Politiche abitative e fiscalità: analisi e prospettive

Di Guglielmo Maisto Giovedì 02 Luglio 2009 17:57 Stampa

In un contesto come quello italiano, in cui il legislatore ha tradizionalmente favorito, attraverso la leva fiscale, l’acquisto di case per abitazione principale, si è venuto a creare un mercato immobiliare che, soprattutto in relazione alle locazioni, mostra caratteristiche di frammentazione, rigidità e scarsa trasparenza. Si è così ingenerato un fenomeno nuovo, il disagio abitativo, che l’intervento tributario non è in grado di risolvere. Esso richiederebbe invece una correzione delle politiche abitative e un ripensamento dei provvedimenti in materia di housing sociale.

 

 

Il quadro generale

La variabile fiscale costituisce uno degli elementi che possono maggiormente influire sul raggiungimento degli obiettivi delle politiche abitative. La spesa per la casa, infatti, rappresenta una delle voci che pesano maggiormente sul bilancio delle famiglie, e l’aumento di tale spesa a causa del prelievo tributario può generare ricadute anche sul piano sociale. Il tema del prelievo tributario sulla casa appartiene a quello più generale degli obiettivi del sistema impositivo e regolamentare.

È evidente, infatti, che in Italia il legislatore ha sempre cercato di stimolare l’acquisto della casa di abitazione principale, favorendo così la microproprietà edilizia.

I dati empirici avvalorano questa conclusione: le rilevazioni statistiche disponibili mettono in luce che in Italia lo stock di abitazioni è detenuto per circa il 91% da persone fisiche, mentre la parte rimanente è in mano a società, cooperative edilizie, enti previdenziali (7%) ed enti pubblici (2%).1 La normativa fiscale ha sicuramente contribuito al raggiungimento di questo risultato.

Sin dal primo dopoguerra, infatti, il sistema fiscale italiano ha sempre favorito la piccola proprietà edilizia da parte delle persone fisiche attraverso l’applicazione di imposte in misura attenuata sui trasferimenti di immobili utilizzati come abitazione principale (cosiddette “agevolazioni prima casa”) ed esentando i plusvalori non speculativi realizzati dalle stesse persone sulla cessione di immobili.

Al contrario, nessun favore è stato mostrato dal legislatore in merito alle abitazioni da destinare alla locazione, sia in relazione agli acquisti assoggettati ad imposte sui trasferimenti in modo ordinario sia in relazione ai redditi derivanti dalla locazione, pienamente assoggettati ad imposta personale.

I medesimi obiettivi di politica abitativa non sembrano contraddetti dal regime tributario applicabile alle abitazioni detenute da imprese ed enti. In tale contesto, infatti, il legislatore ha voluto differenziare il regime tributario delle imprese costruttrici, delle imprese di trading immobiliare e di quelle che detengono immobili allo scopo essenziale di sfavorire la vestizione societaria degli immobili a scopo di mero godimento e assoggettando ad un regime tributario ordinario le altre imprese in considerazione della diversa natura degli immobili (“immobili-merce” vs “immobili-patrimonio”).

Sempre con riferimento alla imposizione delle società, il legislatore ha però voluto introdurre correttivi volti ad alleviare gli oneri fiscali connessi ai trasferimenti di immobili da parte di società di costruzione e di trading, a condizione che gli immobili fossero oggetto di trasferimento in un intervallo temporale determinato.

In tale contesto, sostanzialmente sfavorevole alla detenzione di immobili ad uso abitativo a scopo di locazione, spicca la discontinuità relativa agli immobili detenuti da soggetti che raccolgono il risparmio: fondi di investimento immobiliare e società di investimento immobiliare quotate (SIIQ). Fondi e SIIQ, infatti, rappresentano ad oggi uno strumento alternativo di investimento in immobili, ai quali si associano regimi fiscali di favore, sostanzialmente ispirati dalla fiscalità finanziaria. Anche per tale ragione, negli ultimi anni, gli investimenti effettuati per il tramite di fondi immobiliari ha rappresentato indubbiamente una delle novità del settore, mentre le SIIQ stentano ad affermarsi sia per ragioni fiscali che di governance.

 

L’imposizione locale

Una revisione sistematica del regime fiscale degli immobili non può trascurare l’imposizione locale che vi si è concentrata, anche per la sua intima relazione con il territorio.

