I gruppi cooperativi

Di Alberto Zevi Domenica 02 Marzo 2008 19:57 Stampa
Nel corso degli ultimi decenni le cooperative sono cresciute significativamente, sia come numero che come addetti impegnati. Lo sviluppo cooperativo, che si è manifestato in misura evidente a partire dagli anni Settanta, è continuato anche in questi primi anni del nuovo secolo. I dati disponibili per il 2004 testimoniano una crescita in termini di addetti rispetto al 2001 di un ulteriore significativo 9,3%. Come già era stato evidenziato nell’articolo pubblicato su questa stessa rivista nel 2005, l’aspetto più interessante di tale crescita va ricercato nel peculiare tragitto di espansione che ha caratterizzato il fenomeno cooperativo. In effetti se si considerano i dati per dimensione d’impresa si constata che, nel corso degli anni, è significativamente aumentato il peso delle cooperative più grandi rispetto al totale delle imprese delle stesse classi dimensionali.

Nel corso degli ultimi decenni le cooperative sono cresciute significativamente, sia come numero che come addetti impegnati.[1] Lo sviluppo cooperativo, che si è manifestato in misura evidente a partire dagli anni Settanta, è continuato anche in questi primi anni del nuovo secolo. I dati disponibili per il 2004 testimoniano una crescita in termini di addetti rispetto al 2001 di un ulteriore significativo 9,3%. Come già era stato evidenziato nell’articolo pubblicato su questa stessa rivista nel 2005, l’aspetto più interessante di tale crescita va ricercato nel peculiare tragitto di espansione che ha caratterizzato il fenomeno cooperativo. In effetti se si considerano i dati per dimensione d’impresa si constata che, nel corso degli anni, è significativamente aumentato il peso delle cooperative più grandi rispetto al totale delle imprese delle stesse classi dimensionali.

La dimensione media delle cooperative ha continuato ad aumentare: nel 2004 secondo l’Archivio statistico delle imprese attive (ASIA) l’occupazione per cooperativa era pari a 19,2 addetti con un incremento, rispetto a quella del 2001, del 6,4%. Conseguentemente è continuato ad aumentare, rispetto al totale degli addetti impegnati nelle cooperative, la quota di essi che opera in un’impresa media o grande: nel 2001 il 33,5% degli occupati presso le cooperative era impiegato in aziende con 250 addetti e oltre; nel 2004 la quota è aumenta al 34,3%. Nel triennio aumenta altresì di circa il 10% il numero di cooperative con più di 250 addetti.

Se si considerano gli stessi dati per settore di operatività si può constatare che buona parte della crescita della cooperazione, sia in termini di numero di cooperative sia in termini di addetti, si realizza, nel periodo considerato, nel settore terziario. Questa dinamica peraltro corrisponde all’evoluzione manifestatasi dalla struttura dell’economia italiana. Va detto comunque che i dati riportati sottovalutano, a partire dal 1991 e soprattutto nel 2001 e negli anni successivi, l’apporto della cooperazione all’occupazione complessiva. La sottovalutazione si riscontra, in particolare, per le cooperative di medie e grandi dimensione. In effetti, negli ultimi anni, le cooperative di più ampie dimensioni (ma il fenomeno, sia pure in misura limitata, è riscontrabile anche in cooperative di dimensioni più limitate) si sono venute articolando in veri e propri gruppi. Una recente indagine condotta dal Centro studi Legacoop ha consentito di verificare che l’occupazione generata dai gruppi è attualmente pari a oltre il 40% di quella direttamente impegnata nelle cooperative capogruppo.

È interessante rilevare al riguardo che se si considerano i più recenti dati pubblicati da Mediobanca si può constatare che, nel 2004, delle 1458 medie e grandi società rilevate operanti nell’industria e nei servizi 60 sono cooperative o società di proprietà maggioritaria di cooperative. Di queste, 39 sono qualificate come gruppi.[2] È altresì significativo evidenziare che tra le 70 principali banche italiane (quelle con più di 1 miliardo di euro di raccolta verso la clientela), 27 sono cooperative (5 banche di credito cooperativo e 22 banche popolari) e che tra le 16 principali imprese assicuratrici italiane (quelle con premi lordi superiori a 1 miliardo) 3 sono cooperative, mutue o di proprietà delle cooperative. Sulla base dei dati disponibili (e in particolare di quelli risultanti dai censimenti) si può dire che le imprese cooperative (o quanto meno un certo numero di loro) hanno avuto un comportamento diverso da quello che ha prevalso presso le altre imprese. Mentre le cooperative hanno teso a crescere di dimensione, soltanto una parte delle altre imprese ha perseguito lo stesso obiettivo. Una simile diversità spiega come mai sia aumentata la quota delle cooperative tra le imprese di maggiore dimensione.

