Par condicio locale, par condicio più debole

Di Pierluigi Mazzella Martedì 01 Giugno 2004 02:00 Stampa

Senza grande clamore, la par condicio politica sulle radio e televisioni locali è cambiata. Eccome. Le disposizioni che l’Autorità per le comunicazioni si trova a fare osservare in occasione delle consultazioni europee e amministrative del 2004 non sono le stesse applicate nelle precedenti campagne elettorali. La legge n. 313 del 2003 ha, infatti, modificato la legge n. 28 del 2000, introducendo un diverso regime in materia di comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione per le trasmissioni di quelle emittenti che esercitano la radiodiffusione in ambito locale.

Senza grande clamore, la par condicio politica sulle radio e televisioni locali è cambiata. Eccome.

Le disposizioni che l’Autorità per le comunicazioni si trova a fare osservare in occasione delle consultazioni europee e amministrative del 2004 non sono le stesse applicate nelle precedenti campagne elettorali. La legge n. 313 del 2003 ha, infatti, modificato la legge n. 28 del 2000, introducendo un diverso regime in materia di comunicazione politica e di parità di accesso ai mezzi di informazione per le trasmissioni di quelle emittenti che esercitano la radiodiffusione in ambito locale. La «novella» ha lasciato a un codice di autoregolamentazione (proposto dalle stesse emittenti locali, deliberato dall’Autorità ed emanato con decreto del ministro delle comunicazioni) di dare attuazione al principio del pluralismo nella programmazione.

Il risultato è una consistente deregulation che tocca, in modo sensibile, la comunicazione e l’informazione politica sui media locali; con una par condicio che, alla fin fine, diviene «bifronte», perché fortemente divaricata tra la riaffermazione di regole consolidate nell’impianto originario, per l’emittenza nazionale, e un nuovo laissez faire votato alla massima libertà d’impresa, per l’emittenza locale. Gli elementi di diversità della disciplina, a seconda dell’ambito di radiodiffusione, riguardano, soprattutto, i cosiddetti messaggi politici autogestiti e i programmi di informazione.

Alle radio e TV nazionali private, sin dal 2000, è data la facoltà di trasmettere, gratuitamente, messaggi autogestiti per la presentazione di liste e programmi politici, ma solo secondo precisi criteri. I messaggi sono ripartiti in modo paritario tra i soggetti politici; devono motivare un programma o un’opinione politica e avere una durata delimitata nel minimo e nel massimo; non possono interrompere altri programmi; hanno un’autonoma collocazione e sono trasmessi in appositi contenitori, limitati nel numero giornaliero; non sono computati nel calcolo dei limiti di affollamento pubblicitario. Peraltro, nessuna lista o coalizione politica può diffondere più di un certo numero di messaggi in ciascuna giornata di programmazione.

Quanto alle radio e TV locali, possono invece trasmettere, oltre che gli stessi messaggi a titolo gratuito (ma rimborsati dallo Stato), anche messaggi a titolo oneroso, pagati dai soggetti politici. Ebbene, la legge n. 313 del 2003 ha abrogato le originarie prescrizioni relative ai messaggi a pagamento, facendoli così diventare messaggi no limits. Saltano, innanzitutto, i due paletti introdotti dalla legge n. 28 per allontanare concettualmente i messaggi autogestiti da forme comunicative riconducibili allo spot elettorale o comunque alla cosiddetta pubblicità politica: il richiamo alla motivazione del programma o dell’opinione politica; il tempo minimo e massimo del messaggio.

Nulla sembra più impedire al messaggio trasmesso sulla televisione locale, pagato dal partito o dal singolo candidato, di acquisire le più diverse fogge. Potrà durare meno di un minuto o più di tre e le tecniche comunicative ne potranno assicurare la migliore spettacolarità o capacità di suggestione. Del resto, che il messaggio autogestito oneroso possa riavvicinarsi a format di tipo pubblicitario si evince indirettamente anche da un altro elemento. Con riferimento ai «nuovi» messaggi a pagamento sulle emittenti locali, non è stata più riprodotta dalla legge n. 313 del 2003 (a questo punto, con ragione) la norma che li esclude dal calcolo dei limiti di affollamento pubblicitario.

Ancora, ai medesimi messaggi politici, dalle forme e dalle modalità comunicative più flessibili, non è più richiesto, come in passato, di essere ripartiti in modo paritario tra i soggetti politici; di non interrompere altri programmi, di avere una autonoma collocazione e di essere trasmessi in determinati contenitori; di subire limitazioni, nel numero, per la trasmissione in ciascun contenitore o per la provenienza da uno stesso soggetto politico. Molto più semplicemente, tra i partiti politici e i candidati, chi ha i soldi e prima arriva, paga e compra il maggior numero possibile di spazi offerti dall’emittente con un avviso che fissa tariffe uniformi. Di modo che, da una parità di condizioni dei soggetti politici nell’accesso agli spazi per i messaggi a pagamento, si è passati a una mera parità dell’offerta economica.

