Le aree urbane, motore di sviluppo e innovazione ambientale

Di Edoardo Zanchini Venerdì 02 Settembre 2016 15:21 Stampa

È dimostrato che proprio le città possono essere il campo di un rilancio economico fondato su innovazione e riqualificazione degli spazi urbani capace di creare e attrarre le imprese della green economy oltre che un turismo fuori dai soliti circuiti delle città d’arte. Perché ciò accada è però necessario compiere un grande salto in avanti nelle politiche, superando l’approccio basato sugli interventi incrementali business as usual, cambiando il paradigma della mobilità, chiudendo il ciclo dei rifiuti, attuando una rivoluzione nella generazione energetica distribuita all’interno degli agglomerati urbani, riqualificando il patrimonio edilizio e realizzando abitazioni a prezzi accessibili all’interno delle città.

Non è un esercizio banale ragionare della sostenibilità ambientale delle città italiane in una fase in cui l’intreccio tra problemi locali e sfide globali risulta sempre più inestricabile. Il rischio è infatti di rimanere spiazzati tra l’enfasi che sempre più diffusamente si sente porre sul “secolo urbano”, e dall’altra la cronaca quotidiana di pro­blemi e ritardi. In mezzo, ad aumentare spaesamento e invidia, è il racconto di come Valencia o Oslo, Monaco di Baviera o Montpellier siano riuscite a diventare in poco tempo vivibili e attrattive attraverso la chiave dell’innovazione ambientale. Per capire le sfide che le città italiane hanno di fronte occorre partire da una cruda analisi della situazione, in modo da individuare gli scogli da affrontare per rag­giungere risultati analoghi.

Se si guarda ai principali indicatori ambientali le città italiane sono sostanzialmente ferme da diversi anni,1 con piccolissimi scostamenti nell’inquinamento atmosferico dovuti alla sostituzione del parco au­tomobilistico o delle caldaie. Se si guarda poi alle scelte strutturali che concorrono a definire la vivibilità di una città – aree verdi, trasporto pubblico, zone pedonali e percorsi ciclabili ecc. – l’andamento è tale che ci vorrebbero alcuni secoli per porre mano al gap ambientale e di qualità della vita. Occorre davvero un grande salto in avanti nelle po­litiche se si vuole cambiare questa realtà. Sempli­cemente perché le politiche incrementali business as usual – qualche nuovo autobus, un program­ma di pannelli fotovoltaici sui tetti delle scuole o una piazza pedonalizzata – non servono per risolvere problemi di questa dimensione e le loro conseguenze sulla salute. Oggi proprio il rinvio di questi interventi si sta dimostrando una delle ragioni per cui il nostro paese continua a faticare a uscire dalla crisi. Proprio le città possono essere infatti il campo di un rilancio economico fonda­to su innovazione e riqualificazione degli spazi urbani, capace di creare e attrarre le imprese del­la green economy oltre che un turismo fuori dai soliti circuiti delle città d’arte. A dimostrare quanto questa ricetta sia oggi praticabile e come possa produrre risultati, basta fare un giro per i centri storici, oggi bellissimi e restaurati, frequentatissimi, di Ca­gliari e Lecce. Oppure guardare ai record internazionali nella raccolta differenziata delle città venete o di Salerno, o magari prendere il tram tra Firenze e Scandicci o i nuovi treni che collegano Bolzano con Brunico e Merano e che ogni giorno trasportano turisti e pendolari felici di poter lasciare l’auto a casa. Basta confrontare queste realtà con una cartolina di dieci anni fa per capire come questa prospettiva di innovazione urbana, se applicata su scala nazionale possa diventare una grande opportunità in una chiave non solo locale, ma di futuro del paese.