Certamente il cambiamento verificatosi nella composizione delle attività produttive ha concorso ad aumentare il peso delle cooperative tra le grandi imprese. In effetti negli ultimi trent’anni si sono fortemente ridimensionati il settore primario e secondario dell’economia, mentre si è notevolmente sviluppato il settore terziario. Quest’ultimo settore è caratterizzato, in molti suoi comparti, da una diffusa presenza di attività labour intensive.

La crescita in termini di dimensioni di un certo numero di cooperative si è realizzata secondo modalità assai diversificate. In molti casi la crescita dimensionale è stata realizzata attraverso lo sviluppo di attività all’interno delle stesse cooperative. In altri, anche sulla base della legge Visentini del 1983 (che disciplinava la possibilità delle cooperative di assumere partecipazioni in altre società) l’espansione si è concretizzata nella formazione di veri e propri gruppi attraverso la partecipazione in società (a responsabilità limitata o per azioni) sia con quote di minoranza sia con quote di maggioranza o addirittura totalitarie.[3]

Nell’ambito della sola Legacoop si può riscontrare che tra le cooperative aderenti, i gruppi cooperativi (nel senso indicato) sono progressivamente

cresciuti passando dai 64 del 1998 ai 96 del 2003 (+50%). Un’analisi limitata alle sole grandi cooperative permette di verificare che, per le maggiori cooperative, in termini di addetti, l’occupazione presso l’insieme dei gruppi era, nel 2003, superiore a quello dell’occupazione diretta di oltre 35.000 unità. Un fenomeno non diverso è possibile riscontrarlo per le cooperative di più ampie dimensioni non aderenti a Legacoop.

L’indagine del Centro studi Legacoop in questo caso ha consentito di individuare 14 cooperative con più di 50 milioni di valore della produzione, di cui almeno la metà (che presenta appunto un bilancio consolidato) può essere considerata come gruppo.

L’intensità dello sviluppo delle cooperative come gruppo può essere misurata dall’evolversi del volume delle loro partecipazioni. Le maggiori cooperative aderenti a Legacoop[4] detenevano nel 1998 partecipazioni per poco più di 1.200 milioni di euro. Nel 2003 l’ammontare delle partecipazioni era più che raddoppiato: in quell’anno, infatti, l’insieme delle partecipazioni delle stesse imprese era pari a 2.800 milioni di euro. L’evolversi delle imprese in gruppo, peraltro, non è caratteristica propria della sola cooperazione. Esso appare come un dato che attraversa l’insieme dell’imprenditoria italiana. Il numero dei gruppi e delle imprese coinvolti, così come quello degli addetti occupati, sta infatti crescendo con significativa intensità in ogni settore.

Un primo aspetto che merita di essere approfondito (ancor prima di affrontare l’analisi relativa ai gruppi) è quello delle motivazioni che hanno spinto le cooperative (o quanto meno una parte di esse) a crescere dimensionalmente.

Naturalmente, i fattori che hanno concorso ad un simile comportamento sono molti. Le informazioni che scaturiscono da diverse indagini riguardanti la cooperazione aderente a Legacoop consentono di individuare almeno tre ordini di fattori che hanno stimolato comportamenti aziendali volti a sviluppare le dimensioni delle singole imprese.

Il primo di questi fattori è da ricercarsi nel fatto che un certo numero di cooperative opera in settori dove le economie di scala sono particolarmente significative e dove il numero di associati è potenzialmente molto ampio (come ad esempio il comparto della distribuzione – cooperative di consumo e cooperative tra dettaglianti – e quello dell’industria alimentare). L’influenza dei comportamenti delle cooperative attive nei settori citati probabilmente non è stata irrilevante rispetto alle cooperative operanti in altri settori. Da questo punto di vista il peculiare modello organizzativo della cooperazione italiana, che da sempre, a differenza di quanto è avvenuto in altri paesi europei, ha visto la compresenza, all’interno delle stesse organizzazioni rappresentative, di cooperazione di utenti, di produttori, di lavoratori ha probabilmente concorso a diffondere una «cultura» d’impresa del tutto originale e non influenzata più di quanto necessario dallo slogan «piccolo e bello».

