Il PD e il governo Monti

Di Stefano Fassina Venerdì 13 Aprile 2012 14:51 Stampa

La conclusione forzosa dell’esperienza berlusconiana ha aperto la strada a un grande cambiamento, a un futuro che può assumere però tratti tanto regressivi quanto progressivi. Il governo Monti è lo strumento emergenziale messo in campo per gettare le basi di questa ricostruzione, della nascita di una terza Repubblica lungo l’asse di un bipolarismo mite che corra nel solco della migliore tradizione europea.

Siamo nel vivo di una fase straordinaria. Il termine crisi è sempre meno utile a fotografare il passaggio in corso. Siamo, in realtà, in una grande transizione articolata lungo quattro fondamentali assi: geoeconomico e geopolitico, demografico, economico e sociale, ambientale. L’asse geo- economico e geopolitico del pianeta si sposta a est e a sud. Le economie mature invecchiano a fronte di interi continenti segnati da giovani generazioni in movimento. Le diseguaglianze all’interno dei singoli Stati nazionali si ampliano e superano il limite di funzionamento degli ordinamenti democratici, oltre che delle economie. La natura, straordinaria risorsa per il benessere dell’uomo, è sempre più in sofferenza e si vendica con effetti sempre più pesanti in termini di vite perse. «Siamo a una crisi di legittimità del capitalismo» come scritto da Alfredo Reichlin prima che il “Financial Times” aprisse, a gennaio 2012, con le stesse parole, un dibattito dedicato al “Capitalismo in crisi”.

Per uscire dal tunnel è necessario che la politica ritrovi la sua essenziale funzione democratica. È una sfida ambiziosa, ma possibile. Da affrontare nelle dimensioni globale, europea e nazionale. Per provare a combatterla, prima ancora che vincerla, è decisivo affermare un punto: la strada davanti a noi non è segnata. Il cambiamento si articola in un campo aperto dove si confrontano forze economiche, sociali, culturali e politiche. L’alternativa non è resistere o cambiare. L’alternativa è tra cambiamento regressivo e cambiamento progressivo. Che vuol dire affrontare la sfida, qui e ora? Che vuol dire per le forze progressiste in Italia nel passaggio di fase caratterizzato dal governo Monti e dalla innaturale maggioranza PDL, PD e Terzo Polo?

In Italia, la conclusione forzosa del governo Berlusconi è stata la condizione per frenare un pericoloso scivolamento verso il fallimento finanziario, economico e morale. Per salvare e ricostruire l’Italia, come in tutti i momenti alti della nostra storia repubblicana, le forze migliori del paese hanno scelto di cooperare. La ricostruzione richiede un patto tra i soggetti della politica, le rappresentanze delle imprese e del lavoro e le associazioni della cittadinanza attiva (terzo settore), secondo i principi di “sussidiarietà costituzionale”.

Il governo Monti può essere un’opportunità per incominciare a riconnettere la politica e le istituzioni della democrazia ai diversi affluenti del fiume del cambiamento progressivo. Il governo Monti chiude una crisi di sistema, la cosiddetta “seconda Repubblica”, e apre il cantiere della ricostruzione. La politica non abdica, ma riconosce la fase straordinaria in corso. La politica non abdica perché ha consapevolezza che le soluzioni ogni giorno in discussione non sono soluzioni tecniche.

Nella polis le soluzioni tecniche non esistono. Le soluzioni del governo tecnico sono soluzioni bilanciate, in riferimento alle forze politiche alternative a sostegno dell’esecutivo, da un governo con una chiara cultura politica ed economica. Una cultura politica ed economica di parte, come è inevitabile che sia, dato che l’economia è politica, condizionata dall’agenda regressiva dettata dai conservatori tedeschi e da larga parte delle tecnostrutture di Francoforte e Bruxelles. Insomma, scelte politiche che tuttavia, sulla base del curriculum dei componenti del governo e dell’interpretazione forzata dei messaggi dei mercati finanziari, vengono rappresentate dai media come tecniche, ossia unica espressione possibile dell’interesse generale.