È ovvio, quindi, il riferimento all’imposta comunale sugli immobili (ICI), che rappresenta una delle principali fonti di finanziamento dei Comuni. Il tributo è percetto in capo al proprietario e calcolato sul valore dell’immobile, determinato sulla scorta di parametri catastali con aliquote deliberate dai Comuni nel rispetto di parametri fissati da una legge statale.

Vi è però da sottolineare che il ruolo di tale imposta è stato ridimensionato a seguito dell’esenzione per le cosiddette “prime case” introdotta a partire dall’anno 2008.2 Nonostante l’introduzione di tale esenzione abbia indubbiamente alleviato le famiglie da un onere tributario che in taluni casi poteva anche essere rilevante, la scelta legislativa ha pesato sugli equilibri finanziari degli enti locali, anche a causa della necessità di sostituire il mancato gettito dei Comuni con imposte raccolte a livello centrale.

Restando sul fronte dei principi, anche prima dell’introduzione dell’esenzione dall’ICI sulla prima casa questa scelta legislativa era stata criticata sostenendo che tale imposta rispondeva in modo lineare al principio tributario del beneficio.3 Non vi è dubbio, infatti, che il valore degli immobili è spesso influenzato dall’azione degli enti locali (si pensi solo alle attività di urbanizzazione svolte dai Comuni). Inoltre, l’imposta era difficilmente eludibile e di semplice applicazione.

Peraltro, l’esenzione – così come introdotta – presenta comunque profili di scarsa logicità e asimmetria. Il legislatore ha infatti omesso di esentare dall’ICI gli immobili locati a persone fisiche che utilizzano l’immobile come abitazione principale. Tale onere, per quanto in modo non trasparente, viene sicuramente traslato sugli inquilini, con un aggravio del costo complessivo della locazione. Tale circostanza meriterebbe un correttivo a livello legislativo, soprattutto in considerazione del recente richiamo dell’ISTAT sulle difficoltà delle famiglie nel sostenere gli attuali canoni di locazione.4 Il quadro legislativo dovrà poi essere integrato a seguito dell’attuazione della recente legge delega sul federalismo fiscale,5 che legittima il ruolo dell’ente locale attribuendogli una compartecipazione al prelievo sui redditi immobiliari.

 

Le prospettive

Dopo svariati decenni di provvedimenti di stimolo alla piccola proprietà, il mercato immobiliare mostra caratteristiche di frammentazione e rigidità, e quindi di scarsissima trasparenza, soprattutto in relazione alle locazioni. La situazione del mercato immobiliare genera infatti due tipi di ricadute. Da un lato, l’applicazione di imposte sui redditi da locazione in misura ordinaria ha l’effetto di incentivare l’evasione fiscale nel settore; la stessa amministrazione finanziaria ha recentemente stimato che in Italia più di cinquecentomila locazioni non sono state dichiarate, con una perdita di gettito stimata in un miliardo di euro.6 Dall’altro, la frammentazione ostacola l’accesso al mercato dell’abitazione in locazione, generando un fenomeno nuovo, il cosiddetto “disagio abitativo”, che riguarda un numero di soggetti socialmente eterogenei, in particolare anziani, disabili, studenti universitari, giovani coppie e immigrati.

Se la soluzione al problema dell’evasione fiscale sui redditi da locazione può essere anche di tipo esclusivamente tributario, il fenomeno del disagio abitativo non può essere risolto solo attraverso questo tipo di strumenti, e necessita di una parziale correzione delle politiche abitative in generale, anche mediante un ripensamento delle politiche di housing sociale adottate in Italia. Ciononostante, non vi è dubbio che la leva fiscale possa costituire uno dei fattori idonei a stimolare l’investimento nel settore dell’edilizia sociale.

 

La tassazione dei redditi da locazione

Nel considerare il fenomeno dell’evasione fiscale nel settore delle locazioni – fenomeno deprecabile in sé – vi è da chiedersi se il regime fiscale attuale, con tassazione piena degli affitti anche se non effettivamente incassati, rispetti criteri di razionalità.

Si ritiene che a tale domanda si debba dare risposta negativa.