CAMBIARE IL PARADIGMA DELLA MOBILITÀ

La situazione del traffico e dell’inquinamento delle città italiane non è una condizione del mondo in cui viviamo. Al contrario, conoscia­mo le cause così come le ricette per cambiare questo stato di cose. E se si guarda con attenzione al territorio italiano alcuni cambiamenti in corso rappresentano una occasione importante da cui partire. Si è fermato lo sprawl urbanistico delle città, con la crisi del settore delle costruzioni, e si sono ridotte anche le immatricolazioni di nuo­ve auto. In parallelo cresce il numero di persone che ogni giorno prende il treno per andare a lavorare o studiare (aumentato del 20% dal 2007), ma soprattutto la disponibilità a cambiare a fronte di un servizio pubblico che funzioni. Anche il successo del car sharing di car2go ed Enjoy, in alcune città italiane, è un segnale culturale e di cambiamento negli stili di vita da non sottovalutare. Dobbiamo partire da qui per ripensare il paradigma della mobilità in Italia, che non sta, come troppo a lungo si è sostenuto, nella dotazione infra­strutturale o negli investimenti per aprire i cantieri, ma nel modo in cui si garantisce l’accessibilità nella città ai diversi luoghi o si intende ridurre i tempi di spostamento. Altro cambiamento da non sottova­lutare nell’approccio ai problemi: le città non sono tutte uguali nella domanda di mobilità. La cura del ferro è una priorità che riguarda in particolare le aree metropolitane e le conur­bazioni cresciute negli ultimi decenni. In queste aree, che occupano una superficie pari al 9% del territorio italiano, si concentra infatti la massima densità abitativa di persone (il 41%) e auto.

Se si guarda alle realtà europee è evidente come non valgano più scuse e promesse: oggi è possi­bile dare risposta a questi problemi attraverso un cambio di modello nella gestione della mobilità nelle aree urbane. L’obiettivo è infatti di sem­plificare in ogni modo la vita e gli spostamenti sostenibili dei cittadini: dalle piattaforme digi­tali alle applicazioni per smartphone, agli abbo­namenti integrati di tutte le forme di mobilità collettiva e di sharing (bici, auto elettrica). Ogni scelta che riguardi infrastrutture e nodi di scambio, aree 30 e per­corsi ciclopedonali, mobilità elettrica, è collocata dentro una visione fortemente integrata. Un aspetto importante da sottolineare è che queste politiche producono risultati e non bisogna andare all’estero per verificarlo, sono infatti diverse le esperienze di successo nelle città italiane.2 Per chiarezza, nessuno vuole eludere la questione al centro del dibattito politico da oltre venti anni, ossia il ritardo infrastrut­turale italiano. È un dato innegabile, ma che ha la sua situazione più critica proprio nella lunghezza della rete di metropolitane dove, con soli 232 chilometri, il nostro paese si colloca all’ultimo posto in valore assoluto e con meno chilometri della sola città di Madrid. Ser­vono infatti risorse certe e una attenta regia nazionale per recuperare i ritardi nelle linee di metropolitana, tram, ferrovie regionali. Ma poi spetta ai sindaci assumersi la responsabilità di rendere le nostre città più semplici e sicure da girare a piedi, in bici e con i mezzi pubblici.

CHIUDERE IL CICLO DEI RIFIUTI

NELLE AREE URBANE

I rifiuti sono oggi il settore della green economy in cui si stanno rile­vando i maggiori cambiamenti a livello locale, con risultati davvero inimmaginabili solo pochi anni fa. Attenzione, in questo caso non riguardano le solite città europee ma Comuni italiani che, dati alla mano, si rivelano degli assoluti protagonisti a livello europeo.3 A Tre­viso, dove la percentuale di raccolta differenziata è pari all’88%, o a Milano non abbiamo niente da invidiare dall’estero, ma semmai l’opportunità di diventare leader in un caso esemplare di economia circolare che trasforma un problema in risorsa. Non tutti i problemi sono stati risolti e alcune differenze rimangono, ad esempio un Sud che fatica a recuperare i ritardi nella raccolta differenziata e nell’im­piantistica, ma oramai è dimostrato che non ha più senso continuare con un modello che aveva come unico obiettivo quello di mettere più distanza possibile tra le aree urbane e i luoghi dove i rifiuti ve­nivano smaltiti. Oramai siamo in un altro campo di confronto sul futuro, che ha al centro la riduzione della produzione di rifiuti e la costruzione di una efficiente filiera di impianti per i diversi processi di riciclo e recupero di materia ed energia. L’obiettivo nel governo delle città cambia, perché ogni realtà ha la possibilità di far nascere imprese e creare lavoro nella selezione e riciclo di vetro, plastica, car­ta, alluminio, compost e nei centri di recupero di elettrodomestici e materiali speciali. Questa è la sfida che le città italiane hanno di fron­te anche per ridurre i costi di smaltimento (Roma e Napoli spendono cifre incredibili per smaltire i propri rifiuti all’estero). In questo sce­nario il cambio di paradigma riguarda anche la localizzazione degli impianti rispetto alla città, passando dal modello della separazione a quello dell’integrazione, e rende necessario far funzionare le diverse filiere attraverso un criterio di prossimità che aiuti la raccolta e poi il conferimento a centri di recupero. Alcuni degli impianti e delle aree necessarie alla raccolta e recupero dei materiali possono infatti “inte­grarsi” con altri usi urbani e attività: dagli impianti di compostaggio nelle aree agricole più vicine ai centri di smaltimento di materiali riciclati compatibili con aree artigianali e per servizi.

