Notizia

Di Fiorenza Sarzanini Martedì 04 Settembre 2012 14:59 Stampa

Una fotografia può trasformarsi in una notizia: basta uno scatto, l’occhio che cattura un gesto, una faccia o un avvenimento. Si deve fissare il dettaglio che lentamente prende forma, si arricchisce e si materializza. Proprio da qui, dall’importanza di un’immagine – che spesso vale più di tante parole – bisogna partire per comprendere che cosa è davvero una notizia. Tutto quello che interessa i cittadini è una notizia. Non importa che sia totalmente inedita; fondamentale è che le informazioni fornite siano autentiche e chiare. Meglio ancora se l’insieme degli elementi serve a spiegare in maniera completa ciò che sta accadendo, sfruttando al meglio la descrizione di retroscena utili a comprendere che cosa ha determinato un fatto.

Televisioni, radio, siti internet, quotidiani, periodici, social network: ogni istante della nostra esistenza è ormai scandito da un bombardamento di dati, circostanze e dettagli che ci vengono propinati a ripetizione, spesso in maniera ossessiva. Dunque, bisogna cercare di orientarsi se si vuole comprendere davvero quanto accade intorno a noi. Per questo tocca ai giornalisti e a chiunque abbia accesso alle vite degli altri rispettare le vecchie regole deontologiche che assegnano doveri precisi a chi diventa strumento per la divulgazione delle informazioni. E la prima di queste norme riguarda certamente l’utilizzo di tutti gli strumenti necessari a verificare la veridicità di quanto viene raccontato.

Lo scorso aprile si è svolta negli Stati Uniti la conferenza annuale della American Society of News Editors. Tra i relatori c’erano anche gli autori dell’inchiesta sullo scandalo Watergate, che portò il presidente Richard Nixon alle dimissioni, ovvero Bob Woodward e Carl Bernstein. Di fronte a una platea di studenti, i due principi del giornalismo sono stati interrogati soprattutto sull’attendibilità di internet e sulle possibilità offerte agli utenti di informarsi attraverso la rete. Il loro giudizio è stato categorico: «L’idea delle nuove leve è che internet sia una lanterna magica in grado di illuminare tutti gli eventi» ha riassunto alla fine Woodward. «Niente di più lontano dalla realtà del giornalismo: la verità di ciò che accade non si trova su internet. La rete può integrare, può aiutare a fare progressi. Ma la verità si trova dentro le persone, nelle fonti in carne e ossa». Sbaglia chi crede che la tecnologia possa sostituirsi all’uomo. Può certamente aiutarlo, agevolarne le ricerche, fornire dettagli, ma “trovarsi sulla notizia” è tutta un’altra storia.

E allora, per capire come funziona il mestiere del giornalista si deve procedere per gradi e cominciare dall’analisi delle fonti. Coltivare il maggior numero di persone che possano darti l’indicazione giusta è fondamentale. Molti scoop nascono da una “soffiata” apparentemente banale, che invece prende forma grazie agli approfondimenti. Non bisogna mai avere paura del confronto: chiunque sia l’interlocutore, è bene conoscere quali informazioni possiede. Sarà poi compito del cronista avere l’accortezza di verificarle in maniera adeguata. Anche un criminale può diventare strumento prezioso nella ricerca della verità su una storia: l’importante è che quanto racconta trovi un riscontro reale.

Nel momento in cui la notizia è verificata, deve essere pubblicata. Un giornalista serio non dovrebbe avere padroni da servire, né permessi da chiedere prima di divulgare le informazioni che ha raccolto. Eppure, non è vero che si deve scrivere tutto quello che si sa, perché ci sono limiti che non andrebbero mai oltrepassati, anche se non rientrano in ciò che è espressamente vietato dalla legge o dal codice deontologico. Se, ad esempio, una notizia mette a rischio la vita di una persona, non dovrebbe essere pubblicata. L’esempio più evidente riguarda i sequestri di persona: tutto quanto attiene alle trattative in corso dovrebbe diventare pubblico soltanto quando l’ostaggio è al sicuro. Non c’è una legge che lo imponga, ma spesso il buon senso può valere più di mille codici.

Anche le informazioni che possono agevolare la fuga di una persona inquisita dovrebbero rimanere riservate. In questo caso, benché il giornalista che non rispetta il divieto rischi di finire sotto inchiesta per favoreggiamento, capita non di rado che, pur di superare la concorrenza, si decida di pubblicare ugualmente la notizia, distruggendo il risultato delle indagini e provocando un danno alla collettività.

Per il resto, conta la serietà di chi scrive, la sua attendibilità e, soprattutto, la consapevolezza che spesso una notizia sbagliata può rovinare una vita. Non bisognerebbe mai innamorarsi delle storie, ma neanche trattarle con troppo distacco. Forse basterebbe ricordare sempre che una notizia è tale quando non ha bisogno di troppi aggettivi per essere compresa. Proprio come un’immagine o un’istantanea che, talvolta, vale più delle parole.

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