Brasile: luci e ombre sulle prospettive di sviluppo

Di Antonella Mori Mercoledì 03 Settembre 2014 08:55 Stampa

Nonostante gli enormi progressi compiuti, soprattutto per quanto riguarda crescita economica, lotta alla povertà e inclusione sociale, il Brasile rischia di non colmare, neppure entro il 2050, il divario che lo separa dai paesi avanzati in termini di benessere, reddito pro capite e sviluppo. Anzi, il paese corre il pericolo di rimanere incastrato nella cosiddetta middle-income trap. Il rallentamento della crescita registrato negli ultimi anni è dovuto a diversi fattori strutturali, dalle difficoltà connesse all’avvio di un’attività alle carenze infrastrutturali, e alla congiuntura internazionale meno favorevole. Al prossimo presidente toccherà dunque l’arduo compito di avviare la ripresa economica anche al fine di preservare la stabilità sociale.

Un paese di grandi contrasti – nella sua genericità questa affermazione descrive bene il Brasile, una nazione enorme per dimensioni, potenzialità e problemi. Il Brasile è la B di BRIC, il ristretto gruppo di economie emergenti che, secondo alcune stime, nei prossimi decenni supereranno per dimensione quelle del G7. Eppure sono oramai diversi anni – dalla crisi mondiale del 2008-09 o, volendo usare un altro evento per marcare il tempo, dall’elezione di Dilma Rousseff a presidente – che l’economia brasiliana cresce a ritmi da economia matura, anzi da economia in difficoltà.

Altro dato stridente: la classe media nel corso del passato decennio è diventata la singola componente più numerosa della popolazione. Questa pietra miliare nel processo di sviluppo del paese è stata posta grazie a un lungo periodo di veloce crescita economica e, soprattutto, a politiche di lotta alla povertà di straordinario successo. Ciò nonostante il Brasile continua ad avere indici di distribuzione del reddito tra i più iniqui al mondo – nel paese ci sono favelas grandi come intere città italiane.

Il Brasile è un gigante da tanti punti di vista: è il quarto paese più popoloso del mondo, è il quinto paese per estensione territoriale e la settima economia mondiale in termini di reddito nazionale. Se questi numeri sembrano un po’ astratti, ecco un veloce confronto con l’Italia: su un territorio che è circa trenta volte il nostro vivono duecento milioni di brasiliani, che ogni anno producono un reddito nazionale che è il 10% più grande di quello prodotto in Italia. Il paese è ricchissimo di risorse naturali: dall’acqua ai minerali, ai metalli e alle risorse energetiche, in particolare petrolio e gas naturale. Il Brasile è autosufficiente nelle principali produzioni agricole e per molte di esse, ad esempio arance, soia e caffè, è un leader mondiale nell’esportazione.

Come si intuisce già da questi dati, il divario nei livelli di benessere economico e di sviluppo umano rispetto ai paesi più ricchi del mondo è ancora elevato. Tenendo in considerazione la differenza nel potere d’acquisto, il reddito medio di un brasiliano è il 40% di quello di un italiano. La povertà estrema, inoltre, rimane una piaga diffusa, soprattutto in alcune aree urbane e in alcune regioni del Nord- Est del paese, e un brasiliano su dieci guadagna meno di due dollari e mezzo al giorno.

Per mettere le cose in prospettiva, venti anni fa questo divario con i paesi più avanzati era ancora più ampio. Grazie a una rapida crescita economica, il Brasile è riuscito a recuperare terreno – motivo per cui viene incluso nel gruppo delle grandi economie emergenti assieme a Russia, India e Cina. Il ritmo della crescita economica e del benessere sociale è, però, rallentato molto negli ultimi tre anni; più preoccupante ancora è che le ragioni di questo rallentamento sembrano essere in gran parte strutturali. L’andamento recente dell’economia e le previsioni a breve termine fanno, quindi, temere che il processo di convergenza con i paesi più sviluppati possa addirittura arrestarsi. La crescita economica negli ultimi anni è stata bassa (1% nel 2012 e 2,3% nel 2013) e le previsioni per il 2014-15 non indicano alcun miglioramento. Questo andamento è decisamente deludente se paragonato al 5% medio annuo di crescita del periodo 2004-08. Secondo stime recenti dell’OCSE, se continuerà a crescere poco come in questi ultimi anni, il Brasile non raggiungerà neppure nel 2050 il livello di reddito pro capite dei paesi OCSE.

La bassa produttività del lavoro e del capitale è la ragione principale della bassa crescita economica degli ultimi anni. Per aumentare il prodotto nazionale un paese può agire su due leve: la prima consiste nell’impiegare più lavoratori oppure più macchinari – semplicemente impiegare quantità maggiori dei fattori lavoro e capitale. La seconda consiste nell’aumentare la capacità produttiva di questi stessi fattori, cioè aumentarne la produttività.

