La sinistra a Trento: solo un caso locale?

Di Pierangelo Giovanetti Sabato 01 Novembre 2003 02:00 Stampa

Il Corriere della Sera gli ha dedicato un editoriale in prima pagina di Paolo Franchi dal titolo emblematico: «Trentino, vince l’Ulivo che guarda al centro». In effetti la schiacciante vittoria di Lorenzo Dellai e del centrosinistra (60,82% contro il 30,67% della Casa delle Libertà) nelle elezioni amministrative dello scorso 26 ottobre per la provincia autonoma di Trento, nonostante sia riferita a una realtà del tutto particolare ad autonomia speciale, unico territorio italiano insieme a Bolzano dove la devoluzione e il federalismo sono già realtà consolidate da lungo tempo, rappresenta un interessante indicatore a livello nazionale di un modello vincente di centrosinistra.

 

Il Corriere della Sera gli ha dedicato un editoriale in prima pagina di Paolo Franchi dal titolo emblematico: «Trentino, vince l’Ulivo che guarda al centro». In effetti la schiacciante vittoria di Lorenzo Dellai e del centrosinistra (60,82% contro il 30,67% della Casa delle Libertà) nelle elezioni amministrative dello scorso 26 ottobre per la provincia autonoma di Trento, nonostante sia riferita a una realtà del tutto particolare ad autonomia speciale, unico territorio italiano insieme a Bolzano dove la devoluzione e il federalismo sono già realtà consolidate da lungo tempo, rappresenta un interessante indicatore a livello nazionale di un modello vincente di centrosinistra.

Lorenzo Dellai, infatti, l’inventore della Margherita, benché abbia messo in campo una coalizione di forze che supera l’Ulivo tradizionale inglobando il partito autonomista ed escludendo la sinistra antagonista, può considerarsi per molti versi un innovatore nel solco del prodismo. Nel profondo nord, in un cattolicissimo Trentino, dove la disoccupazione è al 2,4% (piena occupazione) e i consumi (anche di libri e giornali) sono a livello europeo, è riuscito a portare a vittoria l’alleanza del centro con la sinistra, nel nome di un forte legame territoriale, di una spiccata vocazione amministrativa (il partito dei sindaci è stata definita da taluni, anche criticamente, la Margherita) e di un ambizioso progetto di governo che ha tra i suoi punti di forza l’internazionalizzazione del Trentino e l’innalzamento della spesa per la ricerca al 6% del bilancio provinciale (oltre 200 milioni di euro l’anno).

 

Un leader di centro che guarda a sinistra

Il primo ingrediente di questa vittoria è la presenza di un leader forte, di centro (sinistra democristiana), moderato (pur con esperienze nella Rete di Leoluca Orlando), con un passato di amministratore (otto anni da sindaco di Trento e cinque da presidente uscente della provincia, anche se ha solo 43 anni), che guarda a sinistra (nonostante un marcato antagonismo con una parte dei DS non ha mai messo in discussione l’alleanza a sinistra). La grande capacità di Dellai è stata quella, a differenza di quanto è avvenuto nel vicino Lombardo-Veneto, di aver convogliato nel centrosinistra il grosso del popolo democristiano dopo la fine della DC che in Trentino, prima del crollo del muro di Berlino, sfiorava il 50% dei consensi (elezioni provinciali 1988). Dellai ha saputo dar vita a uno schieramento che al suo interno ha i Verdi di Marco Boato e la Quercia (suo vice in giunta provinciale nella scorsa legislatura è stato Roberto Pinter, eletto nei DS ma provieniente da Democrazia proletaria), ma nello stesso tempo ha una forte connotazione di centro, tanto da aver saputo attrarre anche i repubblicani di La Malfa (che a livello nazionale stanno col centrodestra) e il Centro popolare di Renzo Gubert, senatore che a Roma sta con Rocco Buttiglione nella Casa delle Libertà. Dellai ha capito benissimo che la partita col centrodestra si giocava al centro, tanto più in una terra, il Trentino, dove anche ai tempi d’oro del Partito comunista il PCI non è mai andato oltre il 10%. Ma il centro inteso non come formazione politica autoreferenziale intenzionata a perpetuare se stessa nella gestione del potere, ma come luogo della società e dell’elettorato capace di attrarre anche i moderati su progetti riformisti e di sviluppo sostenibile. Un po’ come è stato Riccardo Illy nel vicino Friuli Venezia Giulia.