LA RIVOLUZIONE DELLA GENERAZIONE ENERGETICA DISTRIBUITA NELLE CITTÀ

Il cambiamento portato dalle fonti rinnovabili nel sistema energe­tico ha oggi nelle città la sua frontiera di innovazione. Lo sviluppo incredibile degli impianti installati in tutto il mondo, con la Cina leader nelle installazioni, e in parallelo i progressi nella efficienza del­le diverse tecnologie e nella riduzione dei costi, hanno prodotto cam­biamenti storici. Oggi la produzione è sempre più distribuita, con 800.000 impianti diffusi in ogni Comune italiano che garantiscono il 40% circa dei fabbisogni di energia elettrica.4 Ma cosa succede nel momento in cui questi impianti, invece di mettere l’energia nella rete nazionale, la utilizzano direttamente o la distri­buiscono attraverso reti locali connesse ad altre utenze e sistemi di accumulo? Non è utopia, ma quanto oggi si sta già realizzando in giro per il mondo, con applicazioni anche in Italia, e che rimette in discussione i modelli finora utilizzati anche nel guardare al futuro delle energie puli­te. Oggi è proprio alle città che si guarda come campo di applicazione di un modello energetico distribuito dove al centro sono l’autoproduzio­ne e la distribuzione locale di energia prodotta da fonti rinnovabili. Ossia di edifici e imprese, quartieri e ambiti territoriali che progressivamente riescono a diven­tare autonomi attraverso impianti termici ed elettrici puliti e a una innovativa gestione delle reti di distribuzione integrata con impianti di accumulo. In questa prospettiva le città passano dall’essere un polo di consumi distribuiti a una componente del sistema in cui sono protagonisti i prosumer (ossia soggetti al contempo produttori e con­sumatori di energia elettrica). I vantaggi sono enormi per le città in termini di minore inquinamento, e per il nostro paese in termini di riduzione di consumi e importazioni di fonti fossili, e di emissioni climalteranti.5 C’è però un problema, perche questa prospettiva nel nostro paese è limitata da regole anacronistiche. Può sembrare incre­dibile ma in un condominio, in un quartiere, in un grande centro commerciale o in un distretto produttivo in Italia è vietata la produ­zione e distribuzione tra utenze di energia prodotta da fonti rinno­vabili. Eppure, in una prospettiva di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio si potrebbe davvero puntare a edifici e quartieri a zero emissioni e inquinamento. Qui sono i sindaci che devono farsi sentire per cambiare regole che oggi non hanno alcun senso e ferma­no innovazioni che sono davvero nell’interesse generale.