Il secondo fattore rilevante è strettamente connesso alla peculiare struttura dei diritti di proprietà delle cooperative. Come è noto, nelle cooperative obiettivo dell’impresa non è la valorizzazione del capitale bensì il miglior soddisfacimento possibile dei bisogni dei soci. Questi ultimi, dunque, non sono intesi come meri azionisti (che mirano a massimizzare il rendimento del capitale impegnato), ma piuttosto come utenti o consumatori, come lavoratori o come produttori che si associano alle singole cooperative per soddisfare loro specifiche esigenze di consumo, di lavoro, di produzione, di servizio. In molti casi proprio la funzione obiettivo dei soci ha indotto le cooperative, per consolidare la possibilità di venire incontro alle loro esigenze, a ragionare sulle potenzialità delle cooperative stesse nel lungo periodo, così da garantire ai soci un servizio più stabile e continuo nel tempo. E l’approccio di lungo periodo ha a sua volta permesso di porsi obiettivi in termini di dimensione altrimenti difficilmente perseguibili. Nelle cooperative di produzione e lavoro, ad esempio, i soci lavoratori hanno certamente preferito (in un contesto in cui la problematica dell’occupazione è stata a lungo centrale) creare le condizioni per garantirsi un lavoro stabile e quindi un reddito adeguato nel medio e lungo periodo, piuttosto che massimizzare il loro reddito nel breve periodo. La necessità di perseguire un simile traguardo ha indotto molte cooperative a porre tra gli obiettivi dell’impresa quello di aumentarne le dimensioni. Dimensioni significative infatti avrebbero consentito un più solido posizionamento sul mercato, la possibilità di profittare delle economie di scala e, in definitiva, il raggiungimento di una capacità competitiva tendenzialmente più adeguata al fine della stabilizzazione dell’occupazione e del reddito dei soci. È da notare che un simile comportamento, in generale, ha anche favorito lo sviluppo di rapporti sereni con i dipendenti non soci delle cooperative. Prestare la propria opera in un’azienda volta alla crescita, infatti, certamente offre, anche ai lavoratori non soci, maggiori garanzie di stabilità e spesso assai più ampie possibilità di sviluppo delle proprie professionalità.

Non diverso è quanto è successo in altri settori cooperativi. Nella cooperazione di consumo, ad esempio, la consapevolezza della necessità di dover corrispondere all’evolversi delle esigenze (quantitative e qualitative) dei soci ha giocato un ruolo determinante nel favorire l’affermarsi di imprese di dimensioni crescenti. Nei settori in cui il numero dei soci è potenzialmente molto rilevante (come è appunto la cooperazione di consumo) inoltre un ruolo significativo lo hanno certamente giocato anche i manager delle cooperative. Questi si sono trovati in generale in sintonia con i soci proprio individuando nella crescita l’obiettivo comune.

Il terzo fattore che ha indotto le cooperative a crescere è anch’esso strettamente legato alla specificità cooperativa e risulta dalla felice combinazione che si è realizzata in Italia tra la struttura dei diritti proprietari delle cooperative e la regolamentazione riguardante la distribuzione degli avanzi di gestione. Nelle cooperative di produzione e lavoro, ad esempio, la politica del ristorno (cioè la ripartizione dell’avanzo di gestione in proporzione al lavoro apportato seconda la regola distributiva peculiare della cooperazione), in presenza di retribuzioni che tendevano ad adeguarsi a quelle prevalenti nel mercato, è stata, in generale, assai poco praticata. Una simile politica infatti è stata considerata, per un lungo periodo, assai costosa. Il ristorno, infatti, era trattato per queste cooperative come salario su cui erano dovuti i contributi sociali e l’imposizione personale sul reddito. Una pratica diffusa del ristorno conseguentemente avrebbe impedito di trattenere dentro l’impresa un ammontare non irrilevante di risorse. La fuoriuscita di risorse dall’impresa, conseguente ad una significativa politica di erogazione del ristorno (in altri termini, la massimizzazione della retribuzione dei soci nel breve periodo) avrebbe ristretto di molto le possibilità di accumulazione interna. La destinazione di tutto o comunque di una parte molto significativa del risultato a riserva, per contro, ha consentito di consolidare le cooperative, di rafforzare il loro patrimonio e, grazie a ciò, di costruire progressivamente una leva importante per il reperimento di risorse dall’esterno. E ciò ha, conseguentemente, permesso di promuovere la stabilità dei posti di lavoro.