Che la presenza di un leader di forte popolarità e appeal nonostante certe spigolosità del carattere sia stata determinante, lo dimostra anche l’estrema difficoltà da parte del centrodestra di trovare fino all’ultimo un antagonista, tanto da ripiegare a tre mesi dalle elezioni sul presidente uscente della regione, l’autonomista Carlo Andreotti, eletto dal centrosinistra con vice la diessina Wanda Chiodi, che non si è nemmeno dimesso dalla carica nel momento in cui ha assunto la guida dello schieramento opposto.

 

Il fortissimo legame col territorio

Il secondo elemento che contraddistingue la vittoria del centrosinistra trentino è il fortissimo legame col territorio, che ha fatto della Margherita una sorta di partito territoriale su modello della Volkspartei in Alto Adige o dell’Union Valdotaine in Valle d’Aosta, e ha visto alleato (insieme ai Comunisti Italiani) in nome della comune battaglia per l’autonomia un partito tradizionalmente e visceralmente anticomunista e antisinistra come il PATT (Partito autonomista trentino-tirolese). Grazie a questa precisa connotazione Lorenzo Dellai non solo ha doppiato con la sua coalizione i voti della Casa delle Libertà (170.000 preferenze del centrosinistra contro le 85.600 della CDL), ma ha portato il suo partito, la Margherita (con la lista federata dei ladini UAL), al 27%, il doppio di Forza Italia (13,42%) ma anche dei DS (13,63%).

La lista della Margherita si è infatti caratterizzata (e questo è stato anche il suo limite) in una squadra di sindaci (ne aveva nove al suo interno), presidenti di comprensori (comunità montane), presidenti di APT (aziende di promozione turistica) e riferimenti amministrativi locali, che hanno spazzolato a tappeto come un bidone aspiratutto i voti delle vallate. Stesso forte legame territoriale ha mostrato il PATT, da sempre espressione delle radici culturali trentino-tirolesi, che ha messo in lista sei sindaci e ha riconfermato (dopo la parentesi berlusconiana delle elezioni politiche del 2001) il legame storico con i vicini sudtirolesi di Bolzano, in nome di una comune difesa dell’autonomia, battaglia da tempo ormai intrapresa e cavalcata dallo stesso Lorenzo Dellai.

 

Il progetto strategico del Trentino

L’altro elemento del successo di Dellai è stato l’aver recuperato la tradizione della politica come progetto, come visione di futuro, e non solo come gestione del potere, che in Trentino ha sempre avuto nella DC di Bruno Kessler, leader della sinistra interna, un riferimento preciso. Certo, Dellai ha beneficiato anche del consenso di chi è al governo e gestisce il cospicuo bilancio provinciale pari a quasi 4 miliardi di euro l’anno, e solo di strade e circonvallazioni negli ultimi due anni ha appaltato lavori per oltre duemila miliardi delle vecchie lire. Ma ha saputo mettere in campo anche alcune idee guida trasmesse all’elettorato con messaggi precisi: difesa dell’autonomia (specie dagli attacchi del governo Berlusconi) come capacità di autogoverno e di buongoverno; valorizzazione dei territori e delle vallate (patti territoriali e riforma istituzionale); modernizzazione del Trentino rispettandone la sua identità (laptop e Lederhosen); forte investimento sul sapere: ricerca, ITC (Istituto trentino di cultura), università (l’ateneo di Trento, finanziato dalla provincia, è fra i primi in Italia fra i centri di media grandezza, indagine CENSIS); apertura dell’economia e delle imprese ai mercati esterni e all’internazionalizzazione, ma senza compromettere la coesione sociale del Trentino; stretti legami con l’Alto Adige-Sudtirol e il Tirolo austriaco all’interno dell’Euroregione alpina, recuperando il ruolo di cerniera nord-sud di Trento; diverso rapporto pubblico-privato e progressivo snellimento dell’apparato provinciale, che conta 6.000 dipendenti (compresi gli insegnanti, i bidelli e i cantonieri delle strade).