UNA NUOVA LOTTA PER LA CASA

La casa, come negli anni Sessanta, è di nuovo un’emergenza nelle grandi città e un banco di prova delle politiche sociali ed economi­che. Le forme sono in parte diverse ma i problemi sono davvero rile­vanti e sottovalutati per quanto incidono sulle famiglie e sul rilancio dell’economia. Sono due le questioni a cui guardare con attenzione nelle città italiane, con chiari risvolti ambientali, e cui dare risposta attraverso nuove politiche. La prima è un evidente paradosso: in Ita­lia centinaia di migliaia di famiglie sono in cerca di una abitazione a prezzi per loro accessibili, sono sotto sfratto o hanno problemi a pagare rate di mutuo o affitti. Al contempo sono 140.000 i nuovi alloggi in Italia invenduti. Domanda e offerta non si sono incon­trate in questi anni e mai si incontreranno, perché per le famiglie in difficoltà la risposta può venire solo attraverso alloggi a prezzi accessibili e quindi attraverso un ruolo del pubblico. La seconda grande questione è che la quota più rilevante del patrimonio edilizio italiano, in cui vivono milioni di famiglie, ossia quella costruita tra il secondo dopoguerra e gli anni Settanta, appare sempre più ina­deguata rispetto ai bisogni delle famiglie stesse, oltre che insicura e pessima da un punto di vista energetico, perché costruita prima che fosse introdotta qualsiasi normativa in materia. Sta tra questi due corni del problema della casa la sfida della rigenerazione delle città italiane: riqualificare il patrimonio edilizio e realizzare abitazioni a prezzi accessibili all’interno delle città. Di sicuro servono forme di intervento innovative, per fermare la rincorsa con nuovi insediamenti, palazzi e consumo di suolo, una domanda di casa che rimane inacces­sibile per chi ne avrebbe bisogno e sempre più lontana da servizi e urbanizzazioni. Ma serve anche il coraggio di realizzare interventi di ri­generazione e densificazione nei nodi della mo­bilità su ferro come si fa da decenni nelle città europee. E la lungimiranza di fissare ambiziosi obiettivi energetici negli interventi, in modo da avere nuove case a consumi energetici zero6 e riqualificazioni del patrimonio edilizio che rie­scano almeno a dimezzare i consumi energetici, oltre che ad adeguare e modernizzare il patri­monio edilizio. Oggi non esiste alcuna ragione tecnica o economica per rinviare una prospettiva che affronta un bisogno fondamentale, come la casa, e permette di ridurre una spe­sa per il riscaldamento delle abitazioni che supera i 1500 euro di media all’anno. Anche in questo campo parliamo di un’innovazione ambientale che crea più lavoro e maggiori competenze, necessarie a riqualificare palazzi pubblici e privati per raggiungere ben definite prestazioni energetiche e di sicurezza. Dov’è la sfida per la politica? Sta nel dare certezze allo scenario della riqualificazione energetica del patrimonio edilizio, con una chiara regia nazionale. Rendendo finalmente semplici e convenienti da un punto di vista economico gli interventi di retrofit e sostituzione del patrimonio edilizio co­struito nel dopoguerra. Oggi serve un salto in avanti, per arrivare a riqualificare centinaia di migliaia di appartamenti ogni anno.7 E sono proprio le periferie il campo di applicazione di queste poli­tiche, dove rimettere mano a spazi pubblici ed edifici per restitu­ire identità e sicurezza. Con la consapevolezza che senza una regia nazionale che garantisca risorse, controlli sulla qualità e regole più semplici questi interventi, che in Francia hanno prodotto risultati significativi, rimarranno da noi un sogno.

LO SVILUPPO PASSA DAVVERO PER LE CITTÀ?

Il rischio della retorica sulle aree urbane come motore dello sviluppo è che faccia perdere di vista problemi e differenze, ma soprattutto sposti l’attenzione dalle scelte che hanno determinato e determine­ranno lo stato di salute di una città. La distanza che c’è tra Detroit e Taranto, San Francisco e Amburgo, Città del Messico e Bogotà è enorme nella condizione che vivono i cittadini come nelle speranze sul futuro. Non è infatti scontata la traiettoria dello sviluppo nel­le aree urbane; dipende dal contesto, dall’intelligenza, dal coraggio, dalla lungimiranza delle politiche pubbliche oltre che dalle scelte dei suoi cittadini. Di sicuro oggi in queste decisioni la componente am­bientale pesa moltissimo, e influenza come non mai la possibilità di rilanciare e creare opportunità di sviluppo locale. È ovunque così, perché tutte le città del mondo devono fare i conti con una urbaniz­zazione crescente e con il complicato metabolismo tra produzione di beni e loro scambio e smaltimento. Lo è ancora di più oggi che i cambiamenti climatici hanno nelle città uno dei terreni di sfida più delicati per ridurre, da un lato, le emissioni di gas serra e, dall’altro, le conseguenze che piogge estreme e ondate di calore possono determi­nare per le comunità e gli spazi pubblici. E lo è in particolare in Italia per quanto le città rappresentano in termini di patrimonio culturale e sociale e per il ruolo che possono ancora svolgere di attrattività tu­ristica e di scambi. Quali altri luoghi al mondo potranno risultare, se resi più semplici da vivere e girare, altrettanto attraenti e competitivi se consideriamo anche la notorietà dei paesaggi e la gastronomia? Sta qui la sfida dell’innovazione nelle città italiane. Produrre cambia­menti fisici e sociali negli spazi urbani delle periferie che permettano di combattere le paure rendendoli più accoglienti, sicuri e piacevoli da vivere oltre che sostenibili. Un processo che crei la possibilità, per uno studente universitario o per chi guadagna 1000 euro al mese, di poter fare a meno dell’auto per muoversi, di trovare alloggi a prezzi accessibili e con una bassa spesa per il riscaldamento, come in una qualsiasi città europea.8

