesso frammentari e troppo recenti per poter valutare il loro effetto potenziale. Molti sono nati su iniziativa di livelli di governo locale e in seno ad aree di governo specializzate. Ancora più spesso queste riforme aspiravano a offrire ai cittadini e alle parti in causa maggiore trasparenza e partecipazione al processo decisionale. È tutt’altro che sorprendente che i sempre maggiori problemi associati al finanziamento dei partiti e alla corruzione abbiano richiesto interventi a livello nazionale, anche se è opportuno sottolineare che organizzazioni non governative, come Transparency International, e organizzazioni internazionali, quali il Consiglio d’Europa, hanno anch’esse svolto un ruolo importante nell’identificare prestazioni di scarso livello e nel definire gli standard appropriati. Sul fronte delle problematiche più generalizzate della globalizzazione e dei flussi migratori internazionali, gli sforzi di riforma hanno visto protagonisti le organizzazioni transnazionali e gli accordi internazionali, incluse le convenzioni quadro del Consiglio d’Europa inerenti a problematiche come la tutela delle minoranze nazionali, la partecipazione degli stranieri alla vita pubblica e le norme per l’acquisizione della nazionalità. Seppure non fosse stato fondato con questo intento, l’intero «esperimento» dell’integrazione europea potrebbe essere interpretato oggi come un tentativo di rispondere a livello regionale alle sfide poste dalla globalizzazione. Vista la molteplicità dei livelli d’aggregazione e la diversità delle norme e pratiche esistenti tra le democrazie europee, non giunge come una sorpresa il fatto che queste risposte non siano state uniformi e che spesso siano passate inosservate o siano di fatto state sottovalutate.

Infine abbiamo rivolto la nostra attenzione alle raccomandazioni di riforma. Alcune hanno tratto ispirazione dai tentativi che le democrazie europee, in ordine sparso, stanno già facendo per affrontare le sfide e le opportunità di questi «tempi interessanti» nei quali siamo condannati a vivere. Sfortunatamente, però, molti di questi sforzi sono talmente recenti da non permetterci di essere certi che riusciranno effettivamente a migliorare la qualità della democrazia. Inoltre abbiamo preso atto che esistono molteplici aree assai problematiche nell’ambito delle quali si è fatto poco o niente. Ad esempio, è ormai largamente riconosciuto che i cittadini sono sempre meno propensi ad andare alle urne o ad affiliarsi a partiti politici, ma nessuno sembra avere seriamente l’intenzione di far qualcosa in merito.

Nel raccomandare specifiche riforme istituzionali, appare dunque imprescindibile ritornare al punto di partenza, ovvero alla frase «democrazia è la parola per qualcosa che non esiste».

In primo luogo, si deve riconoscere che la promozione della democrazia sarà sempre «un’impresa incompleta». Eventuali successi nell’affrontare problematiche particolari o nel cogliere specifiche opportunità non faranno altro che spostare le aspettative verso altre aree d’interesse in futuro. I cittadini concentreranno le proprie richieste di uguaglianza verso nuove fonti di discriminazione, reclameranno l’assunzione di responsabilità da parte di nuove intersezioni del potere, chiederanno forme di rispetto di se stessi a nuove sfere dell’identità collettiva. Quello che possiamo realisticamente sperare è che le misure di riforma da noi sostenute muovano i sistemi politici verso una direzione positiva, ma non possiamo aspettarci che riescano a colmare definitivamente il «deficit democratico».

In secondo luogo, va nettamente rifiutata l’idea che esista un unico tipo ideale di democrazia che tutti i paesi europei dovrebbero adottare contestualmente o verso il quale dovrebbero gradualmente convergere. Di conseguenza, non sarà compito del Consiglio d’Europa identificare e promuovere una serie di riforme identiche volte a questo scopo. Ogni Stato membro dovrà trovare la propria «giusta» via per far fronte alle sfide e alle opportunità senza precedenti che si pongono alla regione nel suo insieme. Gli uni hanno molto da imparare dagli altri, e il Consiglio d’Europa dovrà svolgere un ruolo attivo di sostegno proprio a questo fine, sebbene i punti di partenza siano molto diversi, così come la portata e la combinazione delle sfide e delle opportunità. Le riforme istituzionali e normative, dunque, non potranno produrre in tutti i paesi che le adotteranno effetti uguali, positivi e con piena efficacia. Riforme accettate con favore dai cittadini di taluni Stati membri potrebbero essere bocciate da quelli di altri. Si potrebbe addirittura asserire che tale diversificazione di intenti e di aspettative rappresenta un elemento salutare per il futuro della democrazia in Europa, poiché assicura una continua varietà di esperimenti politici nell’ambito di una regione del mondo le cui entità sono fortemente interdipendenti e comunque capaci di imparare, sia positivamente che negativamente, dalle esperienze degli uni e degli altri.