La tassazione piena dei canoni di locazione potrebbe essere giustificata solo a fronte della deduzione analitica dei costi relativi alla produzione del reddito (quali gli oneri finanziari, i costi di manutenzione ecc.), possibilità non contemplata dalla normativa fiscale attuale che ammette esclusivamente una modesta deduzione determinata in misura forfetaria e indipendente dalle spese effettivamente sostenute. Tale possibilità, seppure percorribile sul piano meramente tecnico, presenterebbe comunque notevoli difficoltà in merito all’attività di controllo e gestione del prelievo da parte dell’amministrazione finanziaria. Per questa ragione, una modifica legislativa in tal senso non sembra convincente.

Una soluzione alternativa potrebbe ispirarsi alla constatazione che l’acquisto di abitazioni da parte di persone fisiche costituisce una delle forme di risparmio più diffuso in Italia. Come per tutte le forme di investimento, i contribuenti sono maggiormente stimolati ad ottemperare agli obblighi fiscali in presenza di un modello di imposizione semplice, con applicazione di una imposta sostitutiva ad aliquota contenuta applicata sul reddito lordo.

Tale soluzione, adottata nel modello di tassazione delle rendite finanziarie, eliminerebbe il diverso trattamento fiscale tra impieghi mobiliari e immobiliari e, al contempo, favorirebbe l’emersione dell’economia sommersa nel settore, favorendo così la creazione di un mercato più trasparente.

Si osserva inoltre che tale regime, suggerito nel tempo da più parti,7 sarebbe assolutamente coerente con quello introdotto dalla legge finanziaria per l’anno 2006, che ha previsto una tassazione in linea con quella delle rendite finanziarie sui plusvalori speculativi realizzati al di fuori dell’esercizio d’impresa.8

Un intervento legislativo in tempi brevi sulla scorta delle indicazioni sopra riassunte sarebbe quindi auspicabile.

 

Fiscalità e housing sociale

Le misure suggerite in merito alla tassazione dei redditi da locazione non sono tuttavia idonee ad incidere in modo adeguato nella soluzione del disagio abitativo. In tale settore, infatti, lo stock di alloggi è estremamente limitato. Secondo i dati forniti da Federcasa, l’insieme degli alloggi sociali in affitto sul totale delle unità immobiliari disponibili è, in Italia, inferiore al 5%. A titolo meramente esemplificativo, nei Paesi Bassi tale stock supera il 35%, nel Regno Unito, in Svezia e Danimarca si attesta intorno al 20%, mentre in Francia e in Germania al 15%.

Negli Stati membri dell’Unione europea con economie simili a quella italiana, l’unico paese con uno stock abitativo inferiore al nostro è la Spagna, che si attesta intorno al 3%. Ciononostante, in tale Stato, al fine di colmare il divario con la media europea, sono state introdotte nel biennio 2007-08 misure fiscali ad hoc per stimolare l’investimento nel settore.

In Italia gli investimenti in quest’area, demandati principalmente al settore pubblico, si sono molto attenuati anche a causa delle restrizioni di bilancio, tanto che, nell’analizzare possibili soluzioni volte a stimolare lo sviluppo del settore dell’edilizia sociale, è doveroso considerare le peculiarità nazionali.

Infatti, sebbene in taluni Stati membri gli operatori del settore siano principalmente enti locali o comunque organizzazioni senza scopo di lucro, nella realtà italiana, a causa della scarsità delle risorse, appare difficile ipotizzare eventuali interventi pubblici. Per tale ragione, l’introduzione di tali misure fiscali ad hoc deve essere valutata anche in relazione ai vincoli comunitari e, in particolar modo, al divieto di concessione di aiuti di Stato, anche di natura fiscale, agli operatori economici.

Su tali questioni viene in soccorso la decisione della Commissione europea in materia di aiuti di Stato e servizi di interesse generale che permette infatti la concessione di questi sostegni, senza il previo obbligo di notificazione alle competenti autorità comunitarie, alle «imprese aventi incarichi di edilizia popolare che svolgono attività considerate dallo Stato membro come servizi d’interesse economico generale».9

In particolare, il sedicesimo considerando della decisione, nel chiarire che il livello di distorsione della concorrenza nel settore dell’housing sociale non è necessariamente proporzionale al livello del fatturato del soggetto che beneficia dell’aiuto e dell’aiuto stesso, chiarisce che le imprese aventi incarichi di edilizia popolare che forniscono alloggi a cittadini svantaggiati o a gruppi sociali sfavoriti, che non sono in grado di trovare un alloggio a condizioni di mercato a causa dei loro limitati livelli di solvibilità, dovrebbero beneficiare dell’esenzione dalla notificazione prevista dalla presente decisione, anche se l’importo della compensazione che ricevono supera le soglie da essa stabilite, qualora i servizi che forniscono siano definiti servizi d’interesse economico generale da parte degli Stati membri.