La prima leva sta diventando progressivamente più difficile da utilizzare in Brasile. Anche se il paese è molto popolato, il calo del tasso di fertilità degli ultimi decenni fa sì che le generazioni di giovani che si affacciano ogni anno sul mercato del lavoro siano progressivamente meno numerose di quelle che le hanno precedute, limitando quindi il tasso di crescita del fattore lavoro. Per quanto riguarda, invece, il fattore capitale, l’ostacolo viene dalla disponibilità stessa di nuovi investimenti in capitale, che a paragone di paesi come Cina o India è sempre stata molto bassa, a causa principalmente di una scarsa propensione al risparmio. Anche la seconda leva, quella della produttività dei fattori, è di difficile uso, soprattutto perché nel corso degli anni non sono stati realizzati gli interventi strutturali – ad esempio una più diffusa e migliore istruzione scolastica – necessari per rendere più produttivi i fattori lavoro e capitale. Anzi, spesso accade di sentire che le leggi e la burocrazia, la mancanza di infrastrutture – porti, strade, ferrovie, reti di trasmissione dell’energia elettrica – e di capitale umano – lavoratori con un livello di istruzione adeguato ai processi che devono gestire – sono ostacoli seri per l’attività imprenditoriale.

Secondo la Banca mondiale è molto difficile essere imprenditori in Brasile: nella classifica dell’Ease of Doing Business, il Brasile è al 116° posto su 189 paesi. Avviare un’attività economica richiede più tempo e denaro che in altri paesi, così come è difficile e costoso ottenere i permessi di costruzione o semplicemente pagare le tasse. I problemi non mancano neanche sul fronte della giustizia, dove i tempi e i costi dei procedimenti legali necessari a far rispettare i contratti sono molto elevati; la situazione è analoga per le procedure fallimentari. Le carenze infrastrutturali – strade, porti e aeroporti nel solo campo dei trasporti – rappresentano un altro collo di bottiglia alla crescita della produzione e si vanno ad aggiungere alla scarsità di manodopera qualificata. In molti settori la domanda di tecnici specializzati e di ingegneri supera la disponibilità interna, facendo lievitare i loro stipendi e, quindi, il costo di produzione. Gli elevati stipendi in alcuni settori stanno attirando numerosi giovani laureati da altre parti del mondo, anche dall’Italia. Il miglioramento del contesto normativo e istituzionale, del sistema di istruzione e delle infrastrutture è la via da percorrere per tornare a una crescita elevata e anche per diversificare la produzione in attività a maggiore valore aggiunto.

Il secondo fattore che ha contribuito alla recente riduzione della crescita è stato il contesto esterno, che è diventato meno favorevole. Prima della crisi finanziaria globale, il Brasile aveva tratto vantaggio dagli ingenti capitali esteri che si riversavano nel paese, da migliori ragioni di scambio e dalla forte domanda estera, soprattutto cinese. La crescita delle esportazioni aveva contribuito alla domanda di beni prodotti in Brasile e, quindi, stimolato la crescita della produzione. L’afflusso di capitali esteri aveva compensato lo scarso risparmio interno. Ma la crisi economica dei paesi avanzati e il rallentamento della crescita della Cina hanno ridotto in generale il commercio mondiale e in particolare le esportazioni del Brasile. Più recentemente, inoltre, da quando la politica monetaria degli Stati Uniti ha cominciato a diventare più restrittiva con l’inizio del processo di tapering, i trasferimenti di capitale dai paesi più sviluppati ai paesi emergenti sono diminuiti in generale, e anche il Brasile ne risente. Per cercare di contrastare la congiuntura negativa, la politica macroeconomica brasiliana è diventata più accomodante, addirittura troppo accomodante secondo alcuni, al punto da aver perso di credibilità. Da tempo la politica macroeconomica del paese si basa su tre pilastri: una politica fiscale prudente, una politica monetaria indipendente con un obiettivo di bassa inflazione e un tasso di cambio flessibile. Retta da questi tre pilastri, la gestione macroeconomica del paese in anni passati aveva conseguito una notevole stabilità interna, un’ottima reputazione internazionale e l’interesse degli investitori esteri.

Questo assetto istituzionale è cambiato abbastanza radicalmente negli ultimi due anni. La politica fiscale è diventata molto espansiva, le autorità di politica monetaria hanno tollerato a lungo un tasso d’inflazione elevato, ritardando gli aumenti dei tassi di interesse necessari a ridurlo, e ci sono stati pesanti interventi ufficiali sul tasso di cambio per ridurne la volatilità. È presto per dire se si sia perduta la credibilità guadagnata nei passati quindici anni – e con essa i benefici che vengono dall’essere considerato un paese stabile da un punto di vista legale ed economico – ma l’allarme è giustificato.