 

Esclusione della sinistra antagonista e coesione della coalizione

Una scelta precisa del candidato presidente Lorenzo Dellai, che ha pagato favorevolmente in termini elettorali, è stata l’esclusione della sinistra antagonista in nome di una coesione della coalizione. Di questo ne hanno fatto le spese in parte i DS, che hanno visto diminuire i loro voti da 38.107 delle elezioni provinciali 1998 agli attuali 36.777, a favore di Rifondazione Comunista, esclusa dall’apparentamento, che è riuscita a capitalizzare un seggio, raccogliendo 7.661 voti. Su Rifondazione sono confluiti anche parte dei voti di Costruire comunità, il movimento erede dell’esperienza della Rete, che nelle passate elezioni era confluita sui DS, e su cui Dellai aveva posto un veto per il radicalismo di uno dei candidati giudicato non compatibile col resto della coalizione. Uno dei limiti più vistosi della passata esperienza di governo provinciale del centrosinistra era stata infatti la scarsa coesione della coalizione, che si è trovata spesso divisa al momento delle scelte. Per dare maggiore compattezza allo schieramento di centrosinistra autonomista, Dellai non solo ha escluso Rifondazione Comunista (alleandosi però con i Comunisti Italiani, rientrati dopo l’abbandono di Costruire comunità, che comunque con lo 0,86% non hanno totalizzato seggi), ma ha rifiutato l’apparentamento anche alla Lista Di Pietro (1,52%, 4104 voti) e all’UDEUR di Clemente Mastella (0,75% 2.092 voti) per via del candidato prescelto, Giorgio Leonardi, l’accusatore del furto di orologi del presidente del PATT Franco Tretter (che fu per questo condannato). Agli elettori sono state presentate queste scelte come necessarie per una maggiore coesione della coalizione (che vede comunque al suo interno cinque formazioni partitiche: Margherita, DS, PATT, Verdi e Repubblicani) al fine di garantire una forte concretezza di governo e di decisioni amministrative dopo un decennio di instabilità politica, di vuoto decisionale e di transizione infinita successiva alla fine della prima repubblica.

 

Non utilizzo della questione tangentopoli

Una scelta di Dellai, non condivisa peraltro da tutto il centrosinistra, è stata poi quella di non utilizzare la carta di tangentopoli in campagna elettorale. Vero sfidante del centrodestra, infatti, non era tanto Carlo Andreotti, pescato all’ultimo momento per mancanza di meglio, ma Mario Malossini, già pupillo di Flaminio Piccoli e democristiano di lungo corso, ex assessore al turismo ed ex presidente della provincia, arrestato per tangentopoli, condannato per le tangenti dell’Autobrennero e riconosciuto responsabile dai giudici di episodi di corruzione (mazzette dagli albergatori e impegno all’acquisto di terreni da parte dell’ente pubblico in cambio di una villa), ma non condannato per prescrizione dei termini. Malossini, oggi leader di Forza Italia, doveva essere il candidato presidente del centrodestra, ma i veti di AN e Lega hanno costretto Forza Italia a candidarlo solo come capolista degli azzurri. Mentre Lega e AN sono crollate alle elezioni, Mario Malossini ha riscosso un successo personale di tutto rilievo raccogliendo oltre 13.000 preferenze, il più votato del Trentino. Dellai però in campagna elettorale ha espressamente dichiarato di non voler far uso di questo argomento nella lotta politica, ma di contrapporsi al centrodestra per la qualità dei programmi e la concretezza amministrativa. Una scelta apprezzata soprattutto al centro, nella larga fetta di ex democristiani che hanno votato per il centrosinistra.

 

Il tracollo del centrodestra

L’imponente vittoria del centrosinistra deve però una parte dei meriti agli errori del centrodestra, di cui la coalizione di Lorenzo Dellai ha saputo subito approfittare. Oltre alle carenze classiche del centrodestra in Trentino (la mancanza di un leader, la scarsa strutturazione sul territorio, la preferenza del legame con le categorie economiche rispetto al collegamento con la società e la cultura, la scarsità di uomini e di classe dirigente), il centrodestra ha saputo infilare una serie di autogol clamorosi: a cominciare dall’imponente processione dei ministri del governo Berlusconi. Quattordici sono i ministri della Repubblica, più tutta una lunga serie di sottosegretari e viceministri, che sono sfilati in Trentino per chiedere il voto a favore del centrodestra. Ma a beneficiarne è stato solo il centrosinistra. Il ministro alle riforme Umberto Bossi, nel suo comizio a Trento, ha minacciato di bloccare un emendamento importante riguardante lo Statuto dell’autonomia trentina se i trentini non votavano Lega. Il ministro agli affari regionali Enrico La Loggia ha dichiarato di non riconoscere il nome Volkspartei per la SVP perché in Italia non ci può essere un partito con un nome tedesco (anche se si presenta in una provincia a maggioranza tedesca). Il ministro all’ambiente Altero Matteoli si è detto favorevole all’inceneritore a Trento, quando il suo partito a livello provinciale aveva promosso un referendum contro.