In buona sostanza, la stessa decisione ammette che gli aiuti di Stato nel settore dell’edilizia sociale possano essere di entità importante, anche a causa dei limitati effetti che l’aiuto potrebbe avere sulla concorrenza. La concreta applicazione della decisione necessita che lo Stato membro definisca a livello nazionale quali siano le «attività considerate dallo Stato membro come servizi d’interesse economico generale».

In Italia tale lacuna normativa è venuta meno con l’emanazione di un recente decreto ministeriale10 che ha proprio definito la nozione di «alloggio sociale» ai fini dell’esenzione dall’obbligo di notifica degli aiuti di Stato ai sensi degli articoli 87 e 88 del Trattato istitutivo della Comunità europea. In tal modo il quadro normativo è ormai completo e maturo per ipotizzare l’introduzione di misure fiscali specifiche per il settore.

Tale regime tributario dovrà, come già accennato, considerare la necessaria partecipazione dei privati allo sviluppo di tale mercato.

Tali operatori potranno offrire canoni di locazione sostenibili solo qualora i costi – anche di natura tributaria – siano minimizzati. L’ottimizzazione del carico fiscale dovrebbe essere ampio al fine, da un lato, di contenere i canoni di locazione e, dall’altro, di offrire la possibilità agli investitori di ottenere un tasso di remunerazione degli investimenti compatibile con il settore.11

Si è però già detto che la soluzione al disagio abitativo non può essere esclusivamente tributaria. È quindi auspicabile l’insediamento di un tavolo istituzionale, politico e tecnico, che definisca sistematicamente e trasversalmente il perimetro degli interventi, tracci le linee guida di un piano pluriennale e impieghi poi coerentemente i contributi tematici (regolamentare, urbanistico, fiscale ecc.) che compongono l’intero problema.

Solo in tal modo il nostro paese potrà reggere il confronto con le principali economie europee in un campo di cruciale rilevanza sociale.

 


 

[1] Nomisma, La condizione abitativa in Italia: fattori di disagio e strategie di intervento, Nomisma, Bologna 2007.

[2] Decreto legge 93/08, “Disposizioni urgenti per salvaguardare il potere di acquisto delle famiglie”, convertito dalla legge 126/08.

[3] S. Micossi, La tassazione degli immobili, Note e Studi Assonime, 2/2008.

[4] ISTAT, Rapporto annuale. La situazione del paese nel 2008, ISTAT, Roma 2009.

[5] Legge delega 42/09, “Delega al governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione”.

[6] C. Dell’Oste, V. Fossati, Affitti, i conti dell’evasione: 500 mila contratti in nero, in “Il Sole 24 Ore”, 16 febbraio 2009.

[7] F. Osculati, Tributi e altre entrate dei Comuni, in “Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze”, 2/2007. Si vedano inoltre le proposte del presidente di Assonime Vittorio Mincato al Convegno “Finanziaria 2008 – Prime Osservazioni”, Milano, 23 gennaio 2008, nonché quelle di talune associazioni di categoria (ex multis la relazione del presidente di Assoedilizia Achille Colombo Clerici alla Tavola rotonda “Politiche per l’edilizia e la qualità delle città”, Milano, 16 marzo 2009).

[8] In particolare, la legge 266/05 ha dapprima introdotto una imposta sostitutiva sulle plusvalenze immobiliari speculative pari al 12,5%. Tale aliquota è stata successivamente innalzata al 20% dall’articolo 2, comma 21 del d.l. 262/06.

[9] Decisione della Commissione europea 2005/842/CE, 28 novembre 2005.

[10] Decreto ministeriale 22 aprile 2008 pubblicato su “Gazzetta Ufficiale”, serie generale n. 146 del 24 giugno 2008.

[11] Normalmente, in tale settore, il tasso di riferimento dei rendimenti è quello dei titoli di Stato aumentato di una percentuale volta a remunerare i rischi di natura imprenditoriale.