I progressi fatti in tema di lotta alla povertà e di maggiore inclusione sociale dipendono crucialmente dalla crescita economica: se questa non si riprenderà vigorosamente e presto, i passi avanti fatti nel passato decennio saranno, con ogni probabilità, a rischio. Se si mette per un attimo da parte il criterio per misurare la povertà rappresentato da un reddito giornaliero di due dollari e mezzo e si calcola il reddito di povertà usando la soglia di povertà specifica per il Brasile, si può vedere chiaramente che la diminuzione del numero di poveri tra il 2001 e il 2012 è stata senza precedenti. Nel 2001 il 37,5% della popolazione era povero: poco più di dieci anni dopo, nel 2012, la percentuale della popolazione in povertà si era ridotta quasi della metà, al 18,6%. È stato un risultato fenomenale, ottenuto grazie sia al buon andamento dell’economia che a politiche specifiche a favore delle famiglie più povere. La più importante di queste, a ragione famosa in tutto il mondo, è Bolsa Família, un programma volto a garantire alle famiglie più povere l’accesso a servizi pubblici di base: educazione, sanità e alimentazione. Oggi più di 13 milioni di famiglie ricevono un aiuto monetario da Bolsa Família e in cambio si impegnano a vaccinare i figli e a mandarli a scuola.

La crescita economica e le politiche sociali hanno anche consentito alla classe media di diventare lo strato più numeroso della popolazione brasiliana, contribuendo a ridurre la disuguaglianza nella distribuzione del reddito. L’espansione della classe media evidenzia concretamente i miglioramenti economici e sociali del Brasile, ma nasconde anche i pericoli di una possibile middle-income trap. Un reddito più elevato significa costi del lavoro più alti per le imprese, che quindi diventano meno competitive rispetto ai paesi a reddito basso. Al fine di evitare di perdere competitività, le imprese devono impegnare risorse per aumentare la produttività del lavoro, investendo in ricerca e sviluppo e nell’accumulazione di capitale fisso e umano. Anche il settore pubblico in genere deve fronteggiare maggiori spese per assecondare la domanda crescente di migliori servizi pubblici (dai trasporti all’istruzione e alla sanità), che possono portare a squilibri nei conti pubblici. Il rischio per i paesi a reddito medio è, quindi, di non riuscire a raggiungere il gruppo dei paesi avanzati e di rimanere “intrappolati” in quei livelli di reddito. Con la diminuzione del numero di poveri e l’aumento del numero di brasiliani appartenenti alla classe media, la distribuzione del reddito nel paese è migliorata, divenendo meno diseguale. Un modo di valutare l’asimmetria della distribuzione del reddito di un paese è dato dall’indice di Gini, un numero compreso tra zero – nel caso di completa uguaglianza nella distribuzione del reddito, cioè quando tutti hanno lo stesso reddito – e uno – nel caso di massima diseguaglianza nella distribuzione del reddito, cioè quello in cui una persona ha tutto il reddito del paese e il resto della popolazione non ha nulla. I paesi del mondo con la distribuzione del reddito più equa hanno un indice di Gini poco superiore a 0,2, mentre quelli con la distribuzione del reddito più iniqua hanno un indice di Gini poco inferiore a 0,7. Nel 2001 il Brasile era tra questi ultimi, con un indice di Gini pari a 0,64. Dieci anni dopo questo indice era sceso a 0,57, mostrando quindi un netto miglioramento in una fase storica in cui la maggior parte delle economie avanzate si muoveva nella direzione opposta. Anche se questi risultati sono estremamente positivi, il Brasile è tuttora un paese con una concentrazione del reddito molto elevata: il 10% più ricco della popolazione guadagna il 41% del reddito nazionale, mentre al 40% più povero va solo il 14% del reddito.

Chiunque vincerà le presidenziali del prossimo ottobre dovrà gestire una situazione macroeconomica complicata, avendo poco spazio per politiche economiche espansive. Le spese per la Coppa del mondo hanno contribuito all’aumento del disavanzo pubblico, che nel 2014 è previsto al 4% del PIL. L’elevato disavanzo di bilancio richiederebbe interventi urgenti di riduzione della spesa pubblica e/o di aumento della tassazione, che è però poco probabile che vengano decisi prima delle elezioni. Eventuali misure di riduzione del disavanzo potrebbero ostacolare la ripresa economica, che già viene frenata dalla politica monetaria antinflazionistica. Per mantenere il tasso d’inflazione al di sotto del 6,5%, la Banca centrale del Brasile ha aumentato il tasso d’interesse ufficiale, riducendo in questo modo sia il credito al consumo che la spesa per investimenti. La prossima amministrazione dovrà continuare a dare delle risposte alle domande di molti brasiliani per migliori servizi educativi, sanitari, abitativi e relativi ai trasporti. La mancanza di risposte convincenti e lo scontento per l’andamento dell’economia – bassa crescita ed elevata inflazione – potrebbero far riesplodere le proteste nel paese e l’instabilità sociale potrebbe diventare un ulteriore ostacolo alla ripresa economica.

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