Il centrosinistra ha avuto buon gioco a cavalcare lo slogan del governo romano «centralista e antiautonomista», accreditando con facilità il centrodestra come un pericolo per l’autonomia. Inoltre la Casa delle Libertà ha mostrato un altissimo grado di litigiosità interna (non solo fra le liste, ma dentro le stesse liste), superiore a quella, pur presente, nel centrosinistra. Il risultato è che, gli unici a essere stati premiati nella Casa delle Libertà sono stati, come già era capitato in Sicilia, i postdemocristiani dell’UDC, sicuramente per la tradizione bianca del Trentino, ma anche per la bandiera moderata e di equilibrio sventolata dal partito di Follini e Casini, che si è differenziato dagli estremismi e dai toni gridati di Lega e AN, quest’ultima presente ora in consiglio con un esponente della tradizione missina più radicale.

 

I rapporti fra Margherita e DS

Le elezioni del Trentino costituiscono un’utile indicazione anche per quanto riguarda i rapporti fra Margherita e DS all’interno del centrosinistra (anche in vista di un’eventuale lista unitaria per le europee). Così come offrono materiale di riflessione per gli stessi Democratici di Sinistra, analizzando i motivi del mancato successo della lista che, (nonostante l’intesa con i Riformisti dell’ex sottosegretario socialista Mario Raffaelli) si è limitata a conservare intatta la percentuale e il numero dei seggi, ma ha addirittura diminuito il numero complessivo dei voti di 1.330 unità senza sapersi avvantaggiare del trend positivo del partito a livello nazionale.

Che il centrosinistra vinca dove c’è una forte Margherita può valere anche a livello nazionale, ma sicuramente è un dato di fatto per il Trentino. La trasformazione del partito portata avanti da Lorenzo Dellai, pur contestata da una parte del centrosinistra e della stessa area dei Popolari, si è dimostrata vincente e in grado di raccogliere il consenso dell’elettorato di centro che alle politiche del 2001 aveva votato Berlusconi (in due anni Forza Italia ha perso oltre 42 mila elettori, passando da 78.372 voti al proporzionale delle politiche ai 36.213 delle provinciali 2003). A sinistra viene contestato a Dellai il superamento dell’Ulivo e il rapporto privilegiato con il PATT, col quale la Margherita ha dato avvio alla Casa dei trentini, che si configura come una sorta di vero e proprio partito territoriale. Inoltre viene criticata la scelta preferenziale posta sulla territorialità a scapito di un robusto legame partitico nazionale ed europeo e la forte propensione amministrativa («gli assessori dell’asfalto») e di moderatismo, specie in campo di salvaguardia ambientale che, secondo una parte dalla sinistra, porterebbe a troppi sì accondiscendenti in fatto di impianti sciistici e arterie stradali. Da parte sua, Dellai non ha mai esplicitamente rinnegato la scelta di sviluppo sostenibile e di attenzione alla salvaguardia del territorio, ma ha sempre rimarcato che la sostenibilità richiede lo sviluppo. La forte rappresentanza locale della Margherita e il carattere moderato del partito ne ha decretato comunque il successo, totalizzando il 27% dei consensi.

I DS, invece, non sono riusciti a capitalizzare cinque anni di governo provinciale. È mancato in questo quinquennio la trasformazione dei Democratici di Sinistra in un partito che mostri una spiccata capacità di governo e non solo di opposizione interna al centrosinistra, un partito in cui i ceti medi e le categorie professionali – che non si riconoscono nel partito territoriale – trovino un riferimento qualificato, capace, pronto all’innovazione e nello stesso tempo sensibile alla riconiugazione in chiave moderna dei valori della sinistra. Insomma, ai DS è rimasto appiccicato il marchio del «partito di lotta e di governo», un po’ all’opposizione a Dellai e un po’ in giunta assieme. In più, il partito della Quercia volendo ecumenicamente unire tutto, il pragmatismo riformista di Mario Raffaelli e di Luigi Olivieri e il radicalismo idealista dei movimenti come Costruire comunità, senza operare una mediazione politica, è rimasto imprigionato su se stesso, dilaniato da violente tensioni interne fino a quasi la vigilia delle elezioni. Tranne che in alcune vallate come le Giudicarie e la Rendena, dove i DS hanno superato il 20% grazie al traino di candidati locali che si sono posti come riferimento di governo, il partito è rimasto ancora una volta alla soglia del 14%, dimostrando la difficoltà di aggregare, di superare l’adesione prevalentemente ideologica e fortemente motivata degli elettori di area. La sinistra trentina ha dimostrato di essere ancora ferma a un modello organizzativo e a una cultura politica che si basano sull’appartenenza più che sull’aggregazione, incapaci di andare oltre, di parlare a un elettorato più ampio. Fin che permangono tali modelli organizzativi e tale cultura politica, i DS, benché secondo partito della coalizione, non avranno grandi spazi di crescita. Anzi, subiranno la concorrenza a sinistra di Rifondazione Comunista che, non avendo poi il problema di andare al governo, può cavalcare gli idealismi di principio senza dover fare i conti con la responsabilità dell’azione politica.

 

Il rischio del particolarismo e dello squilibrio dei poteri

La strepitosa vittoria elettorale di Dellai ha insiti in sé anche dei rischi profondi. Il primo è che il presidente, potendo contare su una forte legittimazione popolare e una forza consiliare, la Margherita, di tredici consiglieri eletti di stretta osservanza dellaiana, oltre a una maggioranza di coalizione di ventitre su trentacinque consiglieri e a un’opposizione debole, sfilacciata e non coesa, scivoli in uno squilibrio di poteri. Il nuovo sistema elettorale introdotto in provincia di Trento, infatti, non prevede una serie di contrappesi necessari, dallo statuto delle opposizioni, al riconoscimento istituzionale del ruolo di speaker per il leader dell’opposizione, alla possibilità per la minoranza di chiamare il presidente a rispondere su singole questioni, e a quella di nomina di commissioni d’inchiesta o di controllo dei lavori degli assessorati. Qui è necessario il completamento urgente della riforma al fine di dotare il governatore eletto dal popolo anche di un sistema di pesi e contrappesi, di checks and balances, necessari per il corretto e democratico funzionamento dell’istituzione. Va detto poi che è sul piano politico che andranno messi in campo i contrappesi necessari, sia da parte di un’opposizione chiamata a superare la tentazione consociativista per incalzare il governo con precise controproposte; sia da parte dei partner di giunta, chiamati non a costruire le barricate ma a incalzare politicamente il presidente e il partito di maggioranza, dentro però una logica di coalizione che talvolta in certe frange della sinistra è mancata.

Vi è un secondo rischio in questa vittoria strepitosa di Dellai e della Margherita. E cioè che il successo del partito territoriale lo trasformi in una sommatoria di interessi particolari, una specie di holding di corporativismi territoriali. Qui sta il ruolo della sinistra, dei DS. Come il richiamo alla necessità dello sviluppo portato avanti dal centro trova un suo equilibrio di coalizione riconoscendone i limiti sottolineati dalla sinistra, così anche la tentazione all’eccessivo localismo da parte della Margherita e del PATT con la Casa dei trentini, può trovare un suo contrappeso, un suo richiamo a un orizzonte più ampio e ulivista da parte dei DS. Non basta infatti il partito territoriale come risposta alla crisi dei partiti storici e la larga presenza dei sindaci quale sostitutivo della tradizionale selezione della classe dirigente. Da parte di Dellai è necessario – come ha ricordato Sergio Fabbrini – mantenere forte il richiamo storico alla tradizione kessleriana e morotea, che da sempre pone attenzione agli scenari futuri, alla risposta programmatica, all’innovazione, e non solo alla difesa degli interessi particolari. Il rischio per Dellai sarebbe quello di veder trasformata la Margherita in un partito amministrativo e non di cultura politica, che perde i suoi legami col centrosinistra nazionale ed europeo. La sfida vera di Dellai sarà proprio questa: vedere se riuscirà a trasformare il successo della Margherita che governa con i DS in un nuovo modello di partito democratico, aperto all’Europa e all’innovazione. O se invece prevarrà la spinta localista di difesa degli interessi frazionati e particolari. Il richiamo continuo ed esplicito di Lorenzo Dellai a Romano Prodi dovrebbe essere la risposta.