La ricostruzione dell’Italia è un obiettivo politico. L’ordine sociale ed economico, i rapporti tra gli interessi e tra i poteri, la misura dell’equità, la funzione del lavoro, quindi la qualità della democrazia sono, per definizione, oggetto di confronto tra soggetti, interessi e progetti politici alternativi. La polis deve scegliere. È pericoloso per la qualità della democrazia prospettare come unica la direzione del cambiamento. Il cambiamento, come ricordato prima, può essere progressivo o regressivo. Siamo a un bivio. Il cambiamento può portare a una rinnovata Repubblica democratica fondata sul lavoro, come prescrive l’articolo 1 della nostra insuperabile Costituzione. Una democrazia animata da partiti partecipati, dotati di autonomia culturale, in grado, come indica l’articolo 49 della nostra Carta, di «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Oppure, il cambiamento può consolidare la deriva populista in corso e articolarsi in una variante tecnocratica.

Il passaggio di fase curato dal governo Monti segna il terreno per le fondamenta della “terza Repubblica”. In fondo, le posizioni nei confronti del governo Monti riflettono due diverse prospettive politiche e in qualche modo due diverse e distanti filosofie della storia: una filosofia deterministica e una filosofia aperta. Da un lato, un determinismo economicistico, rassegnato ai rapporti di forza dati, mai nella seconda metà del Novecento così squilibrati quanto oggi. Il “pensiero unico”, secondo il quale la modernità possibile è una e una soltanto. È la modernità rivelata ai tecnici. È la tecnocrazia. In tale contesto ideologico, la differenza tra progressisti e conservatori, tra sinistra e destra, è nella capacità di riconoscere e realizzare l’unica modernità possibile. I progressisti, la sinistra, la riconoscono e si fanno carico delle scelte impopolari. I conservatori, la destra, guardano indietro e, data la loro natura intimamente populista, si sottraggono alla responsabilità. Dall’altro lato c’è una filosofia aperta, ossia la visione della storia come prodotto della politica, dei rapporti di forza tra interessi diversi, tra i paradigmi interpretativi da essi utilizzati per affermarli, tra i soggetti politici impegnati a rappresentarli. Insomma, una modernità da incidere in senso progressivo o regressivo. È evidente che la filosofia deterministica della storia vede il governo dei tecnici come il governo ideale e misura il tasso di riformismo delle forze politiche in relazione al grado di condivisione delle iniziative del governo. È anche evidente che la sistemazione ottimale del proscenio politico prevede un largo raggruppamento centrale, un partito sostanzialmente unico, pure possibile in una pluralità di brand elettorali del pensiero unico. È, specularmente, altrettanto evidente che la filosofia aperta della storia prospetta un universo bipolare, due principali impianti culturali a fondamento di due soggetti politici alternativi impegnati a segnare in senso progressivo o regressivo il futuro. Ovviamente, l’universo bipolare non implica necessariamente la guerra civile e la delegittimazione reciproca delle due parti come avvenuto in Italia nella seconda Repubblica. Ovviamente, non esclude, anzi, proprio perché convinto dell’irriducibile presenza di soggetti politici distinti e alternativi, presuppone la condivisione di un’etica pubblica, la definizione congiunta dei capisaldi dell’interesse nazionale e, infine, la scrittura comune delle regole del gioco, inclusa la legge elettorale.

Quale visione filosofica sottostà al sostegno del Partito Democratico al governo Monti? È sempre più chiaro che nel dibattito interno al PD le posizioni risentono della coesistenza delle due diverse e distinte visioni. Per chi scrive, il governo Monti è un governo emergenziale, sostenuto da partiti alternativi, caratterizzato da un programma bilanciato su partiti alternativi. Insomma, è l’avvio di una terza Repubblica lungo l’asse del bipolarismo mite, animato da partiti dotati di autonomia culturale e forza organizzativa, in grado di formare e selezionare una classe dirigente adeguata. Una metrica della politica europea: superamento delle degenerazioni personalistiche e autoreferenziali, partiti democratici e trasparenti, regolati dalla legge, grandi istituzioni dedicate all’interesse comune. Legge elettorale in grado di garantire ai cittadini il diritto di scelta dei rappresentanti parlamentari e l’alternanza di governo senza le sterili ammucchiate elettorali del ventennio alle nostre spalle. Per altri, il sostegno al governo Monti è, al contrario, l’introduzione di fatto a una terza Repubblica tecnocratica, servita da partiti intesi come macchine di marketing e di raccolta del consenso intorno al programma dato, in quanto trascrizione dell’unica modernità possibile. In tale prospettiva, la formazione e la selezione della classe politica sono affidate alle tecnostrutture, i templi del pensiero unico: le grandi istituzioni finanziare pubbliche o private, le multinazionali, i centri di ricerca a esse connesse, i media “indipendenti” in mano alle maggiori forze economiche del paese.