Ma la divaricazione dell’attuale par condicio politica, a seconda del livello di radiodiffusione, riguarda anche gli stessi programmi d’informazione in periodo elettorale. Diversa è, infatti, la disciplina per le trasmissioni delle radio e TV nazionali private e della RAI e quella per le trasmissioni delle radio e TV locali. Al primo gruppo, si applicano ex lege, in via di principio, la garanzia della parità di trattamento, obiettività, completezza e imparzialità dell’informazione; quindi, in attuazione dei principi, il divieto di dare indicazioni o preferenze di voto; l’obbligo di tenere in trasmissione un comportamento corretto e imparziale, così da non esercitare alcuna influenza sulle libere scelte degli elettori. Resta poi in vigore la residua disposizione della legge n. 515 del 1993, secondo cui, nelle trasmissioni giornalistiche, la presenza di candidati e di figure politico-istituzionali deve rimanere limitata all’esigenza di assicurare la completezza e l’imparzialità dell’informazione; la loro presenza è, invece, vietata in tutte le altre trasmissioni.

Gli ultimi regolamenti della Commissione di vigilanza RAI e dell’Autorità per le comunicazioni, attuativi della legge n. 28, hanno poi articolato con maggior rigore, rispetto al passato, le suddette norme di legge. Come di consueto, le posizioni dei diversi soggetti politici in competizione devono essere rappresentate in modo corretto e obiettivo, evitando sproporzioni nelle cronache e nelle riprese. Mentre, per la prima volta, è stato sancito l’obbligo di una presenza equilibrata dei partecipanti alle elezioni, garantendo sempre e comunque un contraddittorio equilibrato, nei programmi di approfondimento informativo. In altre parole, a quelle trasmissioni, che si trovano, per la trattazione giornalistica di temi politico-elettorali, «al confine» con quelle più propriamente riconducibili alla comunicazione politica, è stato richiesto di seguire, nel corso della campagna elettorale, la regola della partecipazione di tutti e del contraddittorio «necessario» in ciascuna trasmissione.

Quale disciplina riserva, invece, la legge n. 28 del 2000, come modificata dalla legge n. 313 del 2003, ai programmi di informazione trasmessi dalle emittenti radiofoniche e televisive locali? Fermi nero su bianco i soli principi fondamentali (pluralismo, parità di trattamento, obiettività, imparzialità ed equità nei programmi di informazione), scompare, invece, la loro declinazione, limitandosi il codice di autodisciplina a prescrivere il solo divieto di fornire indicazioni o preferenze di voto. La legge n. 313 rende poi inapplicabile alle TV e radio locali la suddetta norma della legge n. 515 del 1993: cosicché la presenza in trasmissione di personalità politiche non incontra più limiti espliciti.

La «novella» del 2003 ha, altresì, portato a una diversità dei regimi sanzionatori. Nei riguardi delle emittenti locali, sia le sanzioni ripristinatorie della par condicio politica violata, che quelle pecuniarie in caso di inottemperanza agli ordini di riequilibrio dell’Autorità, sono state sensibilmente ammorbidite. La politica di laissez faire, votata alla massima libertà d’impresa per l’emittenza locale, non ha di certo portato ad affermare il motto «meno obblighi, ma sanzioni più severe».

Concludendo, è di tutta evidenza che la cosiddetta par condicio politica, soprattutto sotto elezioni, è materia di grande delicatezza. Costituisce, infatti, il crocevia in cui si incontrano/scontrano diversi valori e interessi delle «parti in commedia»; valori e interessi, tutti di riconosciuto rango costituzionale. Entrano in gioco il diritto a una informazione plurale del cittadino; il diritto dei partiti politici a una corretta competizione elettorale; la libertà d’impresa economica, ma anche quella più propriamente editoriale, dell’emittente; il diritto di cronaca del giornalista.

La soluzione dei conflitti tra gli interessi costituzionali dipende, in questo come in altri frangenti, da un bilanciamento, secondo ragionevolezza, diretto a stabilire la misura di prevalenze e soccombenze. Questa ponderazione è svolta dal legislatore e resta, sempre e comunque, soggetta al vaglio di legittimità della Corte costituzionale. La legge n. 313 del 2003, nel dettare le nuove regole relative alla par condicio politica ed elettorale nelle radio e TV locali, ha sostenuto maggiormente, nel suddetto giudizio di prevalenza, le ragioni della libertà d’impresa economica ed editoriale delle emittenti locali private.

Nel 2002, la sentenza n. 155 della Corte costituzionale, nel rigettare varie questioni di legittimità, si è espressa sulla legge n. 28 del 2000 (prima della riforma del 2003). Ne ricordiamo solo alcuni leit motiv: il diritto alla completa e obiettiva informazione del cittadino è tutelato soprattutto con riguardo al valore costituzionale primario del corretto svolgimento del confronto politico su cui si fonda il sistema democratico; deve essere sempre valutato se il pluralismo esterno dell’emittenza privata sia sufficiente o se debbono concorrere ulteriori misure ispirate al principio della parità di accesso delle forze politiche; la peculiare diffusività e pervasività del messaggio televisivo giustifica l’adozione di una disciplina più rigorosa, capace di impedire impropri condizionamenti nella formazione della volontà degli elettori.