Per rendere possibile questa prospettiva occorre comprendere che le sfide della mobilità come dell’energia, della casa e dei rifiuti non sono questioni locali, da lasciare ai Comuni. Negli altri paesi europei è al governo delle aree metropolitane che sono affidate queste scelte. Ed è un ministero delle aree urbane ad accompagnare i processi e a garantire le risorse. Tornare a scommettere sulle città è una scel­ta fondamentale per il nostro paese. Non si tratta di rifugiarsi nel locale ma di affrontare le domande centrali e universali del nostro tempo. Zygmunt Bauman ha scritto9 che le città sono diventate le “discariche” in cui finiscono i problemi causati dalla globalizzazione: immigrazione, nuove povertà, degrado ambientale. È a queste sfide e paure che occorre dare risposta in forma nuova nelle nostre città.


[1] Si vedano Legambiente, Ecosistema Urbano. XXII Rapporto sulla qualità ambientale dei comuni capoluogo di provincia, Roma 2015, disponibile su www.legambiente.it/sites/default/files/docs/ecosistemaurbano_2015_xxiiedizione.pdf; Ispra, Qualità dell’ambiente urbano. XI Rapporto, Roma 2015, disponibile su www.isprambiente.gov.it/it/pubblicazioni/stato-dellambiente/qualita-dellambiente-urbano-xi-rappor­to.-edizione-2015

[2] Si vedano la linea tra Bari e Palese o il tram delle valli di Bergamo in Legambien­te, Rapporto Pendolaria 2015, disponibile su www.legambiente.it/sites/default/files/ docs/pendolaria2015finale.pdf

[3] Sono 1520 i Comuni in Italia che superano il 65% di raccolta differenziata, si veda Legambiente, Comuni Ricicloni 2016 disponibile su www.legambiente.it/sites/de­fault/files/docs/dossiercomuniricicloni_2016.pdf

[4] Si vedano i più recenti rapporti di Legambiente, Comuni Rinnovabili, disponibili su www.legambiente.it/contenuti/campagne/comuni-rinnovabili

[5] In questa prospettiva si possono creare innovazioni con vantaggi che vanno anche oltre l’aumento della produzione da fonti rinnovabili, perché rendono possibili ge­stioni innovative degli impianti e delle reti che consentono di ridurre i consumi di gas nel riscaldamento e raffrescamento degli edifici, perché si spostano verso usi elettrici legati alle rinnovabili, e analogamente i consumi di carburanti nella mobilità attraverso una spinta al vettore elettrico, anche qui prodotto da rinnovabili.

[6] Obiettivo vincolante previsto dalla Direttiva 2010/31/UE per tutta l’edilizia pubbli­ca dal 2019 e per quella privata dal 2021 con prestazioni Near Zero Energy.

[7] Si veda il caso olandese, con il programmi di industrializzazione degli interventi Energiesprong.

[8] Si veda R. Della Seta, E. Zanchini, La sinistra e la città, Donzelli, Roma 2013.

[9] Z. Bauman, Fiducia e paura nella città, Bruno Mondadori, Milano 2005.