Come spesso è avvenuto nella nostra storia, in Italia si manifestano prima e in forma più brutale processi comuni a tutte le democrazie mature. Tuttavia, nel secolo asiatico, la ricostruzione delle democrazie delle classi medie è la sfida comune dei progressisti al di qua e al di là dell’Atlantico. La risposta per provare a riaprire la strada alla politica implica, inevitabilmente, lo scavalcamento dei confini sempre più angusti dello Stato nazionale e la costruzione di soggettività politiche di dimensione europea. È decisiva l’iniziativa intrapresa dal Partito Democratico, dal Partito Socialista francese e dalla SPD per un manifesto comune dei partiti progressisti dei tre principali Stati dell’euro chiamati al voto tra il 2012 e il 2013. La ricostruzione dell’Italia e la ricostruzione dell’Unione europea sono un unico programma fondamentale. Il futuro dell’Unione europea è il futuro del lavoro.

Le riforme del sistema politico e istituzionale non sono meno necessarie delle riforme economiche e sociali. L’Italia vive un’emergenza democratica non meno rischiosa dell’emergenza economica. Il distacco tra istituzioni di rappresentanza democratica, il Parlamento innanzitutto, e i cittadini è enorme.

Le forze progressiste si sono affermate nella difficile tornata elettorale della primavera 2011 in quanto hanno incominciato a essere in campo con un profilo identitario chiaro e adeguato e a ritornare a interloquire, nel rispetto dell’autonomia di ciascuno, con le mobilitazioni sociali. Tra esse, innanzitutto, un PD che, oggi, è impegnato a “convincere” una parte delle classi dirigenti italiane dell’utilità del patto tra lavoro e impresa per ricostruire l’Italia e per contribuire a invertire la rotta suicida imposta dai conservatori tedeschi all’area dell’euro. Un PD che chiede al governo Monti di raccogliere la disponibilità ancora una volta responsabilmente offerta dalle forze sindacali per una modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori nel rispetto della dignità della persona che lavora in sintonia con le migliori esperienze dell’economia sociale di mercato. Le forze progressiste devono proporsi in prima persona a guidare la ricostruzione dell’Italia e partecipare alla ricostruzione dell’Unione europea. Il sostegno del PD al governo Monti è, a tal fine, un passaggio “strumentale”. Rimane decisivo per il PD adempiere alla responsabilità di costruire uno schieramento largo intorno a un programma di ricostruzione morale ed economica dell’Italia. Uno schieramento oltre i confini dei partiti. Uno schieramento in grado di raccogliere le energie positive, le forze fresche della società civile protagoniste della tornata delle elezioni amministrative e dei referendum. Uno schieramento largo e plurale all’altezza di una sfida di portata costituente, tanto sul terreno istituzionale quanto su quello economico e sociale. L’obiettivo delle forze politiche e sociali progressiste è avviare la costruzione di un’alleanza tra le persone che lavorano. Non un blocco sociale omogeneo e statico, ma un’alleanza tra interessi diversi, uniti intorno alle sfide del cambiamento progressivo. Un patto etico, politico e programmatico tra le persone per dare soggettività politica al lavoro. La soggettività politica del lavoro, innanzitutto il lavoro subordinato in tutte le sue forme, è condizione imprescindibile per dare anima e forza all’alternativa politica. Il lavoro, nella grande transizione in corso, può essere soggetto generale, non sommatoria di interessi parziali e corporativi.

Insomma, nella fase politica aperta dal governo Monti sono in gioco non soltanto gli spread finanziari ma anche gli spread sociali e democratici. È in gioco il segno della “terza Repubblica”. Le forze progressiste non possono rassegnarsi al declino del lavoro. Devono contribuire a scrivere il cambiamento progressivo per un futuro di lavoro e libertà. Per un neo-umanesimo laburista. È un compito da svolgere secondo la prospettiva comune tracciata a Parigi il 17 marzo scorso da Pier Luigi Bersani, François Hollande e Sigmar Gabriel. Il futuro dell’Unione europea è il futuro della civiltà del lavoro. È, quindi, il futuro della democrazia.