 

La «lista dei desideri» in materia di raccomandazioni di riforma3

Le raccomandazioni di riforma sotto elencate non sono animate da nessuno dei tre modelli di democrazia contemporanea in particolare, ma dalla convinzione che tutte le democrazie «reali» esistenti in Europa siano di fatto fondate su una combinazione di tali modelli, e ciò costituisce un fatto positivo.

  • Cittadinanza universale: conferirebbe diritto di voto a tutti i legittimi detentori dello status giuridico di cittadino fin dalla nascita, con uno dei genitori che eserciterebbe tale diritto fino al raggiungimento della maturità politica del soggetto;
  • voto discrezionale: permetterebbe ai cittadini di distribuire il proprio voto su tutto il ventaglio dei candidati conformemente alle proprie preferenze e di votare «nessuno dei nominativi in lista» laddove non ci siano candidati di preferenza;
  • «lotterie» per gli elettori: a ogni elettore sarebbe consegnato un biglietto appartenente a una lotteria delle tre da istituire (una per coloro che votano per la prima volta, una per coloro che votano con regolarità, una per tutti gli altri), con premi volti a distribuire fondi a favore delle politiche pubbliche;
  • mandati condivisi: permetterebbe ai partiti di nominare due candidati a ogni carica, uno che agisca da rappresentante senior, e l’altro come suo vice. La distribuzione delle rispettive competenze dovrebbe essere determinata dai partiti o dai candidati stessi;
  • commissioni consiliari elette con specializzazione propria: si creerebbero organismi rappresentativi (laddove possibile tramite suffragio) volti a fornire consulenza alle autorità in merito a questioni specifiche riguardanti gruppi sottorappresentati: i giovani, i portatori di handicap, i pensionati, gli inquilini e così via;
  • sportelli democratici: si tratterebbe di un sistema nazionale d’informazione e di centri di transazione a livello locale ove cittadini (e residenti stranieri) possano reperire informazioni e modulistica, espletare operazioni d’affari che implichino la partecipazione di tutti gli organismi pubblici ed eventualmente votare elettronicamente per i propri candidati o in occasione dei referendum;
  • guide alla cittadinanza: implicherebbe l’istituzione di un corpo di volontari a bassa retribuzione incaricati di fornire consulenza personale a tutti i nuovi arrivati e a tutti coloro che sono privi di cittadinanza, informandoli in merito ai loro diritti e aiutandoli a cogliere le opportunità loro offerte;
  • commissione consiliare dei residenti: un organismo rappresentativo (laddove possibile eletto) inteso a dare consiglio alle autorità in merito a problematiche specificatamente attinenti ai cittadini stranieri legalmente residenti e a distribuire le risorse stanziate a loro beneficio quando sia necessario;
  • diritto di voto ai residenti stranieri: conferirebbe a tutti i cittadini stranieri, legalmente residenti per un determinato periodo e senza precedenti penali, il diritto di voto nelle elezioni a tutti i livelli di governo, a partire da quelli locali e regionali;
  • servizio civile: si intende la creazione di un obbligo di servizio (a bassa remunerazione) in istituzioni pubbliche o semi-pubbliche per tutti gli studenti successivamente al completamento del ciclo scolastico secondario per un periodo di massimo sei mesi;
  • educazione alla partecipazione politica: gli studenti del ciclo primario e/o secondario avranno l’opportunità di prestare servizio in qualità di assistenti o collaboratori interni presso i rappresentanti in carica, eletti e selezionati, per brevi periodi;
  • chi controlla i controllori: al parlamento si attribuirebbe il potere di ricorrere a esperti, i quali a loro volta avrebbero libero accesso a tutte le istituzioni preposte al «controllo» e sarebbero incaricati di riferire regolarmente in merito al funzionamento delle dette istituzioni;
  • controllori speciali per i controllori dei mezzi d’informazione: un’agenzia speciale, responsabile di fronte al parlamento, sarebbe creata al fine di controllare l’effettivo pluralismo nella proprietà delle imprese della comunicazione di massa e nell’accesso delle forze politiche agli sbocchi mediatici;
