Corruzione

Di Bernardo Giorgio Mattarella Venerdì 08 Giugno 2012 10:45 Stampa

La corruzione è un fenomeno alquanto eterogeneo e il termine corruzione è usato in sensi diversi. Per orientarsi, è bene fare qualche distinzione. In primo luogo, di corruzione si parla in senso ampio e in senso stretto. Il secondo è quello proprio del diritto penale. In questo ambito si incontrano ulteriori distinzioni, come quella tra la corruzione propria, di chi si lascia corrompere per compiere un atto contrario ai suoi doveri, e quella (meno grave) impropria, di chi lo fa per compiere un atto che avrebbe comunque dovuto compiere; o quella tra la corruzione antecedente all’atto e quella (meno grave) successiva.

Ci sono anche alcune varianti, come la corruzione in atti giudiziari e l’istigazione alla corruzione. Il diritto penale conosce poi altre condotte, alle quali dà nomi diversi: concussione, abuso d’ufficio, peculato, malversazione, indebita percezione. Il confine tra queste figure – lo si lamenta da decenni – è a volte incerto.

Al di fuori del diritto penale, c’è una nozione più ampia di corruzione, che comprende ipotesi di malcostume che possono non dare luogo a reato: conflitti di interessi, nepotismo, clientelismo, partigianeria, occupazione di cariche pubbliche, assenteismo, sprechi. Si tratta di una nozione meno precisa, ma non giuridicamente irrilevante, come mostrato dalle varie norme che vi fanno riferimento: quella che nel 2003 istituì l’Alto commissario per la lotta alla corruzione, soppresso nel 2008; la riforma del pubblico impiego del 2009, che attribuisce a un’altra autorità compiti di lotta alla corruzione; molti accordi internazionali e le relative leggi di recepimento; il disegno di legge sulla lotta alla corruzione, di cui il Parlamento discute da un paio d’anni.

Si distingue, poi, tra corruzione pubblica e privata. La distinzione, astrattamente e giuridicamente chiara, è in concreto complicata dall’offuscamento del confine tra pubblico e privato, in vari settori del diritto. Nelle aree grigie, prodotte tra l’altro dai processi di privatizzazione e liberalizzazione, vi sono molti soggetti il cui statuto penale non è chiaro: gestori di servizi pubblici, società partecipate da enti pubblici, agenti privati della riscossione dei tributi locali. Corruzione pubblica e privata, poi, sono spesso collegate: si pensi alle falsità nei documenti societari, necessarie per coprire il pagamento di tangenti. Questi fenomeni contribuiscono a porre il tema della corruzione privata all’attenzione del legislatore.

Terza distinzione, interna alla corruzione pubblica, è quella tra corruzione politica, amministrativa e giudiziaria. Dal punto di vista penalistico, la terza si distingue dalle prime due per la maggiore gravità. L’attenzione dei mezzi di informazione e del pubblico si concentra, invece, prevalentemente sulla prima. In maniera singolare, però, negli ultimi anni l’attenzione della politica si è concentrata sulla seconda. Eppure, i più grandi scandali hanno riguardato in primo luogo personaggi politici. Sembra che la classe politica, aggredita e screditata, aggredisca a sua volta: la sua vittima è la pubblica amministrazione. Il disegno di legge sulla corruzione, sopra menzionato, si occupa molto della pubblica amministrazione, quasi per nulla della politica.

Se è difficile definire la corruzione, più difficile è misurarla: la corruzione, ovviamente, si nasconde. Ciò vale, innanzitutto, per la corruzione penalmente rilevante, quella “nera”: possiamo misurare la quantità di denunce e di condanne, ma una tale rilevazione servirà a valutare l’efficacia della repressione più che la corruzione esistente. Possiamo fare supposizioni, sulla base di indizi e opinioni (è ciò che fanno le varie graduatorie internazionali e i “barometri della corruzione”), ma esse saranno influenzate dalla nostra capacità di analisi e anche dall’atteggiamento e dalla sensibilità degli intervistati.

Ancora più difficile è misurare la corruzione “grigia”, nozione più comprensiva, perché risulta da fenomeni e comportamenti talmente eterogenei da non essere comparabili: piuttosto che tentare di misurare il malcostume nella politica o nella pubblica amministrazione, ha senso semmai valutare lo stato della normazione, le qualità del relativo personale e le condizioni in cui versano le relative istituzioni, per rimuovere ciò che agevola la corruzione e introdurre degli anticorpi.

Non meno difficile è combattere la corruzione. Ancora una volta, torna utile il dualismo tra la corruzione penalmente rilevante e la corruzione in senso ampio. Per la prima, la risposta non può che essere la repressione, da parte delle forze dell’ordine e della magistratura, le quali, in Italia, fanno un lavoro egregio, a fronte di ostacoli procedurali che fanno sì che l’esito normale dei processi per corruzione, per quanto ben istruiti, sia la prescrizione. Per la corruzione in senso ampio, la strategia deve privilegiare altri strumenti, volti a prevenire e a correggere piuttosto che a reprimere. Solo qualche esempio: piena trasparenza delle procedure amministrative di spesa, nonché nel finanziamento dei partiti politici, centralizzazione delle gare e dei concorsi pubblici, eliminazione dello spoils system, regole per gli uffici di diretta collaborazione, liberalizzazioni e limitazione della discrezionalità amministrativa, potenziamento dei corpi tecnici e ispettivi delle amministrazioni, codici di comportamento per politici e dipendenti, definizione di requisiti e controlli per le nomine politiche, restrizioni successive alla scadenza della carica o dell’impiego pubblico, tutela dei denuncianti.

Combattere la corruzione è difficile, ma gli strumenti per farlo sono noti, essendo stati ben identificati da ottimi studi e rapporti. Ciò che è mancato, finora, è stata una coerente volontà politica.