Un analogo comportamento è riscontrabile nelle cooperative di consumo. Sarebbe certamente stato possibile minimizzare il costo dei prodotti nel breve periodo, ma ciò avrebbe impedito ai soci consumatori di avere a disposizione strutture in grado di assicurare loro prezzi e disponibilità di prodotti nel lungo periodo. In queste cooperative ha certamente giocato un ruolo importante nel definire le linee di sviluppo di lungo periodo il management. Esso infatti ha in generale agito, avendo un orizzonte temporale di lungo periodo, esplicitando obiettivi raggiungibili solo sulla base di strategie di ampio respiro e tali da venir incontro alle esigenze sempre più sofisticate dei soci. L’accentuazione sulla qualità dei prodotti, ad esempio, (linea perseguibile soltanto con imprese di medio-grandi dimensioni) ha permesso di esplicitare le potenzialità insite in politiche volte ad accrescere la capacità delle cooperative di venire incontro all’evolversi dei bisogni dei soci.

Con l’aumento delle dimensioni e con l’evolversi del quadro competitivo le cooperative sono venute ripensando – a volte profondamente – le loro modalità organizzative. Strutture inevitabilmente più complesse hanno indotto le cooperative ad affrontare in termini nuovi le forme della gestione e i rapporti con i soci e con i terzi. Un simile contesto ha sollecitato appunto lo sviluppo dei gruppi cooperativi. Il fenomeno dei gruppi cooperativi è relativamente recente. Si può certamente affermare che, a parte poche eccezioni, lo sviluppo dei gruppi cooperativi si afferma progressivamente soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni Novanta. L’evoluzione delle grandi cooperative in gruppo è attribuibile a numerosi fattori.

Un primo fattore (primo anche dal punto di vista temporale) che ha portato alla costituzione di gruppi cooperativi è stato la necessità di espansione all’estero, intesa sia come crescita delle esportazioni sia come vero è proprio investimento all’estero. Per le cooperative che si sono sviluppate nel senso indicato (soprattutto cooperative operanti nell’agroindustria e cooperative di produzione e lavoro attive nell’industria manifatturiera ma, più recentemente, anche altre operanti nella distribuzione e nei servizi) è risultata inevitabile la costituzione di società non cooperative per gestire appunto gli stabilimenti all’estero o le reti distributive indispensabili per sostenere lo sviluppo delle esportazioni.

Un secondo fattore che ha stimolato la creazione di gruppi è da ricercarsi nel fatto che un certo numero di cooperative, per le più diverse ragioni (assai frequentemente per salvaguardare il lavoro di aziende in difficoltà), si sono trovate a gestire più tipi di attività (attività industriali sviluppate da cooperative operanti nelle costruzioni; diverse attività da parte di cooperative agricole e di consumo collegate direttamente o indirettamente all’evolversi delle esigenze dei soci, ecc.) Alcune cooperative hanno ritenuto, nell’intento di razionalizzare la gestione, di individuare più precisamente costi e ricavi dei diversi segmenti in cui si venivano via via impegnando, di gestire separatamente le diverse attività. La collocazione di rami di azienda in specifiche società partecipate dalle cooperative capogruppo ha così, in molti casi, facilitato la gestione ed ha consentito di accrescere la produttività complessiva.

In questa fattispecie può essere inclusa la politica di acquisizione svolta da molte cooperative sia attraverso l’incorporazione di altre cooperative, sia attraverso l’acquisizione di altre imprese. In quasi tutti i settori, nel corso degli ultimi anni, si è accentuata la politica di sviluppo attraverso acquisizioni. In alcuni casi si è trattato appunto di fusioni tra cooperative o di incorporazione nelle cooperative maggiori di cooperative più piccole. In altri si è proceduto attraverso l’acquisto di altre imprese che, per le ragioni prima richiamate, è stato ritenuto più efficiente continuare a gestire separatamente.