  • libertà d’informazione: assicurerebbe, a norma di legge, uguale accesso a tutti i cittadini a una molteplicità di fonti d’informazione e alle attività formative necessarie per attingere a tale informazione;
  • «cartellino giallo» per le legislature: consisterebbe nella possibilità per le assemblee legislative a tutti i livelli di presentare una contestazione formale allorquando ritenessero che i loro poteri giuridici o tradizionali siano stati usurpati da un altro organismo di natura più o meno globale;
  • incompatibilità dei mandati: preclusione per tutti i rappresentanti parlamentari di candidarsi a più di una posizione e, conseguentemente di occupare simultaneamente più di una carica;
  • legislazione quadro: si incoraggiano i livelli di governo più elevati ad approvare norme che conferiscano esplicitamente ai livelli più bassi di governo l’autonomia per apportare adeguamenti significativi alle decisioni normative e di spesa;
  • partecipazione dei cittadini alla finanziaria: una parte dei fondi pubblici allocati ai governi locali dovrebbe essere accantonata per poi essere ripartita sulla base di decisioni adottate da assemblee di cittadini e/oppure una percentuale generale della spesa pubblica dovrebbe essere assegnata, a un più alto livello, tramite referendum;
  • assemblea dei cittadini: si tratta dell’istituzione di un’assemblea di durata annuale composta di cittadini scelti a caso, i quali dovranno esaminare (ed eventualmente respingere) un numero relativamente limitato di progetti di legge loro sottoposti da una minoranza di deputati regolarmente eletti;
  • soglie variabili per la candidatura alle elezioni: alzare la soglia necessaria all’ammissione alle elezioni renderebbe gradualmente più difficile un’eventuale rielezione dei rappresentanti in carica;
  • democrazia interna ai partiti: un meccanismo di incentivi monetari tramite finanziamento pubblico per quei partiti che organizzino assemblee pubbliche per la designazione dei propri candidati e/o per la discussione della posizione del partito in merito a problematiche sostanziali;
  • buoni di finanziamento a beneficio delle organizzazioni della società civile: il sovvenzionamento di associazioni e movimenti che accettino uno status semi-pubblico tramite il pubblico finanziamento di una quota fissa versata da tutti i cittadini nella dichiarazione dei redditi;
  • buoni di finanziamento dei partiti politici: si tratta di una forma di finanziamento a beneficio di tutti i partiti politici registrati tramite il versamento di una somma fissa da parte dei cittadini al momento del voto. Potrebbe essere associato alla formula di voto al fine di creare un fondo di accumulo per il finanziamento di nuovi partiti;
  • referendum e iniziative: sarebbe necessario promuovere l’estensione delle forme di consultazione diretta dei cittadini a tutti i livelli di governo, sulla base di un decalogo prestabilito di regole atte a proteggere le autonomie locali e a garantire la corretta redazione degli enunciati;
  • sostegno elettronico a candidati e parlamenti (smart voting): si tratterà di mettere a disposizione di tutti i cittadini questionari a cui rispondere su base volontaria e relativi alle preferenze politiche dell’interpellato prima di una consultazione elettorale in modo tale che queste preferenze possano essere messe in sintonia con quelle dei candidati;
  • monitoraggio elettronico e sistemi di delibera on-line: consiste nel realizzare un sistema organizzato e finanziato in ambito pubblico per seguire l’attività legislativa di tutti i rappresentanti eletti e per comunicare con questi ultimi; voto postale ed elettronico: facilitare l’utilizzo di mezzi facili e sicuri di voto postale, come tappa intermedia verso un’eventuale diffusione generalizzata del voto elettronico, una volta risolti i problemi di sicurezza;
  • il Consiglio d’Europa come vettore di promozione delle riforme democratiche: creare un gruppo di lavoro permanente composto di politici e accademici al fine di identificare gli esperimenti realizzati nell’esercizio della democrazia, di valutare l’impatto delle riforme effettive, e di divulgare quanto riscontrato in tutti gli Stati membri.

La liberal-democrazia politica, come attualmente esercitata in Europa, non è «la fine della storia». Non solo può essere migliorata, ma deve esserlo, se vuole mantenere il legittimo rispetto dei propri cittadini. Lo ha fatto già più volte in passato per reagire di fronte all’insorgere di nuove sfide e opportunità, e non c’è ragione di pensare che non possa tornare a farlo oggi.

Nel Libro verde si è cercato di attingere alla nostra immaginazione collettiva in quanto professionisti teorici e pratici della politica per dare corpo a suggerimenti di riforma in grado di migliorare la qualità della democrazia in Europa e di renderla più legittima in futuro. Alcune di queste riforme sono già state introdotte, in genere su base sperimentale, e in ben pochi sistemi politici; la maggior parte, invece, non hanno neppure iniziato. Saremo i primi ad ammettere che non tutte queste riforme sono ugualmente urgenti, fattibili, o auspicabili. Sta ai politici democratici decidere quali riforme siano le migliori e quali meritino un trattamento prioritario.

Possiamo, tuttavia, offrire alcune riflessioni conclusive su quelle riforme che a nostro avviso dovrebbero essere prese in considerazione con maggiore urgenza. Secondo il nostro giudizio il problema principale di natura generica della democrazia contemporanea europea è collegato al diminuire della fiducia che il cittadino ripone nelle istituzioni politiche e nella partecipazione ai processi democratici. Ne consegue che tutte le riforme intese a incrementare l’affluenza alle urne, a stimolare l’appartenenza ai partiti politici, alle associazioni e ai movimenti, nonché a infondere fiducia nel ruolo dei politici in quanto rappresentanti e legislatori, meritano una considerazione prioritaria, soprattutto nel caso in cui queste stesse riforme rendano più animata la vita politica. Il secondo problema in ordine d’importanza riguarda il numero sempre crescente di stranieri residenti e il loro status politico in quasi tutte le democrazie europee. A qualsiasi misura destinata a incorporare questi non-cittadini nel processo politico è dunque necessario accordare un alto grado di priorità.

Vorremmo inoltre concludere con un monito alla cautela. Le singole riforme alle regole del gioco democratico sono raramente risultate efficaci «da sole». Sono stati semmai pacchetti di misure correlate tra loro a produrre gli effetti migliori in termini di miglioramento delle prestazioni e della legittimità. Talvolta questo è stato il risultato di un calcolo esplicito e razionale dei fattori interdipendenti in gioco, ma molto più spesso si è trattato del prodotto del processo politico di per sé, con il suo inevitabile bisogno di alleanze legislative, di compromessi tra forze concorrenti e concessioni da accordare ai gruppi più recalcitranti. In altre parole nelle democrazie «reali», la configurazione delle misure di riforma è quasi sempre imperfetta, e lo è ancor di più allorquando il suo obiettivo è quello di cambiare le future regole di concorrenza e cooperazione tra forze politiche.

A onor del vero, oltretutto, i riformatori non hanno avuto grande successo nel prevedere tutte le conseguenze delle misure che hanno essi stessi introdotto. Nella quasi totalità dei casi questi cambiamenti hanno generato conseguenze diverse da quelle perseguite, alcune positive, altre meno. Non dobbiamo mai dimenticare che in un ordinamento societario libero e democratico gli individui e le organizzazioni toccate dalle innovazioni politiche reagiranno a queste stesse innovazioni, e molto spesso lo faranno in modo imprevedibile. E ancor più significativo è il fatto che cercheranno di «addomesticarle», cioè di sfruttarle a proprio vantaggio e, non di rado, di distorcerle in modo tale da proteggere interessi consolidati.

Questa premessa induce alla cautela, soprattutto laddove si introducano riforme dal carattere genuinamente innovativo. Idealmente queste misure dovrebbero inizialmente essere trattate come esperimenti politici e attuate in contesti selezionati: in genere a livello locale o regionale. Solo dopo che i loro effetti saranno stati sistematicamente controllati e valutati, da un’agenzia imparziale e multinazionale come il Consiglio d’Europa, potranno essere trasposte ad altri livelli dello stesso sistema politico o ad altri Stati membri.

Le nostre democrazie in Europa possono essere riformate, possono essere cambiate in modo tale da conformarsi più fedelmente a quella «parola che non esiste» e, così facendo, possono riconquistare quella fiducia nelle istituzioni e quella legittimità dei processi che sembrano aver perso per strada negli ultimi decenni. Ma non sarà cosa facile, e sarà necessaria la saggezza collettiva dei politici teorici e pratici di tutti i quarantacinque Stati membri del Consiglio d’Europa per identificare quali riforme siano le più auspicabili, per valutarne le conseguenze e, infine, per condividere le lezioni tratte da queste esperienze gli uni con gli altri. Con il Libro verde per il Consiglio d’Europa speriamo di avere contribuito a dare il calcio d’avvio a tale processo.

 

 

Bibliografia

1 Questo articolo è tratto dal Libro Verde «The future of democracy in Europe» a cura di Philippe C. Schmitter e Alexander H. Trechsel, commissionato dal Segretario generale del Consiglio d’Europa, nell’ambito del progetto «Making democratic institutions work».

2 Non c’è bisogno di ricordare che le raccomandazioni e le convenzioni del Consiglio d’Europa hanno svolto un ruolo chiave tanto nella determinazione che nel monitoraggio di queste norme in entrambi i gruppi di paesi sopracitati.

3 Queste raccomandazioni non sono state approvate con lo stesso grado di entusiasmo da tutti i partecipanti al nostro gruppo di lavoro, ma abbiamo cercato di seguire le stesse linee guida e di discuterle approfonditamente tra di noi prima di proporle.