Un terzo fattore che ha indotto alcune cooperative a organizzarsi in gruppo è legato alla necessità di governare al meglio i rischi connessi con l’attività imprenditoriale. Soprattutto quando un’impresa decide di entrare in nuovi mercati, di sperimentare nuovi prodotti o comunque quando una nuova iniziativa può avere riflessi molto importanti sulla sua attività corrente può risultare ragionevole attuare l’iniziativa innovativa in un diverso «contenitore». Questa modalità organizzativa ha consentito di avviare innovazioni non irrilevanti che difficilmente avrebbero potuto svilupparsi all’interno delle singole cooperative ed ha consentito altresì di farlo, spesso, con partner non cooperativi. In qualche caso il positivo sviluppo di tali nuove attività ha dato luogo a una successiva internalizzazione dell’attività stessa nella cooperativa (questa pratica si è sviluppata in particolare nella cooperazione di consumo), mentre in altri l’attività ha continuato a svilupparsi nell’impresa partecipata. Un quarto fattore che ha fortemente implementato lo sviluppo dei gruppi cooperativi è stata l’esigenza di sviluppare una parte della loro attività con partner sia cooperativi sia non cooperativi. Questa modalità di raccordo di singole cooperative con altri operatori si è spesso rivelata decisiva per entrare in settori in cui la cooperativa non aveva esperienza sufficiente, per completare la gamma delle produzioni, per allargare i mercati di sbocco, per apprendere dalle esperienze di altri, per migliorare i processi di produzione.

Un quinto fattore è derivato dalla necessità di coinvolgere nelle iniziative delle cooperative capitali che la sola attività della cooperativa non avrebbe consentito di attrarre. La presenza nel mercato borsistico di alcune società di proprietà delle cooperative è una delle modalità che le cooperative hanno iniziato a sperimentare. Un simile indirizzo sembra destinato, condizioni di mercato permettendo, a svilupparsi e diffondersi significativamente nei prossimi anni.

È interessante notare che dall’insieme delle informazioni disponibili, se l’articolazione delle cooperative come gruppi non sembra compromettere l’istanza mutualistica (che mantiene in generale il suo carattere di centralità) essa sta avendo invece una significativa influenza sulle modalità di governo delle cooperative stesse.

A tale proposito si può constatare che la larghissima maggioranza delle cooperative di più ampie dimensioni ha, nel corso degli ultimi anni, rivisitato le modalità della propria organizzazione. Lo stesso significativo aumento del numero di cooperative che oltre al bilancio civilistico presenta anche quello di responsabilità sociale deve essere considerato come un indicatore della consapevolezza della necessità di arricchire la strumentazione idonea ad evidenziare e anche misurare il rapporto con i soci e più in generale con la generalità degli stakeholders. Si è altresì notevolmente diffusa la pratica delle assemblee separate laddove la base sociale è molto ampia o è assai diffusa nel territorio.

Ciò che peraltro appare evidente dalle informazioni disponibili è che l’aumento delle dimensioni e lo sviluppo delle attività anche attraverso società partecipate sta comportando modifiche nelle forme di governo e di rendicontazione ai soci e alla collettività. Tali modifiche stanno imponendo nuove procedure, nuove articolazioni dei poteri nell’ambito delle imprese e un più complesso rapporto tra la gestione del giorno per giorno e quella strategica.

L’esperienza permette di constatare che, nella gran parte dei casi, la problematica connessa allo sviluppo della cooperativa come gruppo è stata, nella singola impresa, esplicitamente affrontata e le decisioni conseguenti sono state oggetto di discussioni e di decisioni estese al complesso degli associati.

In un simile contesto molte cooperative stanno sperimentando nuove forme di coinvolgimento dei soci e dei dipendenti. In particolare, ad esempio, presso le cooperative di produzione e lavoro alcune cooperative si sono poste il problema di come associare all’attività d’impresa i lavoratori delle imprese partecipate. Relativamente a quest’ultima problematica la sperimentazione in corso è piuttosto diversificata.

Alcune cooperative hanno ritenuto opportuno coinvolgere, attraverso l’azionariato nelle imprese in cui sono impegnati, i lavoratori dipendenti delle società partecipate. Vale la pena di ricordare in proposito che un indirizzo analogo è previsto nel programma dell’importante gruppo cooperativo spagnolo di Mondragon. In altri casi è stato previsto che i lavoratori delle società partecipate possano diventare soci sovventori della cooperativa capogruppo. In altri casi ancora, anche attraverso modalità organizzative assai innovative, si prevede che i lavoratori non soci delle imprese partecipate possano essere ammessi come soci ordinari della cooperativa capogruppo.

Va infine messo in rilievo che la gran parte delle grandi cooperative non sembrano avere colto ancora le più importanti novità contenute nel nuovo diritto societario. Un simile comportamento peraltro non deve sorprendere. Le potenzialità più rilevanti (dal sistema dualistico alla possibilità di emettere nuovi tipi di titoli, ai patrimoni separati, al gruppo paritetico, alla presenza di amministratori indipendenti) in effetti comportano modifiche significative della gestione cooperativa. Conseguentemente, è ragionevole supporre che esse saranno sperimentate nei prossimi anni.

La ricognizione fatta con il presente lavoro consente alcune riflessioni e considerazioni conclusive. Il comportamento di una parte importante delle imprese cooperative appare, alla luce delle sfide che deve affrontare il nostro paese, assai coerente con le problematiche all’ordine del giorno. La propensione alla crescita dimensionale ha comportato la scelta di operare anche attraverso lo sviluppo dell’impresa come gruppo. Questa articolazione appare, per l’insieme delle motivazioni che sono state esposte in questo lavoro ed esplicitate anche dalle stesse cooperative, una modalità importante per consentire l’ulteriore crescita delle cooperative stesse.

Il contesto in cui le cooperative italiane si trovano ad operare impone, pena il rischio di non poter continuare ad assolvere al loro ruolo, il raggiungimento di dimensioni ancora più ampie rispetto alle attuali. Per quanto cresciute, le cooperative italiane rimangono infatti ancora troppo piccole rispetto ai loro concorrenti (che per la massima parte non sono più prevalentemente italiani) e che sono spesso 10/20 volte più grandi.

Per altro verso la crescita è stata generalmente affrontata con la consapevolezza che essa comporta significativi adeguamenti organizzativi. Da questo punto di vista oggi si può constatare che i modelli organizzativi sperimentati sono assai diversificati e che ancora non è possibile individuare modelli generalizzabili.

L’organizzazione in gruppo sembra comunque una via perseguibile ed efficace. Essa consente di accrescere l’efficacia e l’efficienza dell’azione cooperativa. Ammette lo sviluppo di alleanze e ciò permette di acquisire mercati, professionalità, capitali. Consente altresì di incrementare l’attività di ricerca e innovazione e la presenza all’estero.

Contemporaneamente, è evidente che le aumentate dimensioni e le posizioni di leader raggiunte da alcune cooperative aumentano la loro responsabilità, non solo verso i soci ma verso la collettività nel suo complesso. Ciò comporta la necessità di implementate le forme e le modalità di governo delle imprese. Questa esigenza, peraltro, è comune all’insieme delle grandi cooperative: sia quelle che non hanno partecipazioni significative sia i gruppi.

Il nuovo diritto societario può a questo riguardo rivelarsi assai utile. In particolare le novità che potranno svilupparsi sono: il regime delle assemblee, la possibilità di nominare amministratori indipendenti, la possibilità di adottare diverse forme di gestione e la possibilità di fare ricorso, con l’emissione di titoli di varia natura, direttamente al mercato dei capitali.



[1] A. Zevi, La cooperazione nell'economia italiana, in «Italianieuropei», 5/2005.

[2] Va evidenziato peraltro che dall'elenco di società di Mediobanca, che dovrebbe comprendere le società con più di 50 milioni di euro di fatturato, mancano quantomeno 10 cooperative aderenti a Legacoop, nove delle quali sono da considerare come gruppi. 

[3] Il concetto di gruppo nelle cooperative assume caratteri del tutto peculiari. In effetti, le cooperative finiscono col costruire, ad esempio attraverso i consorzi, molteplici rapporti tra di loro. Peraltro, i consorzi in generale non possono essere considerati, per la natura dei rapporti di gerarchia e patrimoniali a cui danno luogo, come veri e propri gruppi. Il nuovo diritto societario ha introdotto una nuova figura di gruppo cooperativo (il gruppo paritetico) e altre fattispecie di rapporti tra imprese che solo da poco incominciano ad essere esplorate. In questo breve intervento ci si soffermerà sui casi in cui il gruppo cooperativo si esprime attraverso la partecipazione della capogruppo cooperativa in società non cooperative che danno luogo alla necessità di presentare bilanci consolidati.

[4] L'ammontare delle partecipazioni è un indicatore solo approssimato dell'evoluzione dei gruppi cooperativi. In effetti tra le partecipazioni sono comprese anche quelle di minoranza (ad esempio quelle in Unipol o quelle in consorzi), anch'esse largamente crescenti